Eugenio Occorsio, Affari & Finanza, 16/11/2009, 16 novembre 2009
GLI AFFARI D’ORO DELLA FINANZA ISLAMICA
(con un pezzo di Mario Draghi) - La Islamic Bank of Britain, fondata nel 2004, quotata sul segmento Aim della Borsa inglese, ha ormai quattro sportelli al dettaglio a Londra e uno ciascuna a Birmingham, Leicester e Manchester. In tutto 197 milioni di sterline, pari a poco più di 200 milioni di euro, in asset, di cui 172 milioni sono i depositi. La Bank of London and the Middle East, creata nel 2006 dalla Boubyan Bank of Kuwait che ne è tuttora la proprietaria, opera invece nei servizi di tesoreria per le istituzioni finanziarie islamiche, nel wealth management, nel corporate e nel private banking: il tutto per 782 milioni di sterline di attività patrimoniali. Altre due banche islamiche, la Eiib e la Gatehouse, hanno rispettivamente 278 e 54 milioni di sterline di asset. Varchiamo la Manica: la Francia ha approvato quest’estate, dopo una serie di traversie che hanno comportato anche un difficile passaggio alla Corte Costituzionale di Parigi, la sua legge di apertura alla finanza islamica. E in Germania, la tesoreria di Magdeburgo, capitale del land della SassoniaAnhalt, ha lanciato all’inizio di ottobre la prima emissione obbligazionaria islamica europea per 100 milioni di euro.
L’Europa insomma, dopo anni in cui, come spiazzata, ha assistito alla marcia trionfale sul suo territorio dei fondi sovrani dei paesi arabi, intenti a rilevare consistenti pacchetti dalla Barclays alla Porsche neoazionista della Volkswagen (l’operazione più recente, in settembre, 7 miliardi di euro per il 17% da parte della Qatar Holding), passa al contrattacco. Intendiamoci: i fondi sovrani sono altra cosa rispetto alla finanza islamica perché operano con criteri assolutamente "occidentali", come hanno tenuto a precisare gli esperti riuniti a Roma dalla Banca d’Italia in un seminario di formazione la settimana scorsa (vedere intervento di Draghi nel box), ma "trasversalmente" sono considerati una parte della grande famiglia della finanza stessa. Se non altro perché all’origine c’è esattamente la stessa fonte, e cioè gli ingenti proventi petroliferi. Cominciare ad entrare nel complesso meccanismo dell’intermediazione islamica, di cui la valorizzazione e utilizzo di questi fondi è solo una parte, è sicuramente un modo per "posizionarsi" in maniera corretta nei confronti di un fenomeno non più trascurabile, come hanno precisato gli stessi partecipanti al forum romano: il fatto stesso che il convegno si sia tenuto, e non senza una certa solennità, indica che anche il nostro paese intende in tempi mediobrevi apportare le modifiche legislative necessarie per entrare nella partita.
Una partita che si fa ogni giorno più importante. Nell’annus horribilis della finanza, il periodo estate 2008estate 2009, mentre il sistema globale si contraeva, il segmento islamico schizzava del 20 e più per cento. Fino a superare, stando alle ultimissime indicazioni della rivista The Banker, il livello di 900 miliardi di dollari, 100 in più delle precedenti stime di poche settimane fa su cui hanno lavorato i tecnici di Bankitalia. Una crescita esponenziale e irrefrenabile in tutti i segmenti: ad esempio le obbligazioni sul modello sukuk, cioè emesse secondo i dettami dalla legge coranica Sharia e riservate ai cittadini musulmani, raggiungeranno a fine anno i 122,7 miliardi di dollari in circolazione, a quanto prevede Moody’s: solo nel 2001 erano non più di 1,8 miliardi.
Decisive in questo caso sono state le liberalizzazioni varate dall’Accounting and Auditing Organisation for Islamic Financial Institutions, l’organismo di vigilanza che ha sede nel Bahrein, nel 2006 e 2007. Resta fermo il divieto di corrispondere interessi: si amplia però il raggio dei sistemi con cui bypassare senza infrangere la legge questo principio. Il più diffuso si chiama murabaha sukuk: l’ente che vuole finanziarsi (lo stato tedesco di cui si parlava o una banca islamica o qualsiasi alta entità autorizzata) vende a una nuova entità appositamente costituita (lo special purpose vehicle), una casa, un terreno, insomma qualcosa di valore. Questo vehicle crea i titoli, li piazza sul mercato, e corrisponde la retribuzione agli investitori finali. Non periodicamente come fosse una cedola, ma in un’unica soluzione alla scadenza. Quando arriva questo momento, per restituire i soldi ai sottoscrittori, il vehicle rivende il bene all’originario debitore, scalando una parte (solo parzialmente prefissata) che corrisponde grosso modo a quello che possiamo chiamare "interesse". Un meccanismo apparentemente complesso ma di sorprendente efficacia che ha una serie di varianti: il sukuk al ijara quando l’asset in questione è finanziario come una commodity, il sukukl al istisna che è simile al projectfinancing infrastrutturale, il sukuk al istithmar che a sua volta somiglia al venture capital, il sukuk al musharaka che condivide i rischi di un affare.
L’importante insomma è legare il finanziamento ad attività reali senza promettere tout court un certo rendimento, perché secondo la Sharia il divieto scatta quando è il mero denaro a produrre altro denaro, la cosiddetta riba che vuol dire "usura". Anche i mutui immobiliari prevedono che sia la banca a comprare la casa, che poi viene come affittata al proprietario, il quale ne assume il pieno possesso solo all’estinzione del mutuo. Altro principio è la condivisione: il takaful, l’assicurazione islamica, prevede la suddivisione dei rischi fra un numero molto ampio di soggetti. Fermi restando questi criteri base, come si diceva, le regole sono molto meno ferree rispetto a pochi anni fa, tanto che si sta anche sviluppando un mercato secondario per le obbligazioni e altri titoli: è ancora agli albori ma già c’è stato chi vi ha scovato occasioni d’oro, come un sukuk della Abu Dhabi Development & Investment Company che è stato rivenduto con uno spread superconveniente sul Libor.
E’ proprio per questo che la finanza islamica si sta ampliando ben oltre i due tradizionali poli, Jeddah in Arabia Saudita, Dubai e tutti gli Emirati da una parte, Giacarta (Indonesia), Singapore e Kuala Lumpur (Malesia) dall’altra. La globalizzazione è nei fatti: in agosto, la Banca Mondiale, tramite la International Finance Corporation, ha emesso i suoi primi sukukbonds per 100 milioni di dollari. E la Islamic Development Bank sta preparando un maxisukuk denominato in sterline per sostenere le banche islamiche operanti in Inghilterra. «L’anno prossimo sarà molto interessante, perché ci sarà un’ondata di nuove emissioni da parte di fonti non tradizionali», prevede Mohammed Dawood, capo del debt capital market della Hsbc Amanah, il braccio islamico della banca anglocinese. Non tutti condividono quest’ottimismo: «Le banche islamiche in Europa sono ancora troppo piccole per essere coinvolte in fusioni e acquisizioni», ha osservato al convegno di Bankitalia l’economista britannico Rodney Wilson della Durham University. «Sul fronte retail poi il limite è che molte famiglie musulmane hanno ancora un basso reddito, senza contare che preferiscono spesso rivolgersi a banche europee».
Insomma, come dicono gli esperti della Banca d’Italia e conferma lo stesso Draghi, qualsiasi steccato per una immissione a pieno titolo della finanza islamica nel grande gioco mondiale è caduto. E ora sarebbe un peccato restarne fuori.
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L’Italia non deve perdere quest’occasione
La finanza islamica proibisce il ricorso all’interesse nelle transazioni finanziarie. Ciò si basa sul principio che gli utili dovrebbero essere considerati legittimi solo a condizione di essere generati da una condivisione completa del rischio nel corso di un investimento (principio delle perdite e dei guadagni condivisi). La finanza islamica ha vissuto una rapida espansione nell’ultimo decennio, con tassi di crescita annui degli attivi nell’ordine del 1015% e una vasta diffusione geografica, ben al di là dei suoi centri tradizionali di gravità in Medio Oriente e nel Sudest asiatico. Lo sviluppo delle obbligazioni islamiche, le sukuk, ha altresì contribuito ad accrescere la dinamicità del segmento islamico nei mercati internazionali dei capitali.
Benché non siano ancora disponibili statistiche ufficiali dalle quali desumere con precisione gli sviluppi globali della finanza islamica, alcune stime effettuate in via riservata quantificano la sua attuale portata sopra agli 800 miliardi di dollari, in termini di asset intermediati, con oltre 600 istituti coinvolti in una cinquantina di Paesi.
La crescita della finanza islamica è un aspetto del ruolo sempre più importante rivestito nel sistema finanziario globale da numerose economie emergenti. Naturalmente si tratta di uno sviluppo molto gradito, in quanto spalanca nuove opportunità per convogliare produttivamente le risorse finanziarie sia a quei Paesi sia ad altri mercati.
Nondimeno, è ovvio che ciò può comportare elementi di maggiore complessità nel sistema finanziario globale. Come ci ha insegnato la recente crisi, una maggiore complessità esige una maggiore cooperazione internazionale da parte dei policy maker e dalle autorità di regolamentazione, per garantire che i benefici di un sistema finanziario dinamico non siano messi a repentaglio dall’instabilità.
La partecipazione attiva delle autorità monetarie dell’Arabia Saudita e dell’Indonesia – il Paese che comprende la più vasta popolazione musulmana al mondo – nell’ambito del Financial Stability Board, è un contributo fondamentale per perseguire il nostro comune obiettivo, quello di un sistema finanziario globale stabile e solido. Tuttavia, non potrà esservi alcuna cooperazione proficua senza un’adeguata conoscenza delle caratteristiche più importanti delle diverse componenti del sistema finanziario, nonché delle loro interazioni. con questo spirito che la Banca d’Italia ha lanciato l’iniziativa dell’odierno seminario, riproponendosi di promuovere una migliore comprensione delle caratteristiche del settore della finanza islamica e delle sue implicazioni per il sistema finanziario in Europa e in Italia.
Per la Banca d’Italia è importante approfondire le conoscenze in proposito, anche in considerazione della rilevanza che la finanza islamica assume per i compiti istituzionali che le spettano, in qualità di membro dell’Eurosistema e di Autorità di vigilanza del settore finanziario e bancario in Italia.