Stefano Righi, CorrierEconomia, 16/11/2009, 16 novembre 2009
SI PUNTA SU NICCHIE ANCHE DELL1% PURCHE’ IN ESCLUSIVA
Roma questa notte è passata al digitale terrestre. Una rivoluzione nel mondo della tv, che vive un momento di grande discontinuità in Italia. L’offerta non è mai stata ampia come ora e i grandi player si dividono un mercato caratterizzato da parziali monopoli tecnologici. Sky sul satellite, Mediaset sul digitale, la Rai regina di ascolti ma in ritardo.un risveglio digitale quello odierno per Roma. Nella capitale e nel Lazio è stata la notte dello switch- off , per la piccola storia della televisione italiana, una rivoluzione. Nel giro di poche ore è stato spento il segnale analogico – quello della vecchia televisione in funzione dal 1954 – ed è stato attivato quello digitale.
Un cambiamento per alcuni incomprensibile, visto che i Vespa, i Santoro e le Raffaella Carrà rimangono gli stessi, ma che – al netto delle letture politiche legate agli interessi della famiglia del premier Silvio Berlusconi nel settore televisivo – presenta degli oggettivi vantaggi nel senso del miglioramento del segnale audio e video e, soprattutto, di una maggiore possibilità di accesso alla diffusione nazionale da parte di operatori privati.
Il tutto, valeva la spesa? Di sicuro quanto è successo la notte scorsa a Roma non ha uguali: il passaggio dalla tv in bianco e nero al colore fu graduale e su base volontaria; l’abbandono della benzina «rossa» per la «verde» sostenuta da forti implicazioni ecologiche e spalmata su un lungo periodo. Il passaggio al digitale invece avviene sì per regioni, ma il coinvolgimento di così tante persone (5,6 milioni di abitanti nel Lazio), in un solo momento è un primato europeo. Il segno che sebbene i protagonisti della televisione generalista siano sempre gli stessi, qualcosa in questo mondo sta cambiando.
Cambiamento
« Il mood generale – spiega
Eidonpress Marco Gambaro, docente di Economia della comunicazione all’università Statale di Milano – è che stanno mutando molte cose, meno rapidamente di quanto possa apparire, ma cambiano davvero. Il punto di partenza è che i sei primi canali generalisti fanno comunque più dell’80 per cento di share . Il satellite arriva mediamente all’ 8 per cento, che è meno di quanto fanno Rai3 o Rete4. E il primo canale satellitare è visto da circa un decimo degli spettatori di Rete4, al punto che tutti i canali satellitari assieme sono visti quanto un piccolo canale della tv generalista». Il tutto si inserisce in una cornice che, spiega ancora Gambaro, «pone la televisione in Italia ancora come un elemento molto importante, al quale il cittadino dedica mediamente 4 ore e mezza ogni giorno: è il maggior consumo di tempo dopo il dormire e il lavorare… Anche per questo l’introduzione del digitale terrestre è un fattore tanto delicato».
Monopoli
In questo momento l’Italia della tv assomiglia a un insieme di monopoli nascosti. Monopoli tecnologici. Sul satellite domina Sky. Il digitale terrestre è affare di Mediaset. La Rai? Signora dell’analogico e regina dell’ audience è sotto attacco e in ritardo sia nei confronti di una piattaforma che dell’altra. E si trova – per pigrizie politiche – a inseguire un ruolo di leader che un tempo le apparteneva, mentre i due player più attivi del momento giocano a invadere il terreno altrui con iniziative estemporanee che mirano soprattutto ad occupare spazi.
Lo prova Sky, che ad inizio dicembre renderà possibile ai suoi clienti la visione del segnale digitale terrestre, grazie a una chiavetta da inserire nel decoder. Il gruppo di Murdoch punta a sfruttare questo momento di discontinuità per allargare il mercato con il canale Cielo, ma anche ad alzare la qualità tecnica delle trasmissioni, trasformandosi all’occorrenza da semplice venditore di programmi a venditore (anche) di televisioni per colmare un gap tra la tecnologia offerta e la tecnologia disponibile, secondo i dettami di una direttiva interna dello scorso ottobre.
Sempre meno
Tecnicamente si definisce
«frammentazione dell’ audience
»: cento e più canali che si dividono gli spettatori che un tempo finivano sul Primo o sul Secondo. Rischiatutto, che dominava il giovedì degli italiani, si è chiuso con la domanda finale a Massimo Inardi il 10 giugno 1972. Da allora solo la nazionale di calcio – e solo per certi appuntamenti – ha avuto il medesimo potere catalizzante delle trasmissioni della prima tv. Oggi tra analogico, digitale e satellite c’è chi mediamente in un mese, nella fascia 20,30-22,30 non arriva a 5 mila spettatori. «Una tendenza che si confermerà in futuro – spiega Gambaro – perché l’arrivo del digitale terrestre aumenterà l’offerta, aprendo spazi a canali con budget medio, che possono aspirare a share quali quelli che raggiunge La7, ma spendendo molto meno». E questo, continua il docente milanese, porterà a maggiore complessità, concorrenza e difficoltà nella programmazione del palinsesto, con una diminuzione delle certezze per l’investitore pubblicitario. Quest’ultimo dovrà dividere le proprie risorse tra piattaforme digitali e satellitari, canali in chiaro e a pagamento. Oltre a Internet.
La minaccia
Viene infatti dal web la minaccia potenzialmente più pericolosa per i network tradizionali. Lo dimostra Mediaset, in causa con You Tube per la difesa del diritto di proprietà dei contenuti. Oggi anche in Italia i giovani trascorrono più tempo davanti al pc che alla tv. Un dato prospettivamente indicativo. Ma si sono mossi in pochi. La direzione porta verso la catch- up tv, ovvero il palinsesto fai-da-te. Finora l’esempio più strutturato è quello di Fastweb, che ai consueti servizi Internet e telefonici affianca da anni una propria televisione. «Noi non produciamo contenuti – spiega Danilo Vivarelli, direttore delle strategie di Fastweb – ma forniamo una piattaforma aperta. Siamo un abilitatore tecnologico, perché con Fastweb si possono vedere i programmi sul satellite di Sky, ma anche il digitale terrestre di Mediaset. In più ci sono i canali on- demand , come i nuovi con Disney, e il primo vero esempio italiano di catch- up tv, che è il nostro servizio Replay: tutta la tv delle reti generaliste disponibile per i tre giorni successivi alla messa in onda».