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 2009  novembre 16 Lunedì calendario

«Lo scudo ci metterà in ginocchio» La richiesta d’aiuto dei ticinesi a Berna Missione nella capitale svizzera

«Lo scudo ci metterà in ginocchio» La richiesta d’aiuto dei ticinesi a Berna Missione nella capitale svizzera. Le banche: pronti a far firmare una liberatoria ai clienti MILANO – In Canton Ticino oggi ci sono 26 mila disoccupati; ma ogni giorno oltre 50 mila italiani varcano il confine e vanno a lavorare a Luga­no, Chiasso, Locarno. Sempre in Canton Ticino circa i due terzi dei de­positi bancari appartengono a citta­dini italiani, ma una larga fetta di questa massa di denaro potrebbe sparire dai forzieri per effetto dello scudo fiscale, con conseguente tra­collo delle finanze pubbliche e del­l’economia cantonale: il gettito fisca­le proveniente dal settore del credi­to secondo le prime stime scenderà da 200 a 100 milioni di franchi. Ci sono stati sicuramente periodi in cui l’Italia, appena al di là del suo confine settentrionale, è stata più amata di oggi. Giovedì prossimo questo sentimento di «fiducia tradi­ta », che per una larga parte della po­litica e dell’opinione pubblica ticine­se è diventato ormai insostenibile, troverà sfogo e verrà messo sul tavo­lo del governo federale di Berna. La «guerra fredda» tra Italia e Svizzera innescata dall’amnistia fiscale tre­montiana si arricchirà infatti di un ulteriore passo: l’intero governo del Canton Ticino guidato dal leghista Marco Borradori andrà in delegazio­ne nella capitale elvetica chiedendo interventi più risoluti di quelli adot­tati finora nei confronti di Roma. Lo stop ai negoziati bilaterali sul­l’imposizione fiscale deciso dal pre­sidente della Confederazione Hans-Rudolf Merz, il «cartellino gial­lo » mostrato all’ambasciatore italia­no a Berna, le «ronde» contro fanto­matici agenti italiani infiltrati in Can­ton Ticino non sembrano bastare più. La regione di lingua italiana del­la Svizzera chiede adesso contromi­sure più mirate e decise contro lo scudo ma anche contro quella che a Lugano viene vissuta come una vera e propria «campagna anti svizzera» da parte dell’Italia. Su cosa andare a sollecitare giove­dì a Berna, tuttavia, le posizioni di partenza non sono univoche. Non ri­nuncia a brandire l’ascia di guerra la Lega dei Ticinesi, partito ispirato al­le posizioni di Umberto Bossi ma che nella sua battaglia contro Roma non ha ricevuto finora alcuna «spon­da » politica da parte del Carroccio italiano. Ieri il deputato della Lega dei ticinesi Lorenzo Quadri è torna­to a proporre di giocare la carta più risoluta: una denuncia alle autorità di controllo della Ue e dell’Ocse con­tro le misure del governo Berlusco­ni. Il presupposto – secondo Qua­dri – è che lo scudo fiscale sia in contrasto con le regole antiriciclag­gio internazionali. A sostegno della sua richiesta il deputato ticinese cita un’interrogazione presentata di re­cente a Bruxelles da alcuni deputati italiani dell’Idv e basata sulle mede­sime considerazioni. Più ammorbidite invece la posi­zioni del Partito Popolare Democrati­co. «Gli effetti collaterali dello scu­do – afferma Paolo Beltraminelli, ’municipale’, vale a dire assessore al comune di Lugano – saranno pe­santi per l’economia della città e del Cantone, molto più di quelle dei due precedenti provvedimenti analoghi, almeno a giudicare dal viavai di ita­liani a cui assistiamo nelle banche di Lugano; stavolta si stima che pren­derà il volo il 30% degli attuali depo­siti bancari del Ticino. La missione a Berna vuole dunque invitare il go­verno federale ad aprire gli occhi su quanto sta accadendo: non voglia­mo vivere in una situazione da Ger­mania Est, con telecamere ai confini e agenti italiani inviati in incognito. Ma chiediamo anche stanziamenti straordinari a sostegno dell’econo­mia del Ticino, minacciata dalle deci­sioni dell’Italia». La guerra di confine intanto si ar­ricchisce anche di un altro capitolo, stavolta sul fronte bancario. Ieri Pa­trick Odier, chairman dell’Associa­zione dei banchieri svizzeri ha pro­posto una misura destinata a far di­scutere: i cittadini stranieri che de­positano risparmi nella patria di Gu­glielmo Tell dovranno sottoscrivere una dichiarazione in cui affermano che quei soldi non provengono da reati commessi nel loro Paese. Tale impegno mira a sollevare da guai giudiziari gli istituti di credito elveti­ci che accoglieranno in futuro soldi dall’estero. Gli accordi internazionali obbliga­no la Svizzera a fornire collaborazio­ne giudiziaria contro una serie di gravi reati (mafia, terrorismo, corru­zione) ma non su altri, ad esempio l’evasione fiscale. Ma di recente alcu­ni giudici italiani hanno «alzato il ti­ro » nelle loro inchieste sull’illecita circolazione dei capitali. La scorsa estate la procura di Como ha chiesto ad esempio di processare, nell’ambi­to di un’inchiesta di riciclaggio, non solo gli esportatori italiani di valuta, non solo gli «spalloni» che trasferi­vano il denaro, ma anche i dirigenti di banche e fiduciarie elvetiche che si erano prestate al gioco.