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 2009  novembre 11 Mercoledì calendario

CALABRESI SUL BANCO DEGLI IMPUTATI C’ERO PROPRIO IO


Nel bel dossier di Oreste Pivetta su Lotta Continua, pubblicato su «L’Unità» del primo novembre scorso, Pivetta scrive: «Nel 1972 Lotta Continua periodico divenne quotidiano…trasferendosi a Roma in via Dandolo, direttore Adriano Sofri». Enon c’è dubbio che il direttore del nuovo giornale fosse il leader del Movimento extraparlamentare che lo esprimeva, e quindi Adriano Sofri. Ma sul quotidiano appariva soltanto un nome: il mio. Ne ero infatti il direttore responsabile. E quindi sono stata io ad essere processata per direttissima, il 22 maggio del 1972, dopo l’assassinio del Commissario Luigi Calabresi, con l’imputazione di apologia di reato. Il commento al tragico episodio, pubblicato il 19 maggio sul quotidiano, ovviamente non era il mio: vigeva in quegli anni il cosiddetto «anonimato militante». D’altra parte, era altrettanto ovvio che io non vedessi nemmeno il giornale prima della sua pubblicazione. Questo non mi ha impedito - in due occasioni - di dissociarmi dalla sua linea. Dapprima sul caso Sallustro - il dirigente della Fiat in Argentina, sequestrato e poi ucciso dall’ERP; ho infatti reagito al commento pubblicato sul secondo numero del quotidiano, dove si definiva «un invito a nozze per gli operai la morte di Sallustro», con una lettera aperta in cui scrivevo che «la morte di un uomo non può essere un invito a nozze per nessuno». Il commento, poi, all’uccisione di Luigi Calabresi - giudicata da «Lotta Continua» «un atto in cui gli sfruttati riconoscono la loro volontà di giustizia», provocò un’altramia lettera aperta, in cui scrivevo, richiamandomi anche al caso Sallustro: «Che cosa c’entrano gli sfruttati con questi omicidi?». In quanto alle ragioni per cui accettai la proposta di Adriano Sofri - l’unico leader della sinistra (in quell’occasione forse la più autentica) ad aver intuito e difeso, nell’estate del 1970, la radice popolare e, insisto, moderna, della rivolta di Reggio Calabria, e con il quale rivendico, ieri ed oggi, una limpida amicizia - spero di svilupparle nell’autobiografia che sto scrivendo, e che sarà pubblicata dall’editore Donzelli. Qui mi limito a citare, violando dopo tanti anni il patto dell’«anonimato militante» - ma non credo che il mio amico Adriano se ne dorrà - alcune righe del ritratto che Sofri mi dedicò sul quotidiano di Lc la prima mattina in cui andai a sedermi (per tre giorni) sul banco degli imputati, nell’aula della IV Sezione del Tribunale Penale diRoma.«Adele Cambria - scrisse il leader di Lc - ha assunto la responsabilità della direzione di Lotta Continua sapendo a quale rischio si esponeva, e dissentendo esplicitamente dalla linea politica nostra... Adele non è marxista, è una persona generosa, che ha fiducia in quelle altre persone di cui conosce sofferenza e dignità».