Scurati-Camilleri, La Stampa 15/11/2009, 15 novembre 2009
Scurati. «Camilleri, lei ha circa la stessa età della Bompiani. Ha qualche ricordo che risale alla sua giovinezza, magari anche alla sua infanzia, che incrocia la storia della casa editrice? Camilleri
Scurati. «Camilleri, lei ha circa la stessa età della Bompiani. Ha qualche ricordo che risale alla sua giovinezza, magari anche alla sua infanzia, che incrocia la storia della casa editrice? Camilleri. «Be’, sì. Mio padre, che si occupava di tutt’altro che di letteratura, era però un buonissimo lettore. E quindi, quando io a sei anni cominciai a leggere, gli domandai: ”Papà, quale libro tuo posso leggere?” con una sorta di autocensura infantile. E mio padre disse: ”Tutti i libri si possono leggere”. E io agguantai il primo libro che mi capitò sottomano. Era La follia di Almayer, di Conrad. Successivamente mi capitò un libro di tale George Sim, che risultò poi essere Simenon. Ecco, in quella biblioteca c’era di tutto. E naturalmente c’erano i libri Bompiani, che allora andavano molto. Soprattutto Kormendi, un ungherese, autore di Un’avventura a Budapest, oppure Cronin: La cittadella e E le stelle stanno a guardare. In seguito, crescendo, cominciai a comprarmi i libretti delle collana Corona, erano delle riedizioni di vecchie storie ma preziosissime. Soprattutto, avevano delle splendide introduzioni. Naturalmente questi libri non arrivavano al mio paese e nemmeno ad Agrigento. Io ogni tanto mi facevo quattro ore di treno fino a Palermo, andavo alla libreria Flaccovio e raccoglievo un po’ di novità. Mi ricordo che comprai Montale e quella poesia che finisce ”... scordato strumento, cuore”, mi commossi. Il contadino che era seduto davanti a me dice: ”Che fa, chiange?”». Scurati. «Avrà pensato a un lutto». Camilleri. «Sì. E io dissi: ”No, mi trasì tanticchia di cravuni nell’occhio” perché i treni allora erano a carbone. Fu a seguito di uno di quei viaggi che comprai, nel ”41, Conversazione in Sicilia di Vittorini. Lo cominciai in treno e non finii mai più di leggerlo, perché fu un libro che mi sconvolse. Pensi che io, fino a quel momento leggevo con tanta passione, Cecchi, e gli elzeviristi che mi piacevano tanto, elegantissimi. Però Vittorini segnò un discrimine. Nello stesso anno mi capitò tra le mani un libro che era stato pubblicato da Bompiani nel ”34, La condizione umana, di André Malraux. Lì credo veramente che masse di cellule nel mio cervello si spostarono, perché quando finii di leggerlo mi era venuta qualche linea di febbre, tanto mi aveva emozionato e sconvolto. Per un motivo molto semplice: mio padre era squadrista e marciò su Roma. E i comunisti a casa mia erano quella pecora nera, quella cosa orrenda … E io invece in quel libro mi accorsi che erano tutt’altra cosa. Tra l’altro, mi domando ancora come la censura fascista avesse permesso alla Bompiani di pubblicare nel ”34 quel libro». Scurati. «Ritiene ancora possibile o diffusa l’esperienza di lettura che lei fece con La condizione umana? La quale, fra l’altro, implica che un libro valga al di là di quanto vende. Glielo chiedo perché a noi sembra che ormai l’unico parametro per pesare un libro sia quello delle classifiche di vendita. Lo dico senza polemiche, è un dato quasi oggettivo. Ormai fatichiamo a trovarne altri. Che ne è stato della capacità di un libro di orientare un’esistenza?». Camilleri. «Deve pensare che si era alla metà degli Anni Quaranta. Be’, non c’era la televisione. E la radio trasmetteva canzonette, oppure il sabato sera le conversazioni fasciste. Quindi veramente la lettura era estremamente formativa, perché non distratta. Tu leggevi con una concentrazione che oggi mi viene difficile ritrovare. Avevamo delle antenne pronte a captare ogni minimo segnale che fosse diverso e potesse pervenire entro la cappa, che oscuramente sentivamo essere tale, del fascismo. Quindi eravamo in una condizione particolare: in una condizione di crescita e in una condizione di ascolto estremo. Mi è capitato proprio pochi anni fa di leggere un articolo della Rossanda, che coincideva esattamente con la mia formazione di comunista attraverso la lettura di La condizione umana di Malraux. Quindi, io che mi trovavo in Sicilia e lei che era a Trieste... avemmo la stessa influenza, la stessa suggestione. Oggi penso che sia molto più difficile». Scurati. «Oggi le antenne servono a crearla, la cappa, invece che a perforarla...» . Camilleri. «Esattamente». Scurati. «Se oggi qualcuno le dicesse - e il paragone con i nostri giorni lo lasciamo sullo sfondo - che non è mai esistita censura fascista, tanto è vero che lasciavano pubblicare perfino La condizione umana!». Camilleri. «Vittorini si trovò nei guai quando pubblicò proprio per Bompiani la celebre antologia Americana. Tagliarono le sue note, che indirizzavano il lettore in una certa direzione. E quindi, ciò vuol dire che la censura certe volte il suo mestiere lo sapeva fare, certe altre volte era completamente imbecille. Ma lei mi diceva di oggi?..». Scurati. «Sì, perché da una certa parte, per sostenere che non ci sarebbe alcuna restrizione delle possibilità d’espressione, si portano a esempio quei pochi organi d’informazione, quei pochi programmi televisivi dissenzienti che ancora sopravvivono. Si giunge al paradosso di sostenere che basterebbe la presenza anche di una sola voce antagonista per testimoniare di un perfetto pluralismo». Camilleri. «Per ciò che riguarda la letteratura, fino a questo momento non c’è censura, onestamente. La censura esiste, e forte - è una pressione criptocensoria, più che una censura - invece sull’informazione». Scurati. «Cripto. E auto. Autocensura preventiva». Camilleri. «Ecco, è questa la cosa più grave. Vede, col fascismo, se lei voleva scrivere su un giornale, doveva prendere la tessera del Partito Fascista. In un certo senso era una formalità, perché poi uno nell’animo restava antifascista, se lo era. Però aveva questa sorta di passi che era la tessera del Partito Fascista. Oggi il problema è che non esiste la tessera di un certo partito. Il giornalista può anche non prenderla, ma in realtà la prende dentro di sé. Non è più obbligato a prenderla fisicamente ma la prende per quieto vivere, per ambizione, perché tiene famiglia... E questa è la forma più terribile, perché l’autocensura è assai più grave della censura imposta».