Andrea Valdambrini, il Fatto Quotidiano 13/11/2009;, 13 novembre 2009
I DOLORI DEL GIOVANE CAMERON. LA NUOVA UE METTE NEI GUAI L’EUROSCETTICO
Ai guai, soprattutto a quelli dei politici non c’è mai fine. Anche per David Cameron, leader del Partito conservatore britannico, che sembrava nato con la camicia. Quarantatré anni appena compiuti, studi a Eton, faccia da bravo ragazzo con l’aria neppure troppo aristocratica, appeal da politico moderno, che con una spruzzata d’ambientalismo e capitalismo compassionevole vorrebbe far dimenticare le sagome ormai ingiallite della signora Thatcher o di John Major. E poi, con un Gordon Brown sempre più impopolare, le disfatte laburiste a ogni elezione locale, l’appog - gio del magnate dell’editoria Rupert Murdoch, un tempo folgorato sulla via di Westminster dal carisma di Blair, per Cameron la strada verso Downing Street alle elezioni del maggio 2010 sembra spianata. Eppure l’inizio di novembre è orribile per lui con un gran pasticcio sull’Eu - ropa. Il mese scorso era piovuta la tegola dell’alleanza con il partito neofascista e antisemita polacco di Michal Kaminski. Ma i guai non vengono mai da soli. Una volta approvato il Trattato di Lisbona anche dal presidente della Repubblica ceca (ultimo baluardo di euroscetticismo continentale), Cameron dichiara: mi sono augurato che il trattato non avesse l’a p p rova z i o n e finale, il senso delle sue parole; ma una volta in vigore, ha continuato, non ha alcun senso proporre un referendum. Queste affermazioni scatenano una bufera politica. I colonnelli del partito, tra cui diversi eurodeputati, gli ricordano che la promessa di un referendum sull’Europa era stata formulata solennemente da Cameron all’atto dell’insediamento alla guida del partito, nel lontano 2005. Come rimangiarsi tutto con una conversione a 360 gradi? Passano un po’ di ore e, da politico astuto qual è, Cameron non s’azzarda a smentire ma, per togliersi d’impaccio, rincara la dose. Quello che serve, afferma, non è un’or - mai inutile discussione se sostenere o appoggiare il trattato: più efficacemente, i conservatori una volta arrivati al governo proporranno dei limiti stretti a Bruxelles, in materia di giustizia, immigrazione, politiche sociali. E via continuando con la retorica della sovranità britannica che non si tocca. Il sole non è neppure tramontato, che un giornalista del quotidiano The Guardianpensa d’andare a chiedere un’opinione su Cameron al ministro degli Esteri francese Claude Lelouch. La dichiarazione del ministro è forse irrituale, ma inequivocabile: accusa Cameron di ”c a s t ra re ” le aspirazioni europee della Gran Bretagna e pronostica tempi difficili nelle relazioni tra Europa e Londra, una volta che il Partito conservatore dovesse essere al governo e dà pure al suo leader del ”patetico” e dell’autistico. La mattina dopo l’inter - vista, il ministro va a spiegarsi dall’amba - sciatore britannico a Parigi, tanto che in serata arriva una specie di smentita. Il giornalista, si scusa il ministro, non capiva bene il francese, quindi ha frainteso delle parole. Lelouch afferma di aver voluto dire triste (per patetico) e isolazionista (per autistico). Il G u a rd i a n sottolinea invece che l’intervista è stata condotta in inglese. La questione europea è certamente un banco di prova per i conservatori. A Bruxelles, mentre si preparano gli assetti futuri con due britannici in gara (Blair per la presidenza, Miliband come commissario agli Affari esteri), rimane aperto il problema di quanto l’Inghilterra voglia contare nel dopo Lisbona. La preoccupazione vera di Cameron resta però tutta al di là della Manica. La fronda interna ha rappresentato un campanello d’allar me. L’euroscetticismo, si è sentito ripetere il giovane dai senior del suo partito, fa parte dell’identità dei Tories. Negarlo significa pagare in termini di voti. Non tanto l’estrema destra neofascista del Bnp, quanto il Partito Indipendentista (Ukip), decisamente antieuropeo, potrebbero approfittarne. Nel paese della sterlina, un fuso orario diverso rispetto al meridiano che unisce Madrid, Parigi e Roma, Bruxelles non è riuscita neppure a imporre il metro o il chilo al posto del piede o dell’on - cia. In termini d’opinione pubblica ”e di voti – sono cose che pesano.