Marco Masciaga, Il Sole 24 Ore 13/11/2009;, 13 novembre 2009
LO SLAM DA UN MILIONE DI ABITANTI
Per raggiungere Orangi Town - il quartiere di Karachi che secondo l’Onu ha appena rubato a Dharavi, Mumbai, il titolo di slum più grande dell’Asia - bisogna lasciarsi il resto della città alle spalle. Occorre abbandonare le lunghe spiagge affacciate sul Mare Arabico su cui la sera passeggiano oziosi i cammelli, bisogna dimenticare le palme che fanno ombra alle ville fortificate di Clifton ed è necessario uscire dai viali dove le Rolls Royce scivolano silenziose sull’asfalto, precedute e seguite dai furgoni carichi di guardie armate.
Ma tutto questo, da solo, non basta. Per potersi affacciare su questo alveare da 1,2 milioni di persone bisogna attraversare un valico scavato attraverso il massiccio di roccia che un tempo delimitava i confini nordoccidentali di Karachi. Solo un attimo prima di scollinare si realizza che Orangi Town non è un quartiere, ma una città. Cresciuta ai margini della più ricca, popolosa e contraddittoria megalopoli del Pakistan, ma convenientemente al riparo dagli occhi dei suoi abitanti.
E, verrebbe da dire, anche da quelli dei suoi governanti. Ma sarebbe una semplificazione eccessiva. All’epoca della sua nascita, nel 1965, Orangi Town era stato progettato come un quartiere pianificato: costruito per dare un tetto a una parte dei milioni di profughi musulmani che nel 1947 avevano lasciato l’India; collocato ai margini della città per fornire manodopera a un distretto industriale poco lontano. Mezzo secolo dopo, quel nucleo originale di 500 ettari nonè più che la decima parte dell’odierna Orangi Town, circondato com’è da chilometri e chilometri di abitazioni costruite con blocchi di cemento e tetti di lamiera che ormai si estendono, come le dita di una mano, verso i deserti del Baluchistan.
Questa trasformazione non testimonia solo la continua espansione di quella che fino al 1958 è stata la capitale del Pakistan. Ma documenta come le successive ondate migratorie - dal Bangladesh, dall’Afghanistan e dalla North-West Frontier Province abbiano lentamente ridisegnato i confini geografici, etnici e politici del quartiere. Come se ogni tragedia attraversata da questa regione avesse lasciato una cicatrice qui, su questa terra arida e giallastra, su cui, al posto dell’erba, non sembrano che crescere cumuli d’immondizia che nessuno si cura di portare via.
La crescita incontrollata di Orangi Town da una parte è stata il frutto di autorità che guardavano altrove. Dall’altra è stata resa possibile proprio da un pezzo di burocrazia. «Lo stato inteso come stato non c’era»,spiega Noman Ahmed, preside del dipartimento di architettura della Ned University di Karachi. «Ma i funzionari statali sì. Sono stati loro, informalmente, a far crescere il quartiere». A partire dagli anni 70 si istituzionalizza un meccanismo di una linearità ed efficacia sorprendenti: degli intermediari ottengono un via libera per occupare un terreno; lo girano a un gruppo di famiglie in cambio del pagamento di una piccola "tassa sui servizi"e il funzionario statale che ha consentito l’occupazione riceve un appezzamento tutto per sé su cui fare la propria piccola speculazione edilizia.
Con il passare del tempo, spiega Arif Hasan, urbanista e autore di diversi volumi sulla città di Karachi, le esigenze degli occupanti abusivi si fanno più complesse. Ed entra in scena un altro pezzo di stato: la polizia. «Vuoi costruire un muro di cinta? Paghi. Fare un tetto di muratura? Paghi. Installare un generatore? Paghi. Fino a quando la comunità degli squatter - spiega Hasannon raggiunge la maturità: a questo punto, tipicamente, gli abitanti si riuniscono in una "social welfare organisation" e iniziano a gestire direttamente il proprio rapporto con il potere, facendo saltare fuori il terreno per il politico o il giornalista che sperano li possa aiutare nella campagna per ottenere una qualche forma di regolarizzazione».
