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 2009  novembre 16 Lunedì calendario

PRIVATIZZAZIONE DELL’ACQUA CHI MUOVE ALL’ASSALTO DEL BUSINESS DEL SECOLO

L’acqua che sgorga dai rubinetti delle case italiane sta per trasformarsi in oro. Oggi lunedì 16 novembre inizia alla Camera l’iter finale del decreto di legge che rivoluzionerà la gestione della rete idrica tricolore, spalancando ai privati la porta degli acquedotti del Belpaese. L’affare, cifre alla mano, è gigantesco. Bollette per 6 miliardi l’anno. Oltre 330mila chilometri di tubature che per stare in tema fanno acqua da tutte le parti, perdendo per strada il 37% del liquido che captano alla sorgente.Più, come ciliegina sulla torta, i 60 miliardi di investimenti previsti nel prossimo trentennio per i lavori necessari a tappare questi buchi strutturali.
Oggi, malgrado il varo negli anni `90 del primo timido tentativo di liberalizzazione con la legge Galli, il servizio è rimasto in sostanza in mano pubblica. I rubinetti d’Italia sono controllati da 91 Ambiti territoriali ottimali (Ato, in pratica gli enti locali) che in ben 64 casi hanno tenuto "in casa", anche il servizio di gestione. In 21 aree distribuzione e bollette sono state affidate a società pubblicoprivate con lo Stato sul sedile di guida (spesso a fianco delle multiutility quotate in Borsa). Solo in sei casi si è scelto di percorrere la strada della privatizzazione. Tra qualche giorno, se l’articolo 15 del decreto legge 135 uscirà indenne, come pare, dall’ultima tagliola parlamentare, cambierà tutto: gli Ato a totale controllo pubblico dovranno riassegnare entro fine 2011 il servizio a una nuova realtà in cui la gestione e almeno il 40% del capitale siano in mano ai privati.
Le municipalizzate che paiono in pole position per guidare questo processo di liberalizzazione dovranno ridurre sotto il 30% (pare per il 2015) la quota di capitale in mano pubblica. E per l’acqua italiana («un bene comune che così viene regalato alla speculazione», tuona Marco Bersani del Forum italiano dei movimenti per l’acqua) inizierà l’era della privatizzazione. A meno che altre regioni non seguano l’esempio di Nicki Vendola che ha impugnato i provvedimenti del governo e intende togliere l’Acquedotto Pugliese (il più grande d’Europa) dalla maglia stretta della Spa ritrasformandolo in ente di interesse pubblico non privatizzabile.
Capire chi saranno i registi di questa rivoluzione idrica non è difficile. Tutti, più o meno, sono già in campo e in qualche modo hanno avviato da tempo un paziente risiko per posizionare le loro pedine sui lucrosissimi (in prospettiva) acquedotti tricolori. A difendere l’onore nazionale ci saranno le exmunicipalizzate. Acea, controllata dal Comune di Roma e dal gruppo Caltagirone, ha già quote in 4 Ato su 6 in Toscana, è presente in Umbria e Campania. E fa da cavallo di Troia (o per meglio dire da «braccio armato», come ha scritto l’antitrust in una sentenza) per Suez, colosso francese presente nel suo capitale e leader mondiale dell’acqua. L’emiliana Hera si è già posizionata sull’asse da Modena a Pesaro. Iride, nata dalle nozze tra Genova e Torino, prossima alle nozze con Enia e partecipata dall’altro colosso transalpino Veolia, ha già messo un cip su diversi Ato del Nord ovest con l’obiettivo di espandersi verso Parma e Piacenza. Mentre A2a e le multiutility del nordest stanno iniziando a esplorare il campo nelle loro aree. «E con ogni probabilità queste realtà finiranno per affiancarsi in cordata con i big delle costruzioni, visti i grandi lavori che saranno necessari nei prossimi anni», dice Roberto Bazzano, presidente di Federutility.
I margini di manovra delle realtà del Belpaese, come spesso accade, sono però limitati. E la parte del leone nel passaggio dell’acqua dal monopolio pubblico ai monopoli (locali) dei privati, lo faranno i colossi esteri: Veolia e Suez, in società con i partner italiani e in proprio, hanno già scoperto le carte. E potrebbero anche fare da pivot per l’inevitabile processo di consolidamento che dovrebbe seguire com’è successo per l’energia elettrica la prima ondata della liberalizzazione. Ma l’ok definitivo all’articolo 15 potrebbe solleticare gli appetiti dei big inglesi e americani che da tempo hanno acceso un faro sulla situazione italiana.
