Danilo Taino, Corriere della Sera, 12/11/2009, 12 novembre 2009
RIDURRE I GAS SERRA, GANDE AFFARE MONDIALE
BERLINO – In Italia non verrà nessuno a investire nella riduzione dell’effetto serra. Il Paese ha legislazione e pratiche troppo incerte e costituisce un rischio elevato per chi vuole fare business in un’industria che – ritengono molti economisti – è una delle più promettenti a livello internazionale. Un gruppo di lavoro della Deutsche Bank specializzato nello studio del surriscaldamento del pianeta ha analizzato le politiche di un centinaio di nazioni e ha stabilito che, tra le maggiori economie, quella italiana è l’unica a presentare un «rischio alto» per chi voglia partecipare a questo settore.
Lo studio della banca tedesca, in collaborazione con l’Earth Institute della Columbia University di New York, calcola inoltre le prospettive e i costi che il mondo deve affrontare per bloccare l’effetto serra. Sono oltre 2.700 miliardi di dollari entro il 2020 e altri 9.361 tra il 2021 e il 2030, sulla base delle stime della Iea, l’Agenzia internazionale per l’energia. L’analisi fa pensare che sarà difficile, proprio per ragioni di denaro, arrivare a un accordo internazionale durante la Conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici che si terrà in dicembre a Copenaghen, l’appuntamento che dovrebbe in teoria dovrebbe portare a un nuovo regime di taglio delle emissioni di anidride carbonica per gli anni successivi al 2012, quando le regole attuali fissate dall’accordo di Kyoto verranno meno.
Gli esperti della Deutsche Bank sostengono che l’obiettivo della stabilizzazione della temperatura del pianeta a un massimo di due gradi centigradi sopra quello che era nel diciannovesimo secolo prima della rivoluzione industriale richiede uno sforzo molto maggiore di quello messo in campo finora. Se si considerano le politiche di riduzione delle emissioni in essere e quelle proposte, compreso il Clean Energy and Security Act americano al momento bloccato nelle sabbie mobili del Congresso e si immagina che tutte abbiano il risultato massimo possibile, il volume delle emissioni nel 2020 sarebbe comunque superiore di 5-7 gigatonnellate di anidride carbonica equivalente rispetto al massimo necessario per stare sotto i due gradi centigradi di aumento della temperatura. in sostanza la quantità di gas a effetto serra che emettono gli Stati Uniti in un anno, una quantità enorme. E se le economie dei Paesi emergenti non rallenteranno la crescita dopo il 2014 – come la Iea pensa succederà – all’eccesso si dovrebbero aggiungere altre sette gigatonnellate di anidride carbonica.
Gli esperti della Deutsche Bank sono persone di buona volontà e non disperano, anche se probabilmente davanti a cifre del genere ci sarebbe forse da rimettere in discussione l’approccio stesso al surriscaldamento climatico. Ma nella lotta all’effetto serra vedono un settore di business interessante per molti investitori e quindi vanno avanti. Dicono che per raggiungere l’obiettivo dei due gradi occorre mobilitare grandi risorse e creare un ambiente favorevole agli investimenti in termini di risparmio e efficienza energetica, energie alternative, utilizzo corretto della terra, riforestazione e di tutto ciò che riduca le emissioni. Su queste basi, hanno studiato oltre cento Paesi e hanno stabilito quali hanno in essere politiche attraenti per il business del clima e quali invece presentano rischi. La chiave – dicono – è che un Paese deve avere legislazione e pratiche di business trasparenti, certe e con un periodo di vita lungo. Diversamente, nessuno ci investirà.
Su queste basi, hanno stilato una classifica che considera il tempo di vita delle politiche già decise, la coerenza tra obiettivi e misure concrete, l’accessibilità di queste politiche da parte di chi vuole investire, la capacità delle leggi di mobilitare investimenti, l’abbondanza di finanza pubblica mirata agli obiettivi di riduzione delle emissioni, la capacità di pianificare, la presenza o meno di un comitato di controllo che garantisca che le scelte vengano implementate. Alla fine hanno dato dei punteggi e li hanno riassunti in tre categorie: Paesi a basso rischio di investimento, a medio rischio, ad alto rischio. Nella categoria dei migliori ci sono per esempio Francia, Germania, Giappone, Cina, Australia, Brasile. Tra gli intermedi Canada, India, Russia, Messico, Stati Uniti, Gran Bretagna, Indonesia, Corea del Sud, Sudafrica. Ad alto rischio, tra le maggiori economie, solo l’Italia, in cui «il regime sui cambiamenti climatici resta incerto». Altri Paesi ad alto rischio sono risultati Malta, la Slovacchia, la Libia, il Madagascar, il Mali, il Pakistan, la Grecia.
L’impresa di stabilizzare la temperatura del pianeta sarà insomma enorme, alla Conferenza di Copenaghen e soprattutto dopo. Al momento, però, l’Italia non sembra della partita.