Arianna Finos, la Repubblica 15/11/2009, 15 novembre 2009
ROMA «ormai il mondo lo ha scoperto e mi devo rassegnare. Ho mentito. Fino allo scorso 24 settembre dicevo a tutti di avere cinquantacinque anni, anche agli amici più cari, perfino a Penelope Cruz
ROMA «ormai il mondo lo ha scoperto e mi devo rassegnare. Ho mentito. Fino allo scorso 24 settembre dicevo a tutti di avere cinquantacinque anni, anche agli amici più cari, perfino a Penelope Cruz. Poi, il giornalista di un quotidiano catalano è andato all´anagrafe di Calzada de Calatrava e sono finito sui telegiornali. "Almodóvar ha sessant´anni", strillavano i titoli. Era grottesco. vero, mi abbasso l´età, ma annunciare la bugia al telegiornale è stata un´esagerazione. Volevo intraprendere qualche tipo di azione, ma mio fratello Augustin ha scoperto che l´accesso a questi dati è libero. Ho deciso, comunque, che dal prossimo mese torno a dichiararne cinquantacinque». Un piovoso pomeriggio romano. Pedro Almodóvar Caballero, Caballero come la madre, sorseggia una tisana e ufficializza: ho sessant´anni. Ma è l´anagrafe che sbaglia. Il tempo che passa è sempre stata una delle ossessioni del regista manchego, personale e cinematografica. Nei decenni si è autofotografato, con cadenza quasi mensile. Lo fa ancora oggi. «Certifico il passaggio del tempo sul mio volto, i segni, le espressioni. Mi sembra che le immagini fisse abbiano un´intensità maggiore, rispetto a quelle in movimento. Fermano i momenti domestici, intimi e familiari, sanno raccontare quelli importanti in una sorta di autobiografia senza parole». L´anniversario negato ha generato, comunque, buoni propositi: «Mi sono fatto un regalo, ho deciso che la mia vita nei prossimi anni sarà migliore, soprattutto dal punto di vista personale». Almodovar è reduce da una lunga, dolorosa emicrania che l´ha costretto a vivere al buio per mesi. «L´immaginazione, quando sei al buio, può rivelarsi salvifica o dannata: se pensi che non migliorerai, puoi arrivare al suicidio. Io l´ho messa al servizio di una storia. Non è stata vera salvezza, ancora soffro di questi attacchi, ma almeno è diventata cinema e questa mia passione mi ha dato la forza di rimettermi al lavoro». Dal buio è nato il film Gli abbracci spezzati nel quale un regista cieco per dimenticare la morte dell´amata si regala una nuova identità. «Non è un melodramma, piuttosto un dramma molto duro. L´ho partorito in un momento di grande sofferenza e la tristezza traspare nella storia, pervade i personaggi. Specie quello di Penelope Cruz, disegnata come la femmina fatale tipica dei noir, ma che invece si rivela vittima predestinata. Da subito. Avrei voluto salvarla, ma non potevo tradire quel che mi chiedeva la storia. Suona paranormale, lo capisco, ma è così». Il regista del film è costretto a fare i conti con il suo passato e a rimettere insieme le mille foto strappate, i mille abbracci spezzati. «Sì, il mio cinema è pieno di fotografie». una passione condivisa con la musa Penelope, che ha raccolto gli scatti che ha fatto al regista in un libro rilegato solo in due copie: una per sé, una per una Pedro. «Vedermi con i suoi occhi mi fa sentire bene, lei mi considera migliore di quello che sono, come uomo e come regista. Ci siamo conosciuti che aveva quattordici anni, fece il provino per Kika, non la presi. La chiamai sei anni dopo per Tutto su mia madre. Oggi siamo al quarto film insieme, è la mia attrice perfetta. Il nostro è un rapporto d´amore, senza sesso. Io la desidero, lei ha fede in me. Non esiste routine». La sua attrice ha vinto l´Oscar grazie a un altro regista, Woody Allen. Almodovar sottolinea: «Non la vedo bene nei ruoli della commedia sofisticata, lei è viscerale, popolana. La svolta nella sua carriera è arrivata con il ruolo dell´emarginata in Italia nel film Non ti muovere di Sergio Castellitto. Poi c´è stato il mio Volver. Solo allora gli americani hanno iniziato a pensare a lei come a una grande attrice». La locandina di Gli abbracci spezzati moltiplica l´immagine di Penelope Cruz alla maniera di Andy Warhol. Almodovar ha conosciuto l´uomo della Factory nel breve periodo in cui si era trasferito a Madrid. «Tutte le sere mi presentavano a lui dicendo che ero il Warhol del cinema. Non pareva impressionato. Non ero abbastanza famoso per essere l´oggetto di un suo ritratto», aveva dichiarato allora. Oggi Almodovar spiega: «Ero un ragazzino povero cresciuto a la Mancha, dove le donne vestivano solo di nero e dove mia madre mi insegnò a leggere e scrivere e ad abbellire la verità per renderla tollerabile. Arrivato nella capitale della Spagna fui travolto dai colori del pop. E quello diventò il mio primo cinema. Oggi è tempo, invece, di mezzi toni: il marrone che sfuma in arancio, il grigio che si fa azzurro». Il momento grigio della vita Almodovar lo ha lasciato alle spalle. La barba è incolta, la folta chioma s´è imbiancata, ma lo sguardo e il sorriso hanno ritrovato nuova vitalità: «Il regista di Gli abbracci