Edoardo Segantini, Corriere della sera 11/11/2009, 11 novembre 2009
L’Italia che aspetta la banda larga (DUE ARTICOLI)- Da tema per i tecno-specialisti la banda larga è diventata argomento di dibattito politico
L’Italia che aspetta la banda larga (DUE ARTICOLI)- Da tema per i tecno-specialisti la banda larga è diventata argomento di dibattito politico. Il risultato che decine di convegni avevano rincorso invano è stato ottenuto da una semplice, netta dichiarazione del vicepresidente del Consiglio Gianni Letta il cui senso era: «Gli ottocento milioni previsti dal piano del viceministro Paolo Romani non ci sono più, la crisi ci spinge a riconsiderare le priorità». Ne è seguito un piccolo finimondo mediatico. La reazione del ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola e tutta la discussione che ne è seguita sono soltanto l’inizio. Il risultato ottenuto è stato paradossalmente quello di portare all’attenzione di tutti il rischio che l’Italia resti arretrata in un’infrastruttura fondamentale per la competitività del Paese, un tonico anti-crisi formidabile anche se meno visibile delle strade e dei ponti: quello che ci consente di navigare velocemente in Internet, con benefici per la nostra vita privata e professionale. Solo due numeri per ricordare di che cosa stiamo parlando. Il 12 per cento degli italiani oggi non ha neppure i 2 megabit al secondo che il rapporto di Francesco Caio considerava la soglia minima per un Paese moderno. Ma se prendiamo a riferimento i 20 megabit che assicurano l’Internet veloce, secondo i dati dell’Osservatorio Banda Larga di Between la percentuale si innalza al 39 per cento. Una delle più alte d’Europa. Il piano Romani – quello appunto in discussione per la mancanza di 800 sui circa 1.400 milioni di stanziamento previsti – si riprometteva di colmare questo divario digitale regalando (si fa per dire) 20 mega a tutti gli italiani entro l’anno fatidico 2012. Sia a chi abita in città sia a chi vive in collina o in montagna e oggi è tecnologicamente svantaggiato. In Italia infatti come sempre le medie contano poco; e anche nel digital divide il Paese si presenta disegnato a macchia di leopardo. Accanto a regioni hi-tech abbiamo zone scollegate: e non è necessariamente il Mezzogiorno il territorio meno fortunato. Se guardate la mappa del digital divide notate per esempio che tra le regioni più avanzate, oltre alla Lombardia, alla Liguria e al Lazio, compaiono anche la Campania e la Puglia. Che furono, a metà degli anni Novanta, fra le terre promesse da cui partì il piano Socrate dell’allora Stet (poi diventata Telecom) che avrebbe dovuto cablare l’Italia intera in un tripudio di lungimiranza e modernità. Così come salta all’occhio il fatto che nell’elenco delle regioni a più alto digital divide figurano sì la Calabria, la Basilicata, l’Abruzzo e il Molise, ma anche il Friuli-Venezia Giulia, le Marche, il Trentino-Alto Adige e la Val d’Aosta: tutte regioni baciate dalla bellezza del paesaggio montano ma problematiche dal punto di vista infrastrutturale. Più o meno nella media sono invece le altre regioni: il Piemonte industriale, il Veneto e l’Emilia Romagna, cioè le aree forti dove risiede la media impresa più competitiva, la Toscana, l’Umbria, la Sicilia e la Sardegna. In certi casi differenze vistose sono visibili all’interno della stessa regione, anche una evoluta come la Lombardia. E non sempre è colpa dei monti. A pochi chilometri da Milano, una delle città più cablate del mondo con la rete ottica di Fastweb, si trovano zone in forte digital divide come le ricche e pianeggianti Mantova e Cremona. Uno dei motivi che rendono tanto variegato il panorama italiano è proprio la diversa capacità d’iniziativa dei governi regionali. «Piemonte, Val d’Aosta e Sardegna, per esempio hanno fatto molto per portare l’Adsl nei piccoli comuni e colmare il digital divide di prima generazione (sotto i 2 mega), e altre ci stanno lavorando – dice Marco Mena di Between ”. Mentre l’unica al momento dotata di un piano per portare i 20 mega è la Regione Marche, pressata dai piccoli e medi imprenditori che dalla mancanza di Internet hanno tutto da perdere». Come si sa le Marche hanno circa lo stesso numero di distretti industriali della Lombardia pur con un sesto degli abitanti. Fin qui