La Sicilia, 8/2/2009, 8 febbraio 2009
La povera gente fu presa in giro e si ribellò Il Fascio.Il movimento dei lavoratori locale ebbe vita breve, anche perché nel 1894 calò la repressione del governo Crispi Ma perché i contadini di Caltavuturo occupa- rono le terre di Sangiovannello? Quale diritto accampavano su di esse? Per capirlo, bisogna fare un salto indietro e tornare al 1812, l’anno in cui fu abolito il feudalesimo in Sicilia
La povera gente fu presa in giro e si ribellò Il Fascio.Il movimento dei lavoratori locale ebbe vita breve, anche perché nel 1894 calò la repressione del governo Crispi Ma perché i contadini di Caltavuturo occupa- rono le terre di Sangiovannello? Quale diritto accampavano su di esse? Per capirlo, bisogna fare un salto indietro e tornare al 1812, l’anno in cui fu abolito il feudalesimo in Sicilia. Fino ad allora, per concessione reale, gli abitanti del paese avevano il diritto di recarsi sui feudi per raccogliere legna e verdura. Abolito il feudale- simo, invece, il duca di Fernardina, proprieta- rio di oltre 6.000 ettari di terreno (più della metà dell’intero territorio comunale) provò ad impedire che la povera gente continuasse a fruire degli ”usi civici’, suscitando le ire dell’in- tera popolazione. La ”vertenza’ durò anni, fino a quando non si raggiunse un accordo, in base al quale il duca si impegnava a cedere al Co- mune 250 ettari di terra in contrada Sangio- vannello, in cambio della rinuncia agli ”usi ci- vici’. Purtroppo, i cittadini di Caltavuturo cad- dero dalla padella alla brace. Infatti, avuto il terreno del duca, l’amministrazione comuna- le doveva quotizzarlo e distribuirlo alla popo- lazione, che aspettava con ansia di venire in possesso di un pezzo di terra per sfamare la fa- miglia. Ma gli amministratori e i notabili del paese rinviavano continuamente l’operazione. I primi perché aspiravano ad appropriarsene personalmente e i secondi perché erano inte- ressati a tenere nella fame la povera gente, che così era costretta a restare manodopera a bas- so costo per le loro aziende, ci informa ancora don Giuseppe Guarnieri. Nell’autunno del 1892, i contadini erano tanto convinti che la di- stribuzione della terra ormai fosse imminen- te, che si erano preparati, mettendo da parte mezza salma di grano a testa, da utilizzare co- me semente. L’organizzazione di questa forma embrionale di movimento contadino fu inco- raggiata da Bernardo Comella e Giovanbattista Vivirito, dirigenti della società operaia, che raggruppava alcuni artigiani. Era già passata metà gennaio del 1893, ma il sindaco Giuffré e i suoi assessori non avevano ancora provvedu- to a dividere la terra, col rischio che anche per quell’annata agraria non si facesse più in tem- po a seminarla. La sera del 19 gennaio si tenne un’affollata assemblea contadina per discute- re sul da farsi. Alcuni volevano una dimostra- zione di forza, come l’occupazione di Sangio- vannello. Altri suggerivano, invece, di sopras- sedere ancora qualche giorno. A prevalere fu il parere dei ”moderati’, ma, nottetempo, gli ”in- transigenti’ si recarono di casa in casa e con- vinsero tutti a partecipare alla manifestazione dell’indomani mattina. Del precipitare degli eventi ebbero sentore i caporioni del paese, che si organizzarono. Informarono l’esercito e i carabinieri, ma inviarono anche degli infiltra- ti tra i contadini. Probabilmente, la sassaiola contro militari e carabinieri fu iniziata proprio da questi, con l’obiettivo di costringere le for- ze dell’ordine a sparare. E c’è anche chi sostie- ne che i primi colpi non furono i militari a spa- rarli, ma qualcuno "in borghese». L’eccidio di Caltavuturo ebbe vasta eco nel Paese. Si mobi- litarono tutti i fasci contadini, guidati dai diri- genti più prestigiosi, come Rosario Garibaldi Bosco, Bernardino Verro e Nicola Barbato, che promossero una colletta per aiutare le famiglie delle vittime. Fioccarono le interrogazioni par- lamentari, tra cui quella di Napoleone Colajan- ni, che attaccò duramente il governo. Ma il fa- scio contadino di Caltavuturo ebbe vita breve, anche perché nel gennaio 1894 sulla Sicilia calò la repressione del governo Crispi. D.P. LA LAPIDE POSTA DAL COMUNE L’eccidio di «San Sebastiano» Otto contadini furono uccisi, ventisei rimasero feriti, ma, di questi, cinque morirono nei giorni successivi. Era il 20 gennaio 1893. All’alba, si ritrovarono in centinaia ad occupare i 250 ettari di terra comunale, in contrada Sangiovannello DINO PATERNOSTRO Un gruppo di contadini di Caltavuturo non ebbe il tempo di dormire la notte del 19 gennaio 1893. Girava di casa in casa per convincere altri contadini a partecipare all’importante manifesta- zione del giorno dopo. «Ti raccomando, non mancare...», era la frase ripetuta a bassa voce. Poi le istruzioni: «Il segnale sarà il suono del corno: appena lo senti, mettiti in cammino. L’appuntamento è al Gorgo di Sant’Antonio, a ridosso di Terravecchia dal lato nord... ». All’alba del 20 gennaio, si ritrovarono in centi- naia ad occupare i 250 ettari di terra comunale, in contrada Sangiovannello. Armati di zappe, cominciarono a disso- dare quella terra sognata da tempo, che l’amministrazione comunale aveva pro- messo, ma che mai aveva dato. «Vedre- mo se il sindaco Giuffrè continuerà a fa- re orecchie da mercante!», ripetevano come per incoraggiarsi a vicenda i con- tadini. In ogni angolo della Sicilia erano ormai nati i Fasci dei lavoratori. Quel giorno nacque anche a Caltavuturo. Al- l’improvviso, però, arrivò sul posto il te- nente Guttalà, comandante del presi- dio militare di stanza in paese, con i suoi uomini. «State tranquilli - disse l’uf- ficiale - che l’amministrazione comuna- le ormai ha deciso di darvele queste ter- re. Tornate a casa tranquilli, che tutto si risolverà per il meglio». Parole inutili, perché i contadini nemmeno l’ascolta- rono. Anzi, cominciarono a fischiare e a urlare contro la truppa. Per evitare che la situazione precipitasse, Guttalà e i suoi uomini si ritirarono e tornarono in pae- se. Poco dopo, un gruppo di dimostran- ti smise di zappare la terra e si recò da- vanti al municipio, per chiedere di par- lare col sindaco. Fu risposto che il signor Giuffrè era ammalato e che nessun as- sessore era presente nella casa comuna- le. Dal balcone del municipio si affacciò, invece, il segretario comunale Antonino Oddo, che disse: «Picciotti, chi c’è carni- valata?». Una provocazione bella e buo- na, fatta apposta per irritare i contadini presenti, «che ben sapevano di quante usurpazioni era responsabile proprio lui», racconta il sacerdote don Giuseppe Guarnieri, nel libro «Ricerche storiche su Caltavuturo», edito Dalla Kefagrafica di Palermo nel 1998. Ciò nonostante, i ma- nifestanti si lasciarono alle spalle il mu- nicipio per tornare sui campi a zappare insieme ai loro compagni. Ma quest’ul- timi, essendo ormai mezzogiorno, ave- vano sospeso di lavorare e stavano tor- nando in paese. Sulla via Vittorio Ema- nuele erano, però, schierati i soldati, i ca- rabinieri e due guardie comunali, con l’intenzione di impedire che i due grup- pi si ricongiungessero. Il tenente Guttalà ancora una volta cercò di convincere i contadini a disperdersi e a tornare nel- le proprie abitazioni, ma qualcuno tra i manifestanti lanciò un sasso contro la truppa, che fece esplodere due colpi in aria. Gli spari, però, non intimidirono i contadini, che continuarono ad avan- zare, lanciando altre pietre contro le forze dell’ordine. A questo punto, si udi- rono altri colpi, poi una fitta scarica di fucileria e diversi contadini caddero a terra in un lago di sangue. I militari e i carabinieri (ma qualcuno giura di aver visto anche qualcuno in borghese) ave- vano cominciato a sparare ad altezza d’uomo, consumando una strage. Otto contadini furono uccisi sul colpo (Giu- seppe Bonanno di 28 anni, Nicolò Ianné di 69 anni, Vincenzo Guarnieri di età imprecisata, Giuseppe Renna di 30 anni, Mariano Guggino di 49 anni, Mariano Ariano di 34 anni, Giuseppe Modaro di 34 anni e Calogero Di Stefano di 32 an- ni), ventisei rimasero feriti, ma, di que- sti, cinque morirono nei giorni successi- vi. Era il 20 gennaio 1893, il giorno di San Sebastiano. E infatti, «in un primo tem- po, la popolazione, nell’udire gli spari, pensò che si trattasse di mortaretti fat- ti scoppiare in onore di San Sebastiano, ma ben presto fu chiara la tragica realtà di una inumana ed inutile strage, che poteva e doveva essere evitata», scrive ancora don Giuseppe Guarnieri. I mani- festanti rimasti illesi fuggirono sulle montagne, ma alle quattro di pomerig- gio arrivò da Palermo una compagnia di fanteria, che scatenò una vera caccia al- l’uomo, arrestando parecchi contadini. I cadaveri dei morti rimasero sulla strada fino al pomeriggio del 21 gennaio, ”pre- sidiati’ dalle forze dell’ordine, che impe- dirono ai familiari di avvicinarsi, ma non riuscirono ad evitare che i cani ran- dagi ne facessero scempio. TUON COLAJANNI (d.p.) La strage di Caltavuturo precedette di appena 11 giorni l’assassinio di Emanuele Notarbatolo, accoltellato il 1° febbraio 1893. «Quando si scoprì il cadavere del Notarbartolo sul treno fra Termini e Trabia - scrive Francesco Renda, nella sua ”Storia della mafia’ - gli ospedali di Palermo erano ancora pieni dei feriti di Caltavuturo. Alla Camera dei Deputati tuonò nuovamente la voce del Colajanni e questa volta dietro di lui si proiettò un insolito protagonista storico, che si chiamò socialismo, ossia la questione sociale, la riscossa operaia e contadina, la minacciata o la temuta rivoluzione. Poiché il delitto Notarbartolo vide la classe padronale divisa parte con la vittima e parte con l’assassino o gli assassini, prevalse la considerazione che, stando il nemico alle porte, era meglio mettere tutto a tacere. Non passarono, del resto, che alcune settimane, e il movimento dei Fasci dei lavoratori dilagò impetuoso come lava di vulcano irrefrenabile. A prendere fuoco fu tutta l’isola, e al fine di spegnere l’incendio sul nascere ci fu chi provvide a rappresentare ogni fascio dei lavoratori come un covo di facinorosi e di violenti associati alla mafia». Il nuovo Stato unitario, quindi, piuttosto che lottare davvero contro la mafia, cercando di assicurare alla giustizia gli assassini di Notarbartolo, preferì perseguire i contadini associati nei fasci, accusandoli di mafiosità. Uno schema che si sarebbe ripetuto anche nei decenni successivi. Nel 1993, a riaccendere i riflettori sull’eccidio di Caltavuturo fu il film del regista siciliano Pasquale Scimeca, «Il giorno di San Sebastiano». Il lungometraggio venne presentato nello stesso anno alla Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione «Vetrina del Cinema Italiano», cento anni dopo la strage, e vinse il ”Globo d’oro’. Insieme ai ’Briganti di Zabut’ (1998) e a ’Placido Rizzotto’ (2000), quest’opera di Scimeca costituisce la ’trilogia’ che il regista originario di Aliminusa ha voluto dedicare al mondo contadino. «Lo sentivo come un dovere morale nei confronti degli umili, che pure hanno contribuito a fare la storia», dice. Nell’occasione, sul luogo della strage l’amministrazione comunale pose una lapide. LA SICILIA DOMENICA 8 FEBBRAIO 2009 .35 PPALERMO Ma perché i contadini di Caltavuturo occupa- rono le terre di Sangiovannello? Quale diritto accampavano su di esse? Per capirlo, bisogna fare un salto indietro e tornare al 1812, l’anno in cui fu abolito il feudalesimo in Sicilia. Fino ad allora, per concessione reale, gli abitanti del paese avevano il diritto di recarsi sui feudi per raccogliere legna e verdura. Abolito il feudale- simo, invece, il duca di Fernardina, proprieta- rio di oltre 6.000 ettari di terreno (più della metà dell’intero territorio comunale) provò ad impedire che la povera gente continuasse a fruire degli ”usi civici’, suscitando le ire dell’in- tera popolazione. La ”vertenza’ durò anni, fino a quando non si raggiunse un accordo, in base al quale il duca si impegnava a cedere al Co- mune 250 ettari di terra in contrada Sangio- vannello, in cambio della rinuncia agli ”usi ci- vici’. Purtroppo, i cittadini di Caltavuturo cad- dero dalla padella alla brace. Infatti, avuto il terreno del duca, l’amministrazione comuna- le doveva quotizzarlo e distribuirlo alla popo- lazione, che aspettava con ansia di venire in possesso di un pezzo di terra per sfamare la fa- miglia. Ma gli amministratori e i notabili del paese rinviavano continuamente l’operazione. I primi perché aspiravano ad appropriarsene personalmente e i secondi perché erano inte- ressati a tenere nella fame la povera gente, che così era costretta a restare manodopera a bas- so costo per le loro aziende, ci informa ancora don Giuseppe Guarnieri. Nell’autunno del 1892, i contadini erano tanto convinti che la di- stribuzione della terra ormai fosse imminen- te, che si erano preparati, mettendo da parte mezza salma di grano a testa, da utilizzare co- me semente. L’organizzazione di questa forma embrionale di movimento contadino fu inco- raggiata da Bernardo Comella e Giovanbattista Vivirito, dirigenti della società operaia, che raggruppava alcuni artigiani. Era già passata metà gennaio del 1893, ma il sindaco Giuffré e i suoi assessori non avevano ancora provvedu- to a dividere la terra, col rischio che anche per quell’annata agraria non si facesse più in tem- po a seminarla. La sera del 19 gennaio si tenne un’affollata assemblea contadina per discute- re sul da farsi. Alcuni volevano una dimostra- zione di forza, come l’occupazione di Sangio- vannello. Altri suggerivano, invece, di sopras- sedere ancora qualche giorno. A prevalere fu il parere dei ”moderati’, ma, nottetempo, gli ”in- transigenti’ si recarono di casa in casa e con- vinsero tutti a partecipare alla manifestazione dell’indomani mattina. Del precipitare degli eventi ebbero sentore i caporioni del paese, che si organizzarono. Informarono l’esercito e i carabinieri, ma inviarono anche degli infiltra- ti tra i contadini. Probabilmente, la sassaiola contro militari e carabinieri fu iniziata proprio da questi, con l’obiettivo di costringere le for- ze dell’ordine a sparare. E c’è anche chi sostie- ne che i primi colpi non furono i militari a spa- rarli, ma qualcuno "in borghese». L’eccidio di Caltavuturo ebbe vasta eco nel Paese. Si mobi- litarono tutti i fasci contadini, guidati dai diri- genti più prestigiosi, come Rosario Garibaldi Bosco, Bernardino Verro e Nicola Barbato, che promossero una colletta per aiutare le famiglie delle vittime. Fioccarono le interrogazioni par- lamentari, tra cui quella di Napoleone Colajan- ni, che attaccò duramente il governo. Ma il fa- scio contadino di Caltavuturo ebbe vita breve, anche perché nel gennaio 1894 sulla Sicilia calò la repressione del governo Crispi. D.P. LA LAPIDE POSTA DAL COMUNE Nella foto centrale la locandina del film di Pasquale Scimeca «Il giorno di San Sebastiano»; nella foto in alto, da sinistra palazzo Giuffrè, vicoli di Caltavuturo ed il regista Scimeca. Un gruppo di contadini non ebbe il tempo di dormire la notte del 19 gennaio 1893. Girava di casa in casa per convincere altri contadini a partecipare alla manifestazione del giorno dopo. «Ti raccomando, non mancare...», era la frase ripetuta a bassa voce. Le istruzioni: «Il segnale sarà il suono del corno: appena lo senti, mettiti in cammino»