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 2009  novembre 16 Lunedì calendario

UN ESERCITO PER L’EUROPA: PER ORA SOLO BUONI PROPOSITI

La strada del Trattato di Lisbona è ormai definitivamente spianata. Tra i punti centrali di tale Trattato spicca la grande attenzione riservata alla politica estera e di sicurezza comune; una scelta dettata dalla consapevolezza che l’Europa potrà diventare più forte e autorevole solo attraverso un’azione più efficace sulla scena internazionale. Per riuscirvi, però, il «vecchio continente» dovrà anche rafforzare le proprie capacità militari (oggi invero limitate) e giungere alla definizione di una vera e propria politica di difesa comune dell’Unione; un obbiettivo sicuramente ambizioso ma, soprattutto, una questione che coinvolge delicati temi della sovranità dei singoli Paesi membri, tanto da far nascere una domanda: e se ambizioso facesse rima con pretenzioso?

Giovanni Martinelli

Viareggio (Lu)

Caro Martinelli,
Lei ha ragione. Il mini­stro degli Esteri del­l’Unione europea non sarà convincente se non sarà in grado di dire ai suoi interlo­cutori che l’Ue è pronta a pun­tellare le proprie posizioni e a promuovere i suoi disegni in­ternazionali mettendo in cam­po, se necessario, le proprie forze militari. Occorrerà parti­re naturalmente dall’incontro di Saint Malo del dicembre 1998, quando Tony Blair, inse­diato alla testa del governo britannico dal maggio 1997, e Jacques Chirac, presidente della Repubblica francese dal 1995, si accordarono su un’iniziativa che avrebbe do­vuto dare all’Europa un ruolo autonomo in materia di dife­sa. Il primo era convinto che il suo Paese avrebbe dovuto fare una più attiva politica eu­ropea e pensava che l’iniziati­va gli avrebbe consentito di avere, a Bruxelles e a Stra­sburgo, una maggiore in­fluenza. Il secondo pensava che un asse franco-inglese in campo militare, aggiunto al tradizionale asse franco-tede­sco per le questioni comuni­­tarie, avrebbe fatto della Fran­cia la cerniera del processo d’integrazione.

L’incontro di Saint Malo su­scitò diffidenze nei Paesi (fra cui l’Italia) che si videro desti­nati a recitare una parte di se­condo piano. Ma nessuno eb­be il coraggio di opporsi e il vertice europeo di Helsinki, un anno dopo, decise la costi­tuzione di una forza di reazio­ne rapida che sarebbe stata composta da 60 mila uomini. Il progetto avanzò molto len­tamente e si scontrò, tra l’al­tro, con le resistenze degli Sta­ti Uniti, decisi a impedire che il ruolo militare dell’Ue spo­gliasse la Nato delle sue fun­zioni. Oggi la Forza è teorica­mente esistente (gli italiani sono 6 mila), ma non è un esercito europeo. I contingen­ti di cui è composta restano nazionali e dovrebbero diven­tare europei, nel momento del bisogno, entro 60 giorni.

Esiste poi un’Agenzia euro­pea di difesa nata nel luglio del 2004. Ma è soprattutto un ufficio di coordinamento co­stituito, tra l’altro, per miglio­rare la capacità di difesa del­l’Ue nel settore della gestione delle crisi e promuovere la co­operazione europea in mate­ria di armamenti. Come vede, caro Martinelli, i buoni propo­siti non mancano. mancato tuttavia sinora il desiderio di trasformarli in un vero eserci­to. Negli archivi dell’Ue è an­cora sepolto, sotto una pila di carte e discorsi, il corpo di una «bella addormentata», la Comunità europea di difesa, respinta da un voto del Parla­mento francese nel 1954. Oc­correrebbe risvegliarla.