Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  novembre 12 Giovedì calendario

Notizie, Google sfida Murdoch «Chi vuole può andare via»- Il motore di ricerca risponde all’accusa di rubare i contenuti NEW YORK – Riempia l’ap­posito modulo e saremo ben fe­lici di accontentarlo

Notizie, Google sfida Murdoch «Chi vuole può andare via»- Il motore di ricerca risponde all’accusa di rubare i contenuti NEW YORK – Riempia l’ap­posito modulo e saremo ben fe­lici di accontentarlo. Google ha risposto con un’alzata di spalle all’ipotesi che Rupert Murdoch vieti a Google News di utilizza­re i contenuti dei suoi giornali. In fondo minacce simili il vec­chio editore le ripete da tempo. Stavolta, però, Murdoch è anda­to oltre. Ha detto che il busi­ness dei «blog» e dei siti web non sta in piedi: anche quelli di maggiore successo guadagna­no spiccioli. E ha aggiunto che i visitatori occasionali dei siti, i «search people», sono utenti poco appetibili: producono traf­fico ma non diventano lettori abituali. Dietro l’ennesima sortita del «tycoon» australiano c’è, sicura­mente, la frustrazione degli edi­tori che si sentono «derubati» dei contenuti informativi di qualità, da loro prodotti a caro prezzo, ma nella testa del padro­ne di Sky e del Wall Street Jour­nal forse sta cominciando ad af­facciarsi anche un’altra conside­razione: Google rimane un «mo­loch » con il quale bisogna sem­pre fare i conti per la sua illimi­tata capacità di alimentare e in­dirizzare il traffico su Internet, ma, dal punto di vista della stampa, reti come Twitter e Fa­cebook possono essere interlo­cutori più utili della «corazza­ta » di Mountain View. Twitter, ad esempio, sta diventando una destinazione importante quanto Google per la ricerca di informazioni giornalistiche. E, con i suoi minimessaggi di 140 caratteri, non invade il campo del giornale: non riproduce l’in­tera storia, come Google News, ma si limita a un rimando. Può, insomma, essere un partner più importante e prezioso. Negli ultimi mesi Murdoch è diventato il difensore più osti­nato e spregiudicato della carta stampata nel suo tentativo di rendere redditizia la presenza delle testate su Internet e di contrastare chi, come Google, non produce informazione ma trae lauti profitti dall’organizza­zione dei contenuti altrui. Mur­doch unico imprenditore del­l’informazione con le spalle ab­bastanza larghe per sfidare la potenza di Google, si dice. Men­tre gli altri editori si muovono in ambiti prevalentemente na­zionali e spesso guidano azien­de «monoprodotto», la News Corp è un’azienda globale, che possiede centinaia di testate in Europa, in America e in Austra­lia ed è meno fragile perché di­versificata: giornali, televisioni, cinema, reti sociali (MySpace). Un sfida fra due giganti, in­somma: un’immagine che Goo­gle non vuole accreditare, tanto che ieri sera ha diramato una se­conda nota nella quale precisa che il comunicato del pomerig­gio («i produttori di notizie hanno il completo controllo su quanto dei loro contenuti appa­re in caso di ricerca; se ci chie­dono di non inserire il loro ma­teriale, non lo facciamo») era ri­volto a tutto il mondo dell’edi­toria e non specificamente a Murdoch. Rimane il fatto che, con gli al­tri editori divisi tra chi vuole ar­ginare lo strapotere del gruppo di Mountain View e chi preferi­sce non rompere col maggior produttore di traffico su Inter­net, è proprio Murdoch che sta movimentando la scena. Le chiavi di lettura sono le più diverse: secondo alcuni sta «bluffando», sperando di spin­gere Google a pagarlo per il Wall Street Journal come ha fat­to in passato per il diritto esclu­sivo di inserire MySpace nel suo motore di ricerca. Secondo altri la cultura informatica del­l’editore non è talmente sofisti­cata da spingerlo a scommette­re tutto sulle reti sociali. Tanto più che mercato e tecnologie so­no in rapida evoluzione e nessu­no ha certezze sui punti d’ap­prodo. Ma più che la tecnologia, og­gi Murdoch sembra seguire due intuizioni: da uomo anche di televisioni – un settore che fin qui si è fatto «cannibalizza­re » da Internet assai meno del­la stampa – pensa che dieci an­ni fa gli editori hanno commes­so un mezzo suicidio quando hanno accettato la filosofia del tutto-gratis in rete. Ora, con YouTube (controllata da Goo­gle, tanto per cambiare) e la dif­fusione della banda larga, la mi­naccia diventa mortale anche per le tv ed è quindi tempo di reagire. O, almeno, di provarci. Ma nell’atteggiamento di Murdoch si comincia a leggere anche la sensibilità dell’uomo della carta stampata che vede come il mondo dei motori di ri­cerca stia spiazzando i giornali non solo dal punto di vista eco­nomico, ma anche da quello dei percorsi di lettura. Un gior­nale vale per le storie che rac­conta, per i contesti nei quali le inserisce, per il modo in cui se­gue, giorno dopo giorno, una certa vicenda. L’utente del mo­tore di ricerca è un lettore ca­suale che opera una specie di vi­visezione: prende un pezzetto di informazione, ma ignora completamente il valore del prodotto-giornale. Meglio, allora, rivolgersi a una platea assai più limitata ma fatta di lettori più consapevoli? una scelta pericolosa, ma la domanda è sensata.