Mal. Pag., il Fatto Quotidiano 13/11/2009;, 13 novembre 2009
ALLEGRI E IL SUICIDIO DI ENKE: ”NOI, ANIME IN PENA”
Il porto di Livorno, un pianto che si scioglie, la vita che si sceglie e tutti i ricordi di Massimiliano Allegri, livornese del 1967. Padre portuale, madre casalinga che nelle case dei ricchi, metteva piede solo per fare le pulizie. Vita agra ma felice. Memorie che si specchiano senza rifrazione nel destino di Robert Enke, suicida, in un giorno più crepuscolare dell’autunno, sulla traversina di una stazione tra le luci obitoriali di un passaggio a livello e quelle blu di un’am - bulanza inutile. In fondo alle domande, all’abisso da cui non si riemerge, all’aiu - to che non si riesce a chiedere c’è la semplicità di Max: ”La morte di Enke mi ha fatto riflettere. Al di là delle tenebre personali e del dolore indefinibile provocato dalla morte prematura di una figlia, ciò che mi ha sconvolto è stata la paura dell’insuccesso. E’ un colpo duro. Nel calcio, nello spettacolo e nella vita di tutti i giorni. Se non smarrisci le amicizie dell’infanzia, riesci a non perdere di vista il giusto punto di vista sulle cose. Per questo considero fondamentali le radici, ai ragazzi che alleno lo dico sempre: oltre la siepe dorata di un mestiere che sembra trasformare in oro tutto quello che gli passa accanto, c’è la realtà”. Allegri allena il Cagliari. Perde, vince, impreca, gioisce. Fuori dal campo, custodisce la normalità. La preserva dalle insidie. ”Non siamo supereroi e anche se qualcuno si sentisse tale, dopo il volo, esiste sempre la caduta. Quello che è capitato a Enke, poteva succedere a un operaio come a un presidente della Repubblica, pensare che chi insegue un pallone sia immune dalla depressione è una prefigurazione consolatoria”. Con i suoi calciatori, Max è più tranquillo che mai. ”La porta è sempre aperta, loro lo sanno. Possono bussare e confidarsi perché oltre schemi e dichiarazioni, c’è qualcosa di più importante. La sfera personale. Quando vedi un ragazzo di venticinque anni silenzioso, triste, cupo, puoi star certo che la maniera in cui lo impiega l’allenatore conti poco. Se scavi, trovi sempre ragioni distanti da campo e scarpini”. Di giocatori tristi con le scarpe appese a qualche tipo di muro e lo sguardo a nuotare tra le venature ambrate di un whisky, Allegri ne ha visti tanti. ”Tantissimi purtroppo. Quando il pallone smette di rotolare, non è difficile ritrovarsi senza orizzonte. A 35 anni, il circo smonta e sotto il tendone, all’im - provviso, non c’è più posto. C’è un momento terribile e possedere la forza interiore per non sprofondare nel gorgo della depressione, non è come battere un rigore a porta vuota”. Sul lungomare di casa, tra gli ovali noti, Max non scorge segreti in avvicinamento. ”Conosco persone che da un momento all’altro hanno perso tutto e sono finite in mezzo a una strada. Storie come quelle hanno su di me il potere di una scossa. Spero di trasmettere equilibrio e valori. Non girare la testa davanti alle difficoltà degli altri è un segno di maturità”. Max non proibisce. Controlla con la distanza della fiducia. ”Non credo nel tecnico questurino. La regola ferrea porta con sé l’insopprimibile desiderio di violarla”. Così niente controlli telefonici né segugi sguinzagliati nelle discoteche della costa sarda. Poetica dello sguardo e politica libertaria, in omaggio alla lezione dell’antico maestro, Giovanni Galeone. ”Lei mi chiede cosa pensi della possibilità di aggregare uno psicologo alla vita quotidiana di un gruppo di calciatori. Non so, credo che verrebbe recepita come un’intrusione nel privato. L’ideale è che le capacità di intuizione, generosità e risoluzione dei problemi, si nascondano in un elemento dello staff. A volte basta poco. L’autostima non è uno slogan, va cercata dentro ognuno di noi. Si può trovare, senza la paura di chiedere aiuto”.