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 2009  novembre 11 Mercoledì calendario

L’Italia che aspetta la banda larga (DUE ARTICOLI)- Da tema per i tecno-speciali­sti la banda larga è diventa­ta argomento di dibattito politico

L’Italia che aspetta la banda larga (DUE ARTICOLI)- Da tema per i tecno-speciali­sti la banda larga è diventa­ta argomento di dibattito politico. Il risultato che decine di convegni avevano rincorso invano è stato ottenuto da una semplice, netta dichiarazione del vicepresi­dente del Consiglio Gianni Letta il cui senso era: «Gli ottocento milio­ni previsti dal piano del vicemini­stro Paolo Romani non ci sono più, la crisi ci spinge a riconsiderare le priorità». Ne è seguito un piccolo fi­nimondo mediatico. La reazione del ministro dello Sviluppo econo­mico Claudio Scajola e tutta la di­scussione che ne è seguita sono sol­tanto l’inizio. Il risultato ottenuto è stato para­dossalmente quello di portare all’at­tenzione di tutti il rischio che l’Ita­lia resti arretrata in un’infrastruttu­ra fondamentale per la competitivi­tà del Paese, un tonico anti-crisi for­midabile anche se meno visibile del­le strade e dei ponti: quello che ci consente di navigare velocemente in Internet, con benefici per la no­stra vita privata e professionale. Solo due numeri per ricordare di che cosa stiamo parlando. Il 12 per cento degli italiani oggi non ha nep­pure i 2 megabit al secondo che il rapporto di Francesco Caio conside­rava la soglia minima per un Paese moderno. Ma se prendiamo a riferi­mento i 20 megabit che assicurano l’Internet veloce, secondo i dati del­l’Osservatorio Banda Larga di Between la percentuale si innalza al 39 per cento. Una delle più alte d’Eu­ropa. Il piano Romani – quello appun­to in discussione per la mancanza di 800 sui circa 1.400 milioni di stanziamento previsti – si ripro­metteva di colmare questo divario digitale regalando (si fa per dire) 20 mega a tutti gli italiani entro l’anno fatidico 2012. Sia a chi abita in città sia a chi vive in collina o in monta­gna e oggi è tecnologicamente svan­taggiato. In Italia infatti come sempre le medie contano poco; e anche nel di­gital divide il Paese si presenta dise­gnato a macchia di leopardo. Accan­to a regioni hi-tech abbiamo zone scollegate: e non è necessariamente il Mezzogiorno il territorio meno fortunato. Se guardate la mappa del digital divide notate per esempio che tra le regioni più avanzate, oltre alla Lombardia, alla Liguria e al La­zio, compaiono anche la Campania e la Puglia. Che furono, a metà degli anni Novanta, fra le terre promesse da cui partì il piano Socrate dell’allo­ra Stet (poi diventata Telecom) che avrebbe dovuto cablare l’Italia inte­ra in un tripudio di lungimiranza e modernità. Così come salta all’occhio il fatto che nell’elenco delle regioni a più al­to digital divide figurano sì la Cala­bria, la Basilicata, l’Abruzzo e il Moli­se, ma anche il Friuli-Venezia Giu­lia, le Marche, il Trentino-Alto Adi­ge e la Val d’Aosta: tutte regioni ba­ciate dalla bellezza del paesaggio montano ma problematiche dal pun­to di vista infrastrutturale. Più o me­no nella media sono invece le altre regioni: il Piemonte industriale, il Veneto e l’Emilia Romagna, cioè le aree forti dove risiede la media im­presa più competitiva, la Toscana, l’Umbria, la Sicilia e la Sardegna. In certi casi differenze vistose so­no visibili all’interno della stessa re­gione, anche una evoluta come la Lombardia. E non sempre è colpa dei monti. A pochi chilometri da Mi­lano, una delle città più cablate del mondo con la rete ottica di Fast­web, si trovano zone in forte digital divide come le ricche e pianeggian­ti Mantova e Cremona. Uno dei motivi che rendono tan­to variegato il panorama italiano è proprio la diversa capacità d’iniziati­va dei governi regionali. «Piemon­te, Val d’Aosta e Sardegna, per esem­pio hanno fatto molto per portare l’Adsl nei piccoli comuni e colmare il digital divide di prima generazio­ne (sotto i 2 mega), e altre ci stanno lavorando – dice Marco Mena di Between ”. Mentre l’unica al mo­mento dotata di un piano per porta­re i 20 mega è la Regione Marche, pressata dai piccoli e medi impren­ditori che dalla mancanza di Inter­net hanno tutto da perdere». Come si sa le Marche hanno circa lo stes­so numero di distretti industriali della Lombardia pur con un sesto degli abitanti. Fin qui le infrastrutture di rete, autostrade invisibili di Internet. Ma differenze ancora più forti tra Italia e Italia spiccano nei servizi forniti dalla pubblica amministra­zione ai cittadini. Nella sanità per esempio le distanze tra Nord e Sud sono siderali. Ma anche restando al Nord, se­condo l’Osservatorio Piattaforme di Between, mentre il Piemonte ha ot­tenuto buoni risultati nell’informa­tizzazione delle singole strutture, Lombardia ed Emilia-Romagna han­no creato sistemi integrati i cui be­nefici sono maggiormente percepi­ti dai cittadini. La carta regionale dei servizi lombardi, per citare il ca­so più famoso, è considerata una delle esperienze più avanzate d’Eu­ropa. Passando ai trasporti, che dipen­dono direttamente dalla bravura dei