spezzati è infelice, ma il film che ha girato è pieno di allegria», dice languido. Già, il film nel film, Cicas y maletas, citazione manifesta di Donne sull´orlo di una crisi di nervi. Il personaggio della donna assessore che spaccia coca tra i politici, che Almodovar ha scritto per l´attrice Carmen Machi, un monologo nel quale spiega perché il sesso è un bene sociale di cui tutti dovrebbero disporre: «L´ho trasformato in un corto molto porco che si vedrà nel dvd». Del film almodovariano per antonomasia, appunto Donne sull´orlo di una crisi di nervi, Broadway sta allestendo la sua versione musical. «Ho il diritto di visionare il copione pezzo a pezzo. Intendo lasciare libertà artistica al regista, ma meglio che sappia che posso intervenire quando voglio. Sono curioso di vederlo recitato in inglese, felice di constatare che l´argomento che racconta è ancora attuale». La barriera linguistica è stata uno dei motivi che hanno tenuto lontano il regista dagli Stati Uniti, malgrado i due Oscar vinti per Tutto su mia madre, miglior film straniero, e per la sceneggiatura di Parla con lei. « stato Billy Wilder a darmi questo consiglio: resta a Madrid». Tra i progetti sul tavolo di lavoro, ora, c´è anche quello tratto dal libro del poeta antifranchista Marcos Ana: Dimmi com´è un albero. «Una storia incredibile, un uomo incredibile». Ana è stato nelle prigioni del regime spagnolo per ventidue anni. Ha iniziato a scrivere poesie che affidava alla memoria degli altri detenuti. Il film racconterà del momento in cui l´uomo, che a quarantaquattro anni non ha mai fatto l´amore, esce di prigione e incontra una prostituta pagata in anticipo dagli amici. Alla fine di quella notte, di ricordi e racconti, la donna non vorrà soldi: «Una notte così non si può pagare». Dice Almodovar: «Da quando i socialisti sono al potere in Spagna la destra cerca di dividere il popolo, Marcos Ana è un simbolo per tutti di riconciliazione. Non ha mai portato rancore a chi lo ha tradito, agli aguzzini che lo torturarono fin quasi alla morte. Non ha nemmeno voluto svelarne i nomi perché figli e nipoti non se ne dovessero vergognare. un santo». Per Pedro Almodovar oggi è importante che la Spagna non dimentichi la sua storia. «La memoria, riconciliata, è un patrimonio del mio Paese. Già in Carne tremula avevo scelto di aprire il film con Penelope che partoriva su un autobus la notte in cui il regime dichiara la legge marziale. Ho scelto di far sentire la voce di quel ministro che è, incredibilmente, un politico attivo ancora oggi». un significativo cambio di posizione rispetto al cinema degli inizi, della Movida, in cui raccontava una Spagna senza i segni di Franco. «Allora, cancellare il franchismo era una scelta politica deliberata. Il Paese assaporava le prime libertà dopo il regime e nei miei film volevo negare che Franco fosse esistito. Ero un giovane cineasta interessato alla verità della strada, inseguivo la mia libertà individuale dentro una ritrovata libertà collettiva». Di quei tempi restano pellicole come Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio. E foto che lo ritraggono in calze a rete, tacchi e impermeabile mentre duetta sul palco con il cantante Fanny McNamara nei cabaret madrileni. «Cosa provo quando vedo lo foto di allora, i vestiti, il trucco? Un´identificazione assoluta. Mi rallegro molto di aver vissuto quell´epoca in quel modo, mi piace l´idea di aver dato scandalo agli occhi dei benpensanti e tornando indietro rifarei tutto». Almodovar ha dichiarato che la sua fede è la passione. Ancora oggi, a sessant´anni («per carità, cinquantacinque»), a dominarlo è la legge del desiderio. «La passione carnale è stata ed è ancora la cosa che mi rende più felice nella vita. Più felice e più disperato. fondamentale a qualsiasi età». L´ultima passione di cui parla volentieri Almodovar è quella per l´Italia cinematografica. «Non avrei potuto fare Gli abbracci spezzati senza l´omaggio al film Viaggio in Italia di Roberto Rossellini. Amo il vostro cinema e le vostre attrici. Lavorerei, ancora oggi, con Sophia Loren, Silvana Pampanini, Claudia Cardinale, Catherine Spaak. Ricordo con affetto Francesca Neri, in Carne tremula era di una bellezza stupefacente. Mi piace molto Margherita Buy». L´unica esperienza negativa di collaborazione artistica con il nostro Paese è stata quella con Ennio Morricone. Almodóvar la racconta, reticente: «Ho grande stima di Ennio come autore, ma la nostra collaborazione in Légami fu un disastro. I suoi temi erano troppo convenzionali per le mie pellicole, ne usai la metà. Anni dopo, mentre ero in bagno, sentii una musica familiare, corsi in salotto, la tv trasmetteva il film Frantic di Roman Polanski. Il tema, firmato da Morricone, a mio giudizio era incredibilmente simile a quello che poi aveva composto per Légami. Lì per lì divenni furibondo, oggi davvero non serbo rancore. L´ho raccontato perché lei me l´ha chiesto, non vorrei che Ennio pensasse a una vendetta a freddo».