Pietro Garibaldi, La Stampa 14/11/2009, 14 novembre 2009
In questi mesi di leggera ripresa dell’economia reale, come testimoniato anche ieri dal dato Istat sulla crescita del pil italiano nel terzo trimestre, il mondo sta in realtà vivendo un’improvvisa e in parte schizofrenica febbre dell’oro
In questi mesi di leggera ripresa dell’economia reale, come testimoniato anche ieri dal dato Istat sulla crescita del pil italiano nel terzo trimestre, il mondo sta in realtà vivendo un’improvvisa e in parte schizofrenica febbre dell’oro. Nelle ultime settimane il prezzo dell’oro, il bene più infruttifero fra tutti i possibili investimenti, è salito di circa un terzo fino a 42 dollari al grammo. A fine agosto un grammo d’oro valeva poco più di 31 dollari mentre a novembre 2008, nel pieno della crisi finanziaria, veniva scambiato a soli 21 dollari. In altre parole, chi avesse comprato oro nel mezzo della tempesta finanziaria, oggi potrebbe tranquillamente rivenderlo avendo, nel frattempo, raddoppiato il proprio capitale. La crescita del prezzo dell’oro e di quello di diverse altre materie prime non legate al settore energetico suscita da più parti stupore e preoccupazione, anche perché sta avvenendo in modo talmente rapido da essere quasi impossibile da giustificare. E’ antipatico dirlo, ma sembra quasi che il mondo finanziario globale stia mettendo i germi di una nuova bolla speculativa. Le bolle finanziarie sono fenomeni economici difficilmente spiegabili dalla teoria economica, ma ben chiari all’immaginario collettivo nei loro drammatici effetti, specialmente nel momento in cui le bolle stesse si sgonfiano. Come ci insegna la grande crisi finanziaria del 2008, la fine di una bolla non avviene attraverso un processo lento e graduale, quanto piuttosto attraverso un crollo dei prezzi repentino e devastante per gli investitori in possesso dei titoli sottostanti. In realtà, come avviene in quasi tutte le bolle, la crescita del prezzo dell’oro di questi giorni si basa su un fondamento di razionalità economica. La politica economica e le principali banche centrali sono fortunatamente riuscite nei mesi passati, attraverso una straordinaria emissione di moneta, a evitare che la crisi finanziaria si trasformasse in una grande depressione dell’economia reale. L’immensa quantità di moneta e di liquidità oggi disponibile, tuttavia, dovrà a un certo punto essere tolta dal sistema. Il meccanismo attraverso il quale si riuscirà a ritirare dall’economia la massa monetaria immessa è parte essenziale della molto discussa exit strategy. Tuttavia, alle parole non seguono i fatti. Se la quantità di moneta immessa dovesse rimanere nel sistema, l’unica strategia d’uscita dalla crisi finanziaria rimarrebbe l’inflazione. E quando i prezzi dei beni sono destinati a crescere e la moneta di carta perde valore gli investitori corrono a proteggersi comprando oro o altri beni rifugio. Oltre al timore di inflazione negli anni a venire, vi sono altri fattori che spingono in alto il prezzo dell’oro. Vi sono gli acquisti di riserve d’oro da parte delle banche centrali asiatiche che cercano di convertire le immense riserve in dollari in riserve auree. Inoltre il mercato immobiliare e il mattone, un bene rifugio nell’immaginario collettivo, soffre ancora delle ferite della grande crisi del 2008. Infine, se la ripresa dovesse invece essere molto più debole del previsto, l’acquisto di oro rappresenta comunque una garanzia contro eventuali nuovi fallimenti. Al di là della possibilità di interpretare il rialzo dell’oro, il vero problema rimane il rischio che il mondo finanziario riprenda sulla strada dei vizi degli anni passati. Appare incredibile parlare di una possibile bolla speculativa dodici mesi dopo la grande crisi finanziaria del 2008. Si è parlato a lungo di nuove regole finanziarie, ma in realtà quasi nulla è stato davvero fatto. Nel 1929 la crisi finanziaria si trasformò in grande depressione, ma dopo quattro anni vennero poi introdotte nuove e importanti regole finanziarie, tra cui il famoso Glass-Seagal Act, che istituì l’assicurazione sui depositi negli Stati Uniti e impose una netta separazione tra banche di investimento e banche commerciali. Paradossalmente, con la crisi del 2009 siamo riusciti a evitare la grande depressione ma non siamo invece riusciti a introdurre nuove regole. E nel frattempo viviamo una nuova febbre dell’oro. Nella nuova corso all’oro forse il mondo dovrebbe cercare di imparare dai propri errori. pietro.garibaldi@carloalberto.org