Lauretta Colonnelli, Corriere della sera 12/11/2009, 12 novembre 2009
Colore di donna- «Gli italiani a Parigi», un viaggio ottocentesco tra le «femmes fleurs» dipinte da Boldini e altri Dopo l’ampia retrospettiva allestita quattro anni fa a Palazzo Zabarella di Padova e poi passata alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, ecco una nuova grande mostra dedicata a Giovanni Boldini
Colore di donna- «Gli italiani a Parigi», un viaggio ottocentesco tra le «femmes fleurs» dipinte da Boldini e altri Dopo l’ampia retrospettiva allestita quattro anni fa a Palazzo Zabarella di Padova e poi passata alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, ecco una nuova grande mostra dedicata a Giovanni Boldini. Francesca Dini, che insieme a Fernando Mazzocca e Carlo Sisi aveva già curato l’esposizione di Padova, questa volta ha affiancato alle opere del pittore ferrarese anche quelle degli altri artisti che fecero fortuna a Parigi nella seconda metà dell’Ottocento. Non solo Giuseppe De Nittis e Federico Zandomeneghi, che insieme a Boldini divennero i celebri «italiani di Parigi», ma anche Vittorio Corcos, Antonio Mancini, Telemaco Signorini, Serafino De Tivoli, che emigrarono oltralpe attratti dalla modernità della «Ville lumière» e dalle nuove tendenze artistiche che vi si sperimentavano. Nella rassegna al Chiostro del Bramante, di Boldini, De Nittis e Zandomeneghi si ripercorrono, attraverso i quadri, anche le vicende biografiche. Capita così di trovare tele già viste nella precedente mostra, come la «Conversazione al caffè», dove Boldini raffigura due elegantissime figure femminili sedute davanti al tavolinetto di un café parigino. L’esile signorina fasciata in un abito nero a balze pieghettate è la modella Berthe, da anni amante del pittore. Seduta di fronte a lei appare la contessa Gabrielle de Rasty, che in quel periodo (siamo nel 1879) si accingeva a subentrare nella vita sentimentale del pittore e a spianargli la via del successo. Fu infatti la bella aristocratica ad introdurlo nella grande società parigina, organizzata in salotti esclusivi che facevano opinione. E a determinare la sua affermazione come «ritrattista mondano». Si possono vedere in mostra alcuni di questi ritratti esposti per la prima volta, come la «Donna bionda di profilo a sinistra» o l’inedito «Ritratto di Irene Catlin». E si possono al tempo stesso ammirare le celeberrime «Miss Bell», la «Dama di Biarritz», «Madame Victor-Hugo», la misteriosa «Divina in Blu», «Emiliana Concha de Ossa»: un seducente harem di bellezze che tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento si aggiravano nei salotti dell’aristocrazia e per le quali Robert de Montesquieu, celebre dandy immortalato da Proust, aveva coniato la definizione di «femme fleur», una sorta di bocciolo femminile la cui unica preoccupazione, secondo l’esteta francese, sembrava essere quella di non sbagliare «nella scelta del poeta della propria bellezza». Boldini, nel periodo più avanzato e fulgido della sua carriera seppe immortalarle, fasciate nei sontuosi abiti da sera, con pennellate svolazzanti e nervose, esasperandone la fragilità dei corpi, la forma affusolata delle mani, lo sguardo fatale. Arrivato a Parigi nello stesso anno di Boldini e spesso in rivalità con lui, anche De Nittis canta la dolcezza di vivere di una borghesia sensuale e felice. Anche le sue donne esaltano il fascino, l’eleganza, l’appartenenza al bel mondo. Anche lui si appoggia a una signora francese per arrivare al successo. Fu infatti la devota moglie Leontine a creare consenso e calore attorno alla figura del pittore venuto da Barletta, attirando nel loro salotto personaggi come Edmond de Goncourt, il quale racconta nel «Journal » le cene a casa De Nittis, che iniziano «con dei maccheroni che cucina lui stesso da buon napoletano ». Diversa l’esperienza di Zandomeneghi, che arriva a Parigi a trentacinque anni, artista già affermato e completo nel gruppo fiorentino dei Macchiaioli, dove lo chiamavano «Nappo Cane» (a causa del suo grande naso). Rifugge «le monde» elegante celebrato dai suoi connazionali e si rifugia a Montmartre, dove vive a fianco di Toulouse-Lautrec, dell’artista e modella Suzanne Valadon, di Pissarro e Guillaumin. Diventa amico di Degas, Renoir e Gauguin e con loro divide l’esperienza dell’impressionismo, ma senza abbandonare mai le radici nella scuola veneta e toscana. Al contrario di Boldini e De Nittis ci mise un bel po’ ad emergere e anche dopo è rimasto piuttosto nell’ombra. Forse perché «non volendo essere insipido e non potendo essere feroce ha dovuto attendere un po’ più a lungo degli altri che si comprendesse la sincerità della sua arte», come scrisse Arsène Alexandre in occasione della prima personale di Zandomeneghi alla prestigiosa Galerie Durand- Ruel, nel 1893.