Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  novembre 16 Lunedì calendario

E GLI STUDENTI RISCOPRONO L’ISTITUTO TECNICO

Ipregiudizi, si sa, sono duri a mo­rire. Come quello secondo il qua­le, ad esempio, al liceo vanno «quelli bravi», e per chi proprio non ce la fa ci sono pur sempre i tecnici. Eppure: un diplomato tecnico su 2 si iscrive all’università; escono dagli istituti tecnici 22 ogni 100 degli as­sunti dalle aziende (nel 1992 erava­mo a quota 12, oggi siamo primi in Europa, meglio della Germania); nel­le Regioni «ad elevata industrializza­zione », in primis il Veneto, gli studen­ti di queste scuole hanno risultati mi­gliori dei loro coetanei nei famigerati test internazionali Pisa-Ocse.

Se ne discute da anni, di come tor­nare a valorizzare il ruolo degli istitu­ti tecnici nel nostro sistema di forma­zione. Oggi, forse, il vento è cambia­to. Lo dimostrano i passi avanti com­piuti, in questo senso, dal ministero guidato da Mariastella Gelmini: il 28 maggio, il Consiglio dei ministri ha approvato un regolamento volto a ri­definire il vasto mondo dell’istruzio­ne tecnica e professionale. A ben 78 anni – come tenne a precisare, a suo tempo, Viale Trastevere – dall’ulti­mo «riordino». In sintesi: i tecnici del futuro saranno divisi in due settori, economico e tecnologico. Due indiriz­zi per il primo, 9 per il secondo. Più laboratori, più inglese, ampie aree di flessibilità in cui «possono essere re­cuperati e valorizzati settori produtti­vi strategici». Soprattutto, tra gli obiettivi-chiave ci sarà «la creazione di un raccordo più stretto con il mon­do del lavoro e delle professioni».

«Finalmente, dopo sei anni di atte­sa e tre rinvii – uno per ogni mini­stro: Moratti, Fioroni e Gelmini – si parte; la settimana scorsa è arrivato il parere favorevole delle Regioni, en­tro dicembre dovrebbe esserci l’ap­provazione definitiva. Si inizierà a set­tembre 2010», fa il punto Claudio Gentili, direttore Education per Con­findustria. Che in questi giorni schie­ra in campo tutte le sue forze, per la Giornata nazionale Orientagiovani: alla sua sedicesima edizione, è l’even­to annuale con cui l’associazione de­gli industriali mette a confronto ra­gazzi e imprenditori. In programma per domani, 80 eventi in altrettante città, che coinvolgeranno centinaia di industriali e 40 mila studenti, con un appuntamento-cardine a Vicenza, proprio nel cuore di quel Veneto che è tra le prime Regioni (con Lombar­dia, Puglia, Lazio e Sicilia) ad anticipa­re le linee guida della riforma. «E per la prima volta l’obiettivo sarà rivol­gerci non agli universitari, bensì ai tredicenni. Perché il vero problema del nostro Paese è che non preparia­mo i ragazzi al futuro: i nostri figli non sanno più cosa vogliono fare da grandi. Bisogna tornare alle ’botte­ghe’ medievali, veri laboratori di tec­nica e cultura. Che oggi si chiamano istituti tecnici».

