Gabriela Jacomela, Corriere della Sera 16/11/2009, 16 novembre 2009
E GLI STUDENTI RISCOPRONO L’ISTITUTO TECNICO
Ipregiudizi, si sa, sono duri a morire. Come quello secondo il quale, ad esempio, al liceo vanno «quelli bravi», e per chi proprio non ce la fa ci sono pur sempre i tecnici. Eppure: un diplomato tecnico su 2 si iscrive all’università; escono dagli istituti tecnici 22 ogni 100 degli assunti dalle aziende (nel 1992 eravamo a quota 12, oggi siamo primi in Europa, meglio della Germania); nelle Regioni «ad elevata industrializzazione », in primis il Veneto, gli studenti di queste scuole hanno risultati migliori dei loro coetanei nei famigerati test internazionali Pisa-Ocse.
Se ne discute da anni, di come tornare a valorizzare il ruolo degli istituti tecnici nel nostro sistema di formazione. Oggi, forse, il vento è cambiato. Lo dimostrano i passi avanti compiuti, in questo senso, dal ministero guidato da Mariastella Gelmini: il 28 maggio, il Consiglio dei ministri ha approvato un regolamento volto a ridefinire il vasto mondo dell’istruzione tecnica e professionale. A ben 78 anni – come tenne a precisare, a suo tempo, Viale Trastevere – dall’ultimo «riordino». In sintesi: i tecnici del futuro saranno divisi in due settori, economico e tecnologico. Due indirizzi per il primo, 9 per il secondo. Più laboratori, più inglese, ampie aree di flessibilità in cui «possono essere recuperati e valorizzati settori produttivi strategici». Soprattutto, tra gli obiettivi-chiave ci sarà «la creazione di un raccordo più stretto con il mondo del lavoro e delle professioni».
«Finalmente, dopo sei anni di attesa e tre rinvii – uno per ogni ministro: Moratti, Fioroni e Gelmini – si parte; la settimana scorsa è arrivato il parere favorevole delle Regioni, entro dicembre dovrebbe esserci l’approvazione definitiva. Si inizierà a settembre 2010», fa il punto Claudio Gentili, direttore Education per Confindustria. Che in questi giorni schiera in campo tutte le sue forze, per la Giornata nazionale Orientagiovani: alla sua sedicesima edizione, è l’evento annuale con cui l’associazione degli industriali mette a confronto ragazzi e imprenditori. In programma per domani, 80 eventi in altrettante città, che coinvolgeranno centinaia di industriali e 40 mila studenti, con un appuntamento-cardine a Vicenza, proprio nel cuore di quel Veneto che è tra le prime Regioni (con Lombardia, Puglia, Lazio e Sicilia) ad anticipare le linee guida della riforma. «E per la prima volta l’obiettivo sarà rivolgerci non agli universitari, bensì ai tredicenni. Perché il vero problema del nostro Paese è che non prepariamo i ragazzi al futuro: i nostri figli non sanno più cosa vogliono fare da grandi. Bisogna tornare alle ’botteghe’ medievali, veri laboratori di tecnica e cultura. Che oggi si chiamano istituti tecnici».
Il guaio è che da parecchio tempo, ormai, le nostre «botteghe» sono a corto di apprendisti. «Da un lato – riassume Gentili – le imprese si specializzavano, andando a caccia di tecnici già formati; dall’altro, le mamme e gli insegnanti delle medie spingevano i ragazzini a scelte liceali». Il «sorpasso » è avvenuto in un momento preciso, l’anno scolastico 2003-04: è qui che le due curve degli iscritti ai licei e ai tecnici si incrociano, all’incirca a quota 36%. Da lì in poi, la parabola degli istituti tecnici entra nella sua fase discendente. Un flusso che si inverte soltanto un paio d’anni fa, «e in effetti da allora abbiamo registrato un vero boom di iscritti: +70% sul biennio, con un picco del 48% nelle prime dell’anno scorso», conferma Gianni Zen, preside dell’Itis Alessandro Rossi di Vicenza. Un istituto che vanta 131 anni di storia, e accoglie 1.200 studenti. Una di quelle scuole che, come l’Aldini Valeriani di Bologna o il Malignani di Udine, ha realmente contribuito a scrivere la storia d’Italia: «Di fatto, è qui che si è formata la struttura imprenditoriale non solo vicentina, ma di tutto il Veneto». Di più: nelle aule del Rossi è transitato, prima di metter su casa a Silicon Valley, Federico Faggin, il «papà» del microchip; e con lui i vari Riello, Gemmo, insomma l’aristocrazia produttiva del Nordest.
Tempi d’oro che ora potrebbero tornare, dati alla mano: nel 2009, a crisi imperversante, le aziende danno disperatamente la caccia a qualcosa come 210 mila diplomati tecnici. L’offerta, per contro, si attesta a quota 130 mila. «Le aziende – conferma Zen – hanno fame di tecnici bravi e creativi. Il punto è che oggi alcune scuole producono diplomati che non trovano spazio sul mercato: bisogna avere il coraggio di dire la verità alle famiglie». Un’analisi condivisa anche da industriali come Paolo Bastianello, titolare della vicentina Marlys Confezioni, 90 dipendenti (80 donne). Che si spinge un passo più in là: «Anche il corpo docente deve smettere di avere pregiudizi verso il mondo d’impresa. Così facciamo solo del male ai nostri ragazzi». Sono aziende come quella di Bastianello che hanno scelto di entrare nel novero del «Club dei 15», le associazioni di categoria delle 15 Province italiane con il più alto tasso di industrializzazione (e una forte vocazione manifatturiera), che hanno «adottato » un istituto tecnico d’eccellenza del proprio territorio. Funziona, il patto scuola-impresa? A quanto pare, sì: «Da due anni con il tessile Sartori di Lonigo stiamo attuando un progetto di alternanza scuola-lavoro. Le ragazze stavano con noi dalle 14 alle 18, concentrandosi quasi tutte sul modellismo, la parte forte del made in Italy : si è creato un rapporto saldo, continuativo. In due casi, addirittura, abbiamo assunto». (Piccola parentesi quasi fuori tema: la giornata vicentina avrà una parte dedicata proprio a «donne e tecnologia», tema sensibilissimo, con Emma Marcegaglia, Federica Guidi e un videomessaggio del Nobel Doris Lessing). Perché è chiaro, dice Bastianello, che «per noi non è buonismo, ma un investimento »; lo è però altrettanto che «se vogliamo diventare un Paese più moderno, stare al passo con gli altri, ci servono teste pensanti; e per avere teste pensanti, bisogna entrare nell’ottica per cui il mondo del lavoro e quello della formazione devono integrarsi». Ragionamento condiviso, anche per motivi molto pratici, dall’altro lato della barricata: «Se vogliamo che i nostri ragazzi scelgano una formazione tecnica – interviene il professor Dino Poli ”, allora dovete darci un maggior numero di risorse. questo, ahimè, che non si vuole capire». Poli è il preside dell’Itis Ferraris di Verona (800 studenti, di cui 40 ragazze). «In passato ne avevamo a sufficienza, fare i laboratori era facile; poi, da un decennio a questa parte, anche i licei hanno costruito strutture laboratoriali che a loro, sinceramente, non servivano. E a noi hanno tolto i fondi». Chiaro che la collaborazione con le realtà produttive del territorio diventi, a questo punto, cruciale. Per questo, e per definire le specializzazioni più adatte, «in funzione degli sbocchi che si creano sul territorio, un buon rapporto con le aziende è fondamentale. Se non c’è, noi che ci stiamo a fare?».