le infrastrutture di rete, autostrade invisibili di Internet. Ma differenze ancora più forti tra Italia e Italia spiccano nei servizi forniti dalla pubblica amministrazione ai cittadini. Nella sanità per esempio le distanze tra Nord e Sud sono siderali. Ma anche restando al Nord, secondo l’Osservatorio Piattaforme di Between, mentre il Piemonte ha ottenuto buoni risultati nell’informatizzazione delle singole strutture, Lombardia ed Emilia-Romagna hanno creato sistemi integrati i cui benefici sono maggiormente percepiti dai cittadini. La carta regionale dei servizi lombardi, per citare il caso più famoso, è considerata una delle esperienze più avanzate d’Europa. Passando ai trasporti, che dipendono direttamente dalla bravura dei Comuni, ci sono dodici città (sempre secondo Between) che danno sul cellulare le informazioni e i servizi sui mezzi pubblici: sono Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Mantova, Milano, Modena, Parma, Pesaro, Roma, Torino e Trieste. Anche qui forti contrasti: mentre Torino è considerata all’avanguardia, il 40 per cento dei comuni capoluoghi italiani non offre alcun servizio di info-mobilità, senza distinzioni tra Nord, Centro e Sud. Tra questi ultimi infatti troviamo Agrigento, Alessandria, Arezzo, Gorizia, Savona, Sondrio e Rimini. Interessante infine l’esempio del turismo, che è la prima voce dell’e- commerce italiano secondo l’Osservatorio Netcomm del Politecnico di Milano. Le tradizionali città d’arte, da Venezia a Firenze, si mettono largamente in mostra con i propri alberghi sui portali specializzati più importanti come Expedia, Bookingonline e Venere. Mentre Milano e Torino sono online solo a metà. E la stessa Roma, città turistica per eccellenza, presenta sul web soltanto due terzi dei suoi circa mille hotel. Ma, al di là dei numeri, che pure sono importanti, anche nel turismo online ciò che conta è la qualità e il buon uso del mezzo. Molte, troppe strutture offrono «dépliant digitali » rigidi che danno informazioni scarse, poche immagini e non sono divertenti da visitare. Un grave difetto in un’epoca di crisi economica in cui i turisti potenziali, prima di organizzarsi il viaggio, confrontano meticolosamente le offerte online già mesi prima di partire. E dunque compiono una visita virtuale che corrisponde al primo, vero test. «Il danno più grave? Per le imprese»- Stefano Pileri ( nella foto ), capo della rete e della tecnologia di Telecom Italia, sta per lasciare l’azienda dove lavora da 28 anni. Il manager romano comunque resterà presidente dello Csit, l’organismo confindustriale che si occupa dei servizi innovativi e tecnologici. In viale dell’Astronomia non si sono mai occupati tanto di hi-tech. « vero e per due motivi – dice Pileri ”: innanzitutto è ormai sicuro che gli investimenti in banda larga hanno un effetto positivo sul Pil; in secondo luogo il maggior danno dal digital divide lo subiscono proprio le imprese». Internet è usato dal 66% di loro. «Le piccole – dice Pileri – non trovano utile il web, le medie invece lo trovano utilissimo ma a volte operano in zone dove l’ampiezza della banda non è presente o sufficiente. da queste ultime che viene lo stimolo più forte verso la Confindustria a darsi da fare». Qualcosa di simile capita anche alle famiglie, che però non hanno una Confindustria a rappresentarle: solo il 45% utilizza l’Adsl e solo il 62% possiede un personal computer. Anche qui: la maggior parte considera Internet uno strumento pressoché inutile. E ripropone l’antico dilemma se si debbano realizzare prima le autostrade o le automobili. La ricetta di Pileri è radicale: «Bisogna rendere progressivamente obbligatoria l’erogazione di alcuni servizi via Internet, dandosi precise scadenze temporali: per esempio porsi l’obiettivo di mettere tutte le ricette mediche digitali in rete entro il dicembre del 2012. La stessa cosa si potrebbe fare, in ambito scolastico, rendendo obbligatorie le transazioni con la scuola. Evidentemente è necessario aiutare i soggetti come gli anziani che non sanno usare la rete ». Dirigismo tecnologico, protesterà qualcuno. E la televisione potrebbe giocare un ruolo? «Altroché – dice Pileri – un ruolo decisivo». Se si vuole che cresca l’uso di Internet, o si moltiplica miracolosamente il numero dei pc in circolