Gaia Piccardi, Corriere della Sera 12/11/2009 Maurizio Crosetti, la Repubblica 12/11/2009, 12 novembre 2009
DUE PEZZI SU ROBERT ENKE
La lettera di Enke nell’autunno nero degli eroi che cadono-CORRIERE DELLA SERA 12/11, Gaia Piccardi -
MILANO – Non basta indossare una maglia da titolare per resistere in campo novanta minuti più recuperi, perché un giorno anche lo sport inghiottito come Prozac esaurisce il suo effetto e allora rimangono lettere strazianti come quella che Robert Enke, 32 anni, portiere dell’Hannover, ha lasciato nella macchina abbandonata a pochi metri dai binari («Scusatemi per avervi nascosto i miei propositi di suicidio ») e stanze d’albergo vuote su una spiaggia del Senegal come quella in cui il ciclista Frank Vandenbroucke, un mese fa, ha finito la sua corsa in questo gelido autunno di foglie e campioni che cadono, per non rialzarsi più.
La solitudine del portiere è un buon terreno di gioco per la depressione, Gigi Buffon se ne tirò fuori con un bel colpo di reni e di vitalità, Enke ci sprofondò ben prima della morte della figlioletta Lara per una malformazione cardiaca, e adesso la Germania piange quel numero 1 serioso e introverso, partito dall’ex Ddr per esplorare l’Europa (Benfica, Barça, Fenerbahçe) e destinato a custodire i tesori della nazionale di Löw al Mondiale sudafricano, così annientato dalla malattia da vergognarsene profondamente fino a soccombere, nonostante l’arrivo della piccola Leila, recentemente adottata, e l’affetto della moglie Teresa, che ieri ha ricevuto sulle guance i baci della nazionale tedesca di oggi e del passato (Beckenbauer: «Provo un dolore infinito», Ballack: «Sono senza parole», Löw: «Mi sento scioccato e vuoto») e nella buca delle lettere i messaggi di una nazione attonita. Il Cancelliere Angela Merkel ha personalmente scritto alla vedova Enke, che nella cattedrale di Hannover ha raccolto i cocci di una squadra incapacitata a giocare, sabato a Colonia, l’amichevole contro il Cile (Bierhoff: «Nessuno di noi ha più voglia di pensare al calcio »), fuoriclasse, gregari e riserve ora s’interrogano sulla deriva di un ambiente nel quale si era già ammalato di depressione Sebastian Deisler, ex centrocampista del Bayern e della nazionale, ritiratosi nel 2007 a 27 anni in uno stato di prostrazione psicofisica che si trascinava da anni.
Dal buco nel cuore di Di Bartolomei (30 maggio 1994, San Marco di Castellabate), lo sport non è mai riuscito a colmare il vuoto di un’esistenza, uscirne dipende da una reale volontà di cambiamento che non risponde né a moduli né a schemi. «Ho provato a stimolare mio marito, a dargli speranza: gli dicevo che non doveva vedere tutto nero, perché nella vita ci sono anche cose belle, ma purtroppo non ha funzionato. Pensavo che il nostro amore bastasse...» ha detto Teresa davanti al tappeto di lumini accesi intorno allo stadio dell’Hannover, l’ultimo indirizzo conosciuto dell’anima travagliata che ha commosso la Germania. il lutto di un popolo che prima ha festeggiato il ventennale della caduta del muro e poi si è riunito spontaneamente nella veglia funebre per Robert Enke che si arrogò il diritto di rinunciare alla vita, scoprendosi, se possibile, ancora più unito.
-----
Il calcio sconvolto da Enke "Avevo deciso, perdonatemi" - MAURIZIO CROSETTI, LA REPUBBLICA, 12/11/2009
Non è stato un raptus, ma un lungo corpo a corpo con il dolore e il buio. Robert Enke ha scritto una lettera prima di gettarsi sotto il treno, e ha chiesto scusa: «Perdonate se non vi ho fatto capire quello che avevo già deciso». Poi ha fermato l´auto vicino ai binari, ha tolto il portafoglio dalla tasca e l´ha appoggiato sul sedile, è sceso. E ha aspettato. Il portiere della nazionale tedesca era depresso da almeno sei anni, ed era stato a lungo in cura. Stava male già prima che la sua bimba Lara morisse per una malformazione cardiaca, due anni fa. Lo hanno detto la moglie Teresa, che ha ricevuto una lettera personale della cancelliera Angela Merkel, e il suo psicologo, il dottor Valentin Markser. «Non siamo riusciti a evitare che Robert si uccidesse», ha ammesso il medico. Forse perché il portiere ultimamente rifiutava qualunque farmaco: si era ammalato anche di paura e vergogna, non solo del male di vivere. «Il suo terrore era che si scoprisse la depressione e che per questo gli togliessero la nostra Leila, la bambina che abbiamo adottato a maggio».
Il racconto di Teresa è un atto d´amore e impotenza, come spesso accade a chi sfiora le persone che soffrono del male oscuro. Si vorrebbe salvarle e salvarsi, non sempre si può. «Dopo la perdita di Lara, io e Robert avevamo pensato che questo immenso dolore fosse superabile. Abbiamo tentato di farcela in ogni modo. Parlavamo del futuro, facevamo progetti. I suoi periodi di sofferenza si alternavano a quelli di ripresa, e io provavo a ripetergli che nella vita ci sono anche tante cose belle. Robert aveva paura di perdere anche Leila. Credevo che l´amore potesse aiutarlo, ma a volte neanche l´amore basta».
Una lunga veglia funebre ha accompagnato ieri il dolore dei tifosi dell´Hannover e di tutti i tedeschi. Tremila persone fuori dalla chiesa e settecento dentro, molte con addosso la maglia di Enke, quasi tutti con una candela in mano. La nazionale ha annullato l´amichevole col Cile. Molti sapevano che il portiere era reduce da una serie di problemi fisici, però si pensava che l´ultimo guaio - un virus intestinale, tre mesi di stop - fosse la causa principale, ormai debellata. Invece la depressione lo tormentava da quando, nel 2003, Enke aveva perduto il posto da titolare nel Barcellona. A volte basta poco per spezzare il filo di fragilità che lega le vite di molti atleti, e le tiene insieme finché l´equilibrio non crolla. Poi, certo, una tragedia come la perdita della bambina deve avere innescato un´esplosione a catena nell´animo di Enke, moltiplicando la sua sofferenza. «Era appena tornato in campo, stava meglio, sembrava di nuovo forte», dice la moglie. La solitudine aveva però scavato un solco invisibile, ed è lì che agisce l´istinto suicida: quando il peggio sembra passato e invece è dentro che lavora, nel profondo, giorno dopo giorno.
Il suicidio di Robert Enke ricorda da vicino i gesti di molti altri atleti, alcuni dei quali famosi, che non hanno retto al dolore di vivere, dal ciclista Luis Ocaña ad Agostino Di Bartolomei, oppure i calciatori Lester Morgan e Tim Carter, i pugili Alexis Arguello e Arturo Gatti, il canoista Marco Fagioli. Anche se sono forse i corridori in bicicletta i più esposti: si uccisero lo spagnolo José Maria Jimenez e l´italiano Luca Gelfi, resta nell´ombra la dinamica della morte di Marco Pantani e Frank Vandenbroucke la scorsa settimana ben due ciclisti si sono tolti la vita, il belga Dimitri De Fauw e l´iberico Agustin Sagasti.
Quasi tutti, all´apparenza, campioni privilegiati e felici. Qualcuno, come Pessotto, salvo per miracolo. Ma lo sport non è un´isola. «Non siamo supereroi, abbiamo le debolezze di tutti» ammette Gianluca Zambrotta. E il suo ex compagno Buffon è stato tra i pochi a riconoscere i morsi tremendi della depressione, quella voglia di non lottare più. Lui ne è uscito, anche perché non si è tenuto tutto dentro. Altri fanno finta di niente finché, appunto, il niente arriva e li reclama.