Il guaio è che da parecchio tempo, ormai, le nostre «botteghe» sono a corto di apprendisti. «Da un lato – riassume Gentili – le imprese si spe­cializzavano, andando a caccia di tec­nici già formati; dall’altro, le mamme e gli insegnanti delle medie spingeva­no i ragazzini a scelte liceali». Il «sor­passo » è avvenuto in un momento preciso, l’anno scolastico 2003-04: è qui che le due curve degli iscritti ai licei e ai tecnici si incrociano, all’incir­ca a quota 36%. Da lì in poi, la parabo­la degli istituti tecnici entra nella sua fase discendente. Un flusso che si in­verte soltanto un paio d’anni fa, «e in effetti da allora abbiamo registrato un vero boom di iscritti: +70% sul bi­ennio, con un picco del 48% nelle pri­me dell’anno scorso», conferma Gian­ni Zen, preside dell’Itis Alessandro Rossi di Vicenza. Un istituto che van­ta 131 anni di storia, e accoglie 1.200 studenti. Una di quelle scuole che, co­me l’Aldini Valeriani di Bologna o il Malignani di Udine, ha realmente contribuito a scrivere la storia d’Ita­lia: «Di fatto, è qui che si è formata la struttura imprenditoriale non solo vi­centina, ma di tutto il Veneto». Di più: nelle aule del Rossi è transitato, prima di metter su casa a Silicon Val­ley, Federico Faggin, il «papà» del mi­crochip; e con lui i vari Riello, Gem­mo, insomma l’aristocrazia produtti­va del Nordest.

Tempi d’oro che ora potrebbero tornare, dati alla mano: nel 2009, a crisi imperversante, le aziende danno disperatamente la caccia a qualcosa come 210 mila diplomati tecnici. L’of­ferta, per contro, si attesta a quota 130 mila. «Le aziende – conferma Zen – hanno fame di tecnici bravi e creativi. Il punto è che oggi alcune scuole producono diplomati che non trovano spazio sul mercato: bisogna avere il coraggio di dire la verità alle famiglie». Un’analisi condivisa anche da industriali come Paolo Bastianel­lo, titolare della vicentina Marlys Con­fezioni, 90 dipendenti (80 donne). Che si spinge un passo più in là: «An­che il corpo docente deve smettere di avere pregiudizi verso il mondo d’im­presa. Così facciamo solo del male ai nostri ragazzi». Sono aziende come quella di Ba­stianello che hanno scelto di entrare nel novero del «Club dei 15», le asso­ciazioni di categoria delle 15 Provin­ce italiane con il più alto tasso di in­dustrializzazione (e una forte vocazio­ne manifatturiera), che hanno «adot­tato » un istituto tecnico d’eccellenza del proprio territorio. Funziona, il patto scuola-impresa? A quanto pare, sì: «Da due anni con il tessile Sartori di Lonigo stiamo attuando un proget­to di alternanza scuola-lavoro. Le ra­gazze stavano con noi dalle 14 alle 18, concentrandosi quasi tutte sul modellismo, la parte forte del made in Italy : si è creato un rapporto saldo, continuativo. In due casi, addirittura, abbiamo assunto». (Piccola parentesi quasi fuori tema: la giornata vicenti­na avrà una parte dedicata proprio a «donne e tecnologia», tema sensibi­lissimo, con Emma Marcegaglia, Fe­derica Guidi e un videomessaggio del Nobel Doris Lessing). Perché è chiaro, dice Bastianello, che «per noi non è buonismo, ma un investimen­to »; lo è però altrettanto che «se vo­gliamo diventare un Paese più moder­no, stare al passo con gli altri, ci ser­vono teste pensanti; e per avere teste pensanti, bisogna entrare nell’ottica per cui il mondo del lavoro e quello della formazione devono integrarsi». Ragionamento condiviso, anche per motivi molto pratici, dall’altro la­to della barricata: «Se vogliamo che i nostri ragazzi scelgano una formazio­ne tecnica – interviene il professor Dino Poli ”, allora dovete darci un maggior numero di risorse. questo, ahimè, che non si vuole capire». Poli è il preside dell’Itis Ferraris di Verona (800 studenti, di cui 40 ragazze). «In passato ne avevamo a sufficienza, fa­re i laboratori era facile; poi, da un de­cennio a questa parte, anche i licei hanno costruito strutture laboratoria­li che a loro, sinceramente, non servi­vano. E a noi hanno tolto i fondi». Chiaro che la collaborazione con le re­altà produttive del territorio diventi, a questo punto, cruciale. Per questo, e per definire le specializzazioni più adatte, «in funzione degli sbocchi che si creano sul territorio, un buon rapporto con le aziende è fondamen­tale. Se non c’è, noi che ci stiamo a fare?».