Con istituzioni così distratte, e allo stesso tempo così attente a privatizzare gli utili dell’occupazione di terreni pubblici, non stupisce che il 61% della popolazione di Karachi oggi viva in " insediamenti informali", ovvero case, strade o interi quartieri in cui nessuno possiede un pezzo di carta che certifichi chi è proprietario di cosa. E non stupisce che nel mezzo di uno sviluppo così impetuoso a Orangi Town ci si sia dimenticati di qualcosa: le reti idrica e fognaria.
«In casa nostra l’acqua c’è un paio di volte alla settimana e per non più di mezz’ora»,spiega Asif Siddiqui, un 27enne che divide con altri 17 membri della sua famiglia allargata una piccola abitazione del famigerato settore 14c di Orangi Town. Una situazione insostenibile in una città dove il termometro non di rado superai 40 gradi e che invece, incredibilmente, è un grande passo in avanti rispetto a un’epoca non troppo lontana quando la media era di 15 minuti al mese per ogni abitazione e le acque reflue scorrevano ai bordi delle strade.
Oggi invece, grazie all’Orangi Pilot Project (Opp), uno degli esperimenti sociali di maggior successo nella storia pakistana, il sistema fognario è una realtà che tocca 6.894 delle 7.893 strade del quartiere. Merito solo in piccola parte degli amministratori della città (a cui sono occorsi 10 anni per decidere di partecipare al progetto) e in larga misura degli abitanti stessi del quartiere. «Sono stati loro - spiega Perween Rahman, una delle responsabili dell’Opp-a fare gli scavi e a posare le fognature. Noi ci siamo limitati a trovare dei finanziatori e a fornire il know how tecnico».
Nonostante iniziative come questa, Orangi Town rimane un posto dove più di una strada, per poter essere percorsa, richiede l’uso di una jeep.E dove più di un abitante si trova nella condizione di Qurban Siddiqui, il 70enne padre di Asif, che può contare ben sei disoccupati tra i suoi sette figli. «Ogni tanto - racconta rimpiango l’epoca incui mi sono trasferito qui. Eravamo pochi e ci aiutavamo di più. Oggi invece siamo più distanti gli uni dagli altri, nonostante le istituzioni continuino a ignorarci. I miei figli non hanno neppure un documento di identità: significa che non possono aprire un conto in banca, non possono emigrare, non possono sporgere una denuncia ».
A dispetto di amministratori così disinteressati, né Qurban né Asif si sognerebbero mai di voltare le spalle all’Mqm, il partito che governa la città e che raccoglie i voti di chi, come loro, parla urdu ed è migrato a Karachi dall’India e dal Bangladesh. Colpa delle tensioni con le altre comunità e del senso di vulnerabilità e frustrazione che opprime molti abitanti di Orangi Town. «I pashtun ci derubano », accusa Asif, «e i sindhi e i punjabi ci discriminano», aggiunge Qurban, prima di giurare che lui e suo figlio sono e resteranno sempre elettori del Mqm «al 110 per cento». Segno che forse, ancora prima che del più grande slum dell’Asia, gli abitanti di Orangi Town continuano a essere prigionieri delle contrapposizioni e della cattiva politica che fanno di Karachi una delle città più violente del mondo • CAPITALE ECONOMICA
Un quinto del Pil
Nonostante non sia più la capitale del Pakistan da oltre mezzo secolo, Karachi resta la metropoli più ricca e popolosa del paese. I suoi 14-15 milioni di abitanti rappresentano il 21,8% della popolazione urbana nazionale e producono circa il 20% del Pil, facendo della città la principale piazza economicae finanziaria del paese
Immigrazione
Karachi è il principale polo di attrazione del Pakistan: ogni anno necessita di 80mila nuove abitazioni: in media, solo 30mila vengono costruite legalmente • Disoccupazione e sovraffollamento
Centro e periferia
Per le decine di migliaia di senza lavoro che vivono a Orangi Town una delle principali occupazioni giornaliere consiste nel frequentare i chioschi di bibitee paan (un blando eccitante avvolto il foglie di betel) sparsi per il quartiere ( foto in basso). Nonostante gli indicatori sociali di Karachi siano mediamente migliori di quelli del resto del paese (il tasso di disoccupazione è del 17,6% contro il 19,1% nazionale) i dati variano sensibilmente da zonaa zona Il distretto centrale di Karachi, per esempio, ha un tasso di alfabetizzazione del 76% contro il 56% del distretto occidentale, quello in cui ricadono Orangi Town e diversi altri slum cittadini
Le donne
Per le donne la differenzaè ancora più accentuata: in centro il 73,9% di loro sa leggere e scrivere contro il 48,3% dei quartieri occidentali Un dato che inevitabilmente si riflette anche nella loro propensione al matrimonio: se nel centro di Karachi solo il 15,3% delle ragazze di età compresa tra 15 e 24 anni ha un marito, a Orangi Town e nelle zone limitrofe la percentuale sale al 22,7 per cento • Diciotto in una casa
Qurban Siddiqui, 70 anni, e suo figlio Asif di 27 ( nella foto in basso) vivono assieme agli altri 16 membri della loro famiglia allargata in una piccola abitazione nel settore 14c di Orangi Town La loro è una delle tante case costruite con solide pareti di mattoni e un tetto di lamiera. Sul pavimento del salotto è disteso un morbido strato di tessuto imbottito, segno che di notte la stanza si trasforma in un dormitorio per tutta la famiglia Qurban, un ex funzionario statale, è migrato a Karachi nei primi anni 70. un profugo della guerra che nel 1971 ha portato alla scissione tra West e East Pakistan e alla nascita del Bangladesh. Sei dei suoi sette figli, tra cui Asif, non hanno un lavoro. Il settimo mantiene tutti gli altri, di età compresa tra i 40 e i 25 anni, e le rispettive famiglie
Senza futuro
Qurban rimpiange l’epoca in cui il quartiere era più piccoloe tra i suoi abitanti c’era più solidarietà. Di Orangi Town Asif dice che «è pieno di scuole, ma sono private e di pessima qualità: chi ci governa sta rubando il futuro dei nostri figli» • Una porta d’ingresso per uomini e commerci
KARACHI
Con una popolazione tra i 14 e i 15 milioni di abitanti, Karachi è la città più grande del Pakistan e una delle più popolose al mondo. Quando il futuro governatore britannico del Sindh Sir Charles David Napier la raggiunse nel 1843, era solo un villaggio di pescatori, costruito nel 1729 da manovali provenienti dal Bahrein e da Muscat e pagati in datteri.
Nonostante fosse priva di vere infrastrutture, già allora la città era la porta d’ingresso verso l’entroterra del Sindh e del Punjab, dove faceva sì che arrivassero seta, spezie, avorio e noci di cocco dall’Africa, l’India e la Cina. La modernizzazione del porto da parte dei britannici iniziò nel 1854 e, alla fine del secolo, la città gareggiava in termini di traffico con Calcutta, esportava grandi quantità di grano e oppio e vantava il secondo mercato ortofrutticolo del mondo, dopo Bombay.
Quando nel 1947 l’India britannica si dissolse facendo posto a India e Pakistan, Karachi aveva meno di mezzo milione di abitanti ed era all’alba di una trasformazione travolgente. Milioni di musulmani residenti in quella che sarebbe diventata l’India indipendente partono per il Pakistan. La maggior parte giunge a Karachi, la capitale provvisoria.
Secondo gli storici Tai Yong Tan e Gyanesh Kudaisya quella che segue è «la più grande trasformazione demografica della storia». Tra il 1941 e il 1961 la popolazione di Karachi aumenta del 432%.E in 10 anni,tra il ’41 e il ’51, la comunità hindu passa dal 51 al 2% e quella musulmana dal 42 al 96%. Una rivoluzione anche sotto il profilo linguistico: nel decennio a cavallo della Partizione gli abitanti che si esprimono in sindhi, il dialetto locale, passano dal 61,2 all’8,6%, mentre coloro che parlano urdu e provengono dall’India passano dal 6,3 al 50%.
I nuovi arrivati, i mohajir, diventano la forza politica dominante, con un paradosso: il primo partito della prima città del Pakistan è un’entità quasi inesistente nel resto del paese. Una posizione rafforzata nella prima metà degli anni 70, quando con la scissione che porta alla nascita del Bangladesh, sulla città si abbatte una nuova ondata di profughi urdu. Negli anni successivi l’arrivo di altre comunità, dall’Afghanistan e dal nordovest del Pakistan, fa sì che lo strapotere mohajir venisse in parte bilanciato dai pashtun, un dualismo che dura tutt’oggi.