Altri protagonisti di peso della metamorfosi della nostra acqua dovrebbero essere la Cassa Depositi e prestiti e i fondi come l’F2i di Vito Gamberale specializzati in infrastrutture. «Il vero problema dei primi tempi, vista la rigidità delle regole tariffarie, sarà quello di dotare i nuovi gestori di mezzi per investire dice Bazzano. Un’idea potrebbe essere quella di convincerli a vendere la proprietà delle reti idrica e fognaria a Cdp o ad altre realtà. E magari di consentire loro di finanziarsi con un idrobond garantito appunto dallo Stato o da Cdp per rimettere in sesto una rete che oggi è in condizioni disastrose e garantire acqua e trattamento degli scarichi rispettivamente a quel 5% e quel 16% di italiani che ancora non ce l’hanno».
Cosa succederà poi alle tariffe e al servizio per i consumatori? Le opinioni, come ovvio, divergono, anche se un aumento dei prezzi lo prevedono quasi tutti. «Oggi le bollette italiane sono le meno care d’Europa e non a caso la rete, su cui nessuno ha potuto intervenire per mancanza di soldi, è nello stato in cui è», sostiene Bazzano. Per l’acqua, aggiunge, una famiglia di tre persone paga in media 19,6 euro al mese contro i 26,2 che sborsa per le sigarette, i 58 per i telefonini e i 486 per i trasporti.
«Se non si aumentano i prezzi conclude non si riescono ad attirare i privati». «Bugie replica Bersani Prima della legge Galli, quando il pallino era in mano allo Stato, si spendevano per gli acquedotti due miliardi l’anno. Poi, con l’arrivo del mercato si è scesi a 700 malgrado le bollette siano salite dal ’98 al 2008 del 61%. Per di più le Spa, votate al profitto, non hanno alcun interesse a disincentivare i consumi, favorendo lo spreco di una risorsa che tra poco sarà preziosissima». Non solo: «Ad Arezzo, ad esempio, con l’arrivo dei privati hanno bollette tra le più care d’Italia aggiunge Con un cda ampio e strapagato e investimenti all’osso».
Il vero balzo delle bollette arriverà con ogni probabilità quando verranno riassegnate con gara ad evidenza pubblica le nuove gestioni ai privati. Che dovranno proporre un piano di investimenti per il rinnovo della rete su cui saranno parametrate le tariffe iniziali. Poi ci sarà un tetto ai rincari del 5% annuo. «Visti i soldi necessari per sistemare gli acquedotti è un paletto eccessivo dice Bazzano Noi ad esempio insistiamo per l’istituzione di un’authority indipendente che possa derogare a questi limiti in presenza di ambiziosi piani di spesa sulla rete nei primi anni altrimenti succede quello che capita oggi: si pianificano in fase progettuale progetti di migliorie e manutenzione sugli acquedotti, ma poi se ne realizzano davvero solo il 54%». In Gran Bretagna, ad esempio, c’è quell’Ofwat che ha appena bloccato tutte le richieste di aumento proposte dai gestori privati, mettendo ko i titoli in Borsa.
«Proprio l’Europa ci dice che la strada della cessione ai privati di un bene essenziale in monopolio come l’acqua è un errore conclude Pagano Parigi e altre 30 città francesi hanno appena deciso di rinazionalizzare il servizio dopo i disastri fatti dai privati. L’Olanda ha una legge che impedisce la privatizzazione. La Svizzera lo stesso. Nessun privato alienerebbe a terzi la gestione del suo core business. L’Italia deve tenere il controllo dei suoi acquedotti in mano statale e investire per rimettere a posto la rete». Un progetto, almeno in apparenza, più urgente del ponte sullo Stretto. «Parigi? Una rondine non fa primavera chiude Bazzano In Francia il 70% della distribuzione dell’acqua è fatto dai privati con successo. Vogliamo anche noi che l’Italia mantenga la proprietà dell’acqua e il controllo sulla gestione». Ma con lo stato a corto di fondi, è il suo concetto, gli unici che potranno davvero tappare i buchi della rete idrica «saranno in futuro i privati».