Comuni, ci sono dodici città (sempre secondo Between) che dan­no sul cellulare le informazioni e i servizi sui mezzi pubblici: sono Bo­logna, Cagliari, Firenze, Genova, Mantova, Milano, Modena, Parma, Pesaro, Roma, Torino e Trieste. Anche qui forti contrasti: mentre Torino è considerata all’avanguar­dia, il 40 per cento dei comuni capo­luoghi italiani non offre alcun servi­zio di info-mobilità, senza distinzio­ni tra Nord, Centro e Sud. Tra que­sti ultimi infatti troviamo Agrigen­to, Alessandria, Arezzo, Gorizia, Sa­vona, Sondrio e Rimini. Interessante infine l’esempio del turismo, che è la prima voce del­l’e- commerce italiano secondo l’Os­servatorio Netcomm del Politecnico di Milano. Le tradizionali città d’ar­te, da Venezia a Firenze, si mettono largamente in mostra con i propri al­berghi sui portali specializzati più importanti come Expedia, Booking­online e Venere. Mentre Milano e To­rino sono online solo a metà. E la stessa Roma, città turistica per eccel­lenza, presenta sul web soltanto due terzi dei suoi circa mille hotel. Ma, al di là dei numeri, che pure sono importanti, anche nel turismo online ciò che conta è la qualità e il buon uso del mezzo. Molte, troppe strutture offrono «dépliant digita­li » rigidi che danno informazioni scarse, poche immagini e non sono divertenti da visitare. Un grave difetto in un’epoca di crisi economica in cui i turisti po­tenziali, prima di organizzarsi il viaggio, confrontano meticolosa­mente le offerte online già mesi pri­ma di partire. E dunque compiono una visita virtuale che corrisponde al primo, vero test. «Il danno più grave? Per le imprese»- Stefano Pileri ( nella foto ), capo della rete e della tecnologia di Telecom Italia, sta per lasciare l’azienda dove lavora da 28 anni. Il manager romano comunque resterà presidente dello Csit, l’organi­smo confindustriale che si occupa dei servizi innovativi e tecnologici. In viale dell’Astronomia non si sono mai occupati tanto di hi-tech. « vero e per due motivi – dice Pileri ”: innan­zitutto è ormai sicuro che gli investi­menti in banda larga hanno un effetto positivo sul Pil; in secondo luogo il maggior danno dal digital divide lo su­biscono proprio le imprese». Internet è usato dal 66% di loro. «Le piccole – di­ce Pileri – non trovano utile il web, le medie invece lo trovano utilissimo ma a volte operano in zone dove l’ampiez­za della banda non è presente o suffi­ciente. da queste ultime che viene lo stimolo più forte verso la Confindustria a darsi da fare». Qualcosa di simile capita anche alle famiglie, che però non hanno una Con­findustria a rappresentarle: solo il 45% utilizza l’Adsl e solo il 62% possiede un personal computer. Anche qui: la mag­gior parte considera Internet uno stru­mento pressoché inutile. E ripropone l’antico dilemma se si debbano realizza­re prima le autostrade o le automobili. La ricetta di Pileri è radicale: «Biso­gna rendere progressivamente obbliga­toria l’erogazione di alcuni servizi via Internet, dandosi precise scadenze tem­porali: per esempio porsi l’obiettivo di mettere tutte le ricette mediche digitali in rete entro il dicembre del 2012. La stessa cosa si potrebbe fare, in ambito scolastico, rendendo obbligatorie le transazioni con la scuola. Evidentemen­te è necessario aiutare i soggetti come gli anziani che non sanno usare la re­te ». Dirigismo tecnologico, protesterà qualcuno. E la televisione potrebbe gio­care un ruolo? «Altroché – dice Pileri – un ruolo decisivo». Se si vuole che cresca l’uso di Internet, o si moltiplica miracolosamente il numero dei pc in circolazione o si fa qualcos’altro. Ma che cosa? «I più recenti tv color sono predispo­sti per Internet. Altri potranno avere un decoder che permette la connessione. Con il passaggio al digitale terrestre ab­biamo l’opportunità straordinaria di rinnovare il ’parco televisori’ facendo compiere alle famiglie il balzo verso In­ternet. Un Internet comodo, semplice, integrato nei palinsesti televisivi, da usare con lo strumento più amato dagli italiani (la tivù) e offrendo servizi vera­mente utili». Per gli operatori televisivi, da Rai a Mediaset a Sky, si aprono spazi interes­santi. La gara probabilmente sarà quel­la di dare un’offerta tradizionale, linea­re, accompagnata dalle nuove forme in­terattive a pagamento che la tecnologia consente. Una prospettiva che soprat­tutto Mediaset ha più volte dimostrato di voler seguire. Al convegno di Between a Capri infi­ne il presidente della Cassa Depositi e Prestiti Franco Bassanini ha lanciato la proposta di una nuova società con inve­stitori a lungo termine che realizzi una rete di nuova generazione in fibra otti­ca. «Confindustria è d’accordo innanzi­tutto sulla necessità di procedere con un grande progetto nazionale. Ci va be­ne un’iniziativa comune pubblico-pri­vata sull’infrastruttura di base. Quando però si passa a discutere della topolo­gia della rete in fibra ottica, tra i nostri rappresentati – Telecom da una parte e i concorrenti dall’altra – c’è ancora una netta differenza di posizioni e di in­teressi. Per questo motivo è più concre­to limitarsi alla creazione delle canaliz­zazioni ».