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 2009  novembre 14 Sabato calendario

La «fronda» di Fini tiene sulle spine il premier pure in Senato. Chi avesse dei dubbi, consideri i fatti di ieri: per un soffio non sono andati a segno tre emendamenti alla Finanziaria

La «fronda» di Fini tiene sulle spine il premier pure in Senato. Chi avesse dei dubbi, consideri i fatti di ieri: per un soffio non sono andati a segno tre emendamenti alla Finanziaria. Altrettanti siluri contro il ministro Tremonti. Il quale si mostra meno intrattabile sulle indicazioni di spesa che gli vengono dal Parlamento. Tanto da accettare modifiche su forze dell’ordine, giustizia e agricoltura. Ma il Professore rimane pur sempre la bestia nera dei «peones», il parafulmine delle loro frustrazioni, e adesso anche la «cavia» per testare nuovi equilibri a Palazzo Madama. Dove i margini di vantaggio sul centrosinistra sono assai più esigui che a Montecitorio. I finiani sono alla testa della rivolta. Alte personalità del Senato puntano l’indice contro Andrea Augello, esponente della destra sociale, vicino al presidente della Camera: «E’ lui l’ispiratore». Nel giro del Cavaliere sono sotto schiaffo, ma nello stesso tempo provano a sminuire, «li abbiamo contati, saranno al massimo una dozzina, gli altri si sono aggiunti per motivi molto contingenti». Comunque sia, tutti insieme hanno dato un bel segnale politico. Costringendo il capogruppo Gasparri (e il numero due Quagliariello) a inseguirli, addirittura a votare come loro nel tentativo di mescolare le carte. All’origine dello scontro c’è la «contromanovra», 40 miliardi che secondo l’ex viceministro all’Economia Baldassarri andrebbero impiegati con miglior profitto. Vegas, su istruzione di Tremonti, mostra in Aula il pollice verso: «Esiste un problema di copertura», e poi «bisogna tenere molto rigidi i cordoni della borsa». Baldassarri china la testa, accetta di trasformare la contromanovra in un ordine del giorno che, come tutti gli ordini del giorno di questo mondo, finirà nel cassetto. Viceversa non sente ragioni su tre suoi emendamenti, li presenta lo stesso. Il primo per accordare un mini-taglio Irap alle imprese sotto i 50 dipendenti, il secondo come antipasto del quoziente familiare, un terzo per tassare gli affitti tramite cedolare secca. L’opposizione non attende di meglio, sostegno a spada tratta. E la maggioranza? Eccola che si biforca. Il grosso del Pdl vota contro in ossequio agli ordini di scuderia. Una trentina di senatori fanno di testa loro, astenendosi. Se ne contano per l’esattezza 26 sull’Irap, 22 sul quoziente familiare e 29 sugli affitti. Gasparri e Quagliariello si aggiungono nella terza votazione. Per non perdere il controllo della protesta, provano a pilotarla con indubbia perizia. Accompagnano la loro astensione (che a Palazzo Madama vale voto contrario, dunque non impedisce la bocciatura degli emendamenti) con una sorta di appello a Tremonti, speriamo che «la proposta sugli affitti possa trovare ascolto nel prosieguo», quando la Finanziaria approderà alla Camera. Il responsabile dell’Economia mangia la foglia, a stretto giro di posta fa sapere che lì a Montecitorio «non mancheranno occasioni per comuni approfondimenti e riflessioni», più che la promessa di scucire denari sembra un «ci siamo intesi». Fini traccia il solco, e nel Pdl chi può si organizza. Ultima arrivata è la Fondazione Riformismo e libertà, nata su iniziativa di Fabrizio Cicchitto. Ex Psi lui come il presidente del Comitato scientifico, l’economista Francesco Forte. «Non è una corrente socialista nel Pdl», mette le mani avanti Cicchitto, «semmai una corrente berlusconiana». Già, perché di questo passo Re Silvio ne avrà bisogno.