Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  novembre 12 Giovedì calendario

DUE PEZZI SU ROBERT ENKE


La lettera di Enke nell’autunno nero degli eroi che cadono-CORRIERE DELLA SERA 12/11, Gaia Piccardi -

MILANO – Non basta in­dossare una maglia da titolare per resistere in campo novan­ta minuti più recuperi, perché un giorno anche lo sport in­ghiottito come Prozac esauri­sce il suo effetto e allora riman­gono lettere strazianti come quella che Robert Enke, 32 an­ni, portiere dell’Hannover, ha lasciato nella macchina abban­donata a pochi metri dai bina­ri («Scusatemi per avervi na­scosto i miei propositi di suici­dio ») e stanze d’albergo vuote su una spiaggia del Senegal co­me quella in cui il ciclista Frank Vandenbroucke, un me­se fa, ha finito la sua corsa in questo gelido autunno di fo­glie e campioni che cadono, per non rialzarsi più.
La solitudine del portiere è un buon terreno di gioco per la depressione, Gigi Buffon se ne tirò fuori con un bel col­po di reni e di vitali­tà, Enke ci sprofon­dò ben prima della morte della figliolet­ta Lara per una mal­formazione cardia­ca, e adesso la Ger­mania piange quel numero 1 serioso e introverso, partito dall’ex Ddr per esplorare l’Europa (Benfica, Barça, Fe­nerbahçe) e destina­to a custodire i teso­ri della nazionale di Löw al Mondiale su­dafricano, così an­nientato dalla ma­lattia da vergognarsene pro­fondamente fino a soccombe­re, nonostante l’arrivo della piccola Leila, recentemente adottata, e l’affetto della mo­glie Teresa, che ieri ha ricevu­to sulle guance i baci della na­zionale tedesca di oggi e del passato (Beckenbauer: «Provo un dolore infinito», Ballack: «Sono senza parole», Löw: «Mi sento scioccato e vuoto») e nella buca delle lettere i mes­saggi di una nazione attonita. Il Cancelliere Angela Merkel ha personalmente scritto alla vedova Enke, che nella catte­drale di Hannover ha raccolto i cocci di una squadra incapaci­tata a giocare, sabato a Colo­nia, l’amichevole contro il Cile (Bierhoff: «Nessuno di noi ha più voglia di pensare al cal­cio »), fuoriclasse, gregari e ri­serve ora s’interrogano sulla deriva di un ambiente nel qua­le si era già ammalato di de­pressione Sebastian Deisler, ex centrocampista del Bayern e della nazionale, ritiratosi nel 2007 a 27 anni in uno stato di prostrazione psicofisica che si trascinava da anni.
Dal buco nel cuore di Di Bar­tolomei (30 maggio 1994, San Marco di Castellabate), lo sport non è mai riuscito a col­mare il vuoto di un’esistenza, uscirne dipende da una reale volontà di cambiamento che non risponde né a moduli né a schemi. «Ho provato a stimo­lare mio marito, a dargli spe­ranza: gli dicevo che non dove­va vedere tutto nero, perché nella vita ci sono anche cose belle, ma purtroppo non ha funzionato. Pensavo che il no­stro amore bastasse...» ha det­to Teresa davanti al tappeto di lumini accesi intorno allo sta­dio dell’Hannover, l’ultimo in­dirizzo conosciuto dell’anima travagliata che ha commosso la Germania. il lutto di un popolo che prima ha festeggia­to il ventennale della caduta del muro e poi si è riunito spontaneamente nella veglia funebre per Robert Enke che si arrogò il diritto di rinuncia­re alla vita, scoprendosi, se possibile, ancora più unito.

-----
Il calcio sconvolto da Enke "Avevo deciso, perdonatemi" - MAURIZIO CROSETTI, LA REPUBBLICA, 12/11/2009
Non è stato un raptus, ma un lungo corpo a corpo con il dolore e il buio. Robert Enke ha scritto una lettera prima di gettarsi sotto il treno, e ha chiesto scusa: «Perdonate se non vi ho fatto capire quello che avevo già deciso». Poi ha fermato l´auto vicino ai binari, ha tolto il portafoglio dalla tasca e l´ha appoggiato sul sedile, è sceso. E ha aspettato. Il portiere della nazionale tedesca era depresso da almeno sei anni, ed era stato a lungo in cura. Stava male già prima che la sua bimba Lara morisse per una malformazione cardiaca, due anni fa. Lo hanno detto la moglie Teresa, che ha ricevuto una lettera personale della cancelliera Angela Merkel, e il suo psicologo, il dottor Valentin Markser. «Non siamo riusciti a evitare che Robert si uccidesse», ha ammesso il medico. Forse perché il portiere ultimamente rifiutava qualunque farmaco: si era ammalato anche di paura e vergogna, non solo del male di vivere. «Il suo terrore era che si scoprisse la depressione e che per questo gli togliessero la nostra Leila, la bambina che abbiamo adottato a maggio».
Il racconto di Teresa è un atto d´amore e impotenza, come spesso accade a chi sfiora le persone che soffrono del male oscuro. Si vorrebbe salvarle e salvarsi, non sempre si può. «Dopo la perdita di Lara, io e Robert avevamo pensato che questo immenso dolore fosse superabile. Abbiamo tentato di farcela in ogni modo. Parlavamo del futuro, facevamo progetti. I suoi periodi di sofferenza si alternavano a quelli di ripresa, e io provavo a ripetergli che nella vita ci sono anche tante cose belle. Robert aveva paura di perdere anche Leila. Credevo che l´amore potesse aiutarlo, ma a volte neanche l´amore basta».
Una lunga veglia funebre ha accompagnato ieri il dolore dei tifosi dell´Hannover e di tutti i tedeschi. Tremila persone fuori dalla chiesa e settecento dentro, molte con addosso la maglia di Enke, quasi tutti con una candela in mano. La nazionale ha annullato l´amichevole col Cile. Molti sapevano che il portiere era reduce da una serie di problemi fisici, però si pensava che l´ultimo guaio - un virus intestinale, tre mesi di stop - fosse la causa principale, ormai debellata. Invece la depressione lo tormentava da quando, nel 2003, Enke aveva perduto il posto da titolare nel Barcellona. A volte basta poco per spezzare il filo di fragilità che lega le vite di molti atleti, e le tiene insieme finché l´equilibrio non crolla. Poi, certo, una tragedia come la perdita della bambina deve avere innescato un´esplosione a catena nell´animo di Enke, moltiplicando la sua sofferenza. «Era appena tornato in campo, stava meglio, sembrava di nuovo forte», dice la moglie. La solitudine aveva però scavato un solco invisibile, ed è lì che agisce l´istinto suicida: quando il peggio sembra passato e invece è dentro che lavora, nel profondo, giorno dopo giorno.
Il suicidio di Robert Enke ricorda da vicino i gesti di molti altri atleti, alcuni dei quali famosi, che non hanno retto al dolore di vivere, dal ciclista Luis Ocaña ad Agostino Di Bartolomei, oppure i calciatori Lester Morgan e Tim Carter, i pugili Alexis Arguello e Arturo Gatti, il canoista Marco Fagioli. Anche se sono forse i corridori in bicicletta i più esposti: si uccisero lo spagnolo José Maria Jimenez e l´italiano Luca Gelfi, resta nell´ombra la dinamica della morte di Marco Pantani e Frank Vandenbroucke la scorsa settimana ben due ciclisti si sono tolti la vita, il belga Dimitri De Fauw e l´iberico Agustin Sagasti.
Quasi tutti, all´apparenza, campioni privilegiati e felici. Qualcuno, come Pessotto, salvo per miracolo. Ma lo sport non è un´isola. «Non siamo supereroi, abbiamo le debolezze di tutti» ammette Gianluca Zambrotta. E il suo ex compagno Buffon è stato tra i pochi a riconoscere i morsi tremendi della depressione, quella voglia di non lottare più. Lui ne è uscito, anche perché non si è tenuto tutto dentro. Altri fanno finta di niente finché, appunto, il niente arriva e li reclama.