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 2009  novembre 12 Giovedì calendario

HO VISTO BUSCO ALLE 18: ERA A CASA


ROMA - «Ma io non la conosco, se non la vedo di persona come faccio a parlarle? Venga a trovarmi e le racconterò tutto...».
Signora, sia comprensiva, con il traffico che c’è non arriveremmo mai in tempo. Ci conceda pochi minuti, visto che è diventata un personaggio chiave di questo processo.
«Guardi che io non lotto per la pubblicità, lotto perché Raniero è innocente».
Ecco, finalmente si è sbloccata, finalmente uno spiraglio si è aperto. Maria Di Giacomo oggi ha 70 anni e vive felicemente attorniata da figli e nipoti, nella casa di via Fosso di Sant’Andrea 45, a Morena, fra la Tuscolana e l’Anagnina, la casa che abitava il 7 agosto 1990 quando Simonetta Cesaroni venne uccisa. Neanche duecento metri dall’abitazione dei Busco, «amici di famiglia, persone esemplari».
Di quegli anni non ha perso l’accento napoletano e neppure la memoria d’acciaio e tanto meno il gusto di un parlare colorito: «Gesù, la verità mica la puoi chiudere in una busta» oppure «Ho un figlio avvocato ma, di giustizia non capisco niente. Però lo so quanto fa due più due». E così via, senza mai perdere la pazienza, anzi accalorandosi sempre più al punto di ammettere, quasi alla fine: «Guardi che non ho nessuna fretta».
La convocarono in procura non all’indomani del delitto , ma quasi diciassette anni dopo. Si ricordarono di lei, di questa casalinga sveglia e appassionata, solo la mattina del 29 gennaio 2007 e fu lì, a Palazzo di giustizia, che Maria Di Giacomo mise insieme a uno a uno i suoi tasselli, fornendo una montagna di orari e di particolari. Non è stata sufficiente, quella deposizione, a evitare il rinvio a giudizio di Busco, ma sicuramente risentiremo parlare di lei al processo.
E’ proprio sicura che fosse il 7 agosto?
«Perbacco se sono sicura. Il 6 agosto è l’onomastico di mio figlio Salvatore, ma anche quello di mio suocero, a quei tempi morto da poco. Mio marito non voleva festeggiare nulla, si rinchiuse in se stesso, muto per tutta la giornata. Solo il giorno dopo ebbi il coraggio di dirgli: dai, usciamo e andiamo e prendere un regalino per nostro figlio».
E che ora era?
«Le sei e un quarto del pomeriggio. Ricordo bene che mio marito, giù in strada, mi diceva di sbrigarmi. Lui era già al volante della sua Audi 90. Salii in macchina e alla prima curva rallentammo: ebbi tutto il tempo di vedere Raniero. Il cancello era aperto, lui sulla rampa carrabile a riparare una macchina chiara, tutto sporco di unto. Anzi, stava anche parlando con la madre».
Nel verbale della sua deposizione c’è scritto che lei fissa questo ricordo tra le 18 e 20 e le 18 e 25. E’ così?
«Si sbagliano. Io ho visto Raniero Busco e sua madre alle 18.18 di quel pomeriggio. E ho avuto tutto il tempo di fissare nella mente la scena prima che la nostra Audi riprendesse velocità».
E come seppe dell’omicidio di Simonetta?
«Sapevamo che Raniero era fidanzato, ma non conoscevamo questa Simonetta, neppure il suo nome. Quando il giorno dopo notai una bella confusione davanti alla casa dei Busco, pensai che erano arrivati i parenti della madre dalle Marche. Solo più tardi chiesi a Giuseppina di quel via vai e lei mi raccontò tutto: altro che parenti, quelli erano poliziotti».
Poi nessuno l’ha cercata fino al 29 gennaio 2007?
«Proprio nessuno, non ci pensavamo veramente più».
E da allora, da quando ha testimoniato a favore di Raniero, ha ricevuto pressioni, scocciature, minacce?
«No. Sono tornata a vivere la mia vita tranquilla».
Ore 18,18, dice la signora Di Giacomo e bisogno segnarselo quest’orario: se dice la verità l’assassino di Simonetta resta ancora indisturbato nell’ombra.