Fabrizio D’Amico, la Repubblica,12/11/2009, 12 novembre 2009
BURRI E FONTANA
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Come Roma anche Milano, dove lavorava Fontana, era una città artisticamente vitale, ma emarginata. Fontana era più anziano rispetto a Burri d´una quindicina d´anni; quando si recò a visitare la Biennale veneziana del ´52 (alla quale era stato invitato, rinunciando però alla partecipazione), era stato presente in laguna già tre volte, due delle quali nelle Biennali del dopoguerra. Burri, era la prima volta che vi veniva ammesso: soltanto con due opere su carta, che egli classificò polemicamente come "studi", ospitati nella sezione del "bianco e nero". Uno l´intitolò Strappo, l´altro Rattoppo. Fontana ne comprò uno: e quel gesto si caricava allora d´un significato che esorbitava dalla sua proverbiale generosità nei confronti dei più giovani, sostenuti sovente dal già maturo maestro, in mille modi. Era di più: un tributo, un riconoscimento di vero interesse.
Conosceva allora, Fontana, i Grandi Sacchi di quello stesso 1952? Come, più tardi, avrebbe conosciuto le ”bende´ di Scarpitta, ”quadri´ – per chiamarli ancora così – in cui la tela era posta in tensione sul supporto, squarciata e ferita ovunque? Dorazio sosteneva di sì, che lui stesso, nel ´57 o nel ´58, aveva accompagnato Fontana nello studio di Scarpitta, e che da quell´incontro sarebbero discesi i ”tagli´. Ma Scarpitta, a sua volta, non ricordava forse nelle sue ”bende´ anche la lezione dei Gobbi di Burri, d´inizio d´anni Cinquanta, ove pure la tela cigolava, spinta in avanti dai rami retrostanti, aggettante oltre la superficie? Burri, d´altronde, conosceva certamente, a quella data pur per lui così aurorale, i ”buchi´ di Fontana, immaginati ancora negli anni Quaranta… Tutto si stringe, in quegli anni cruciali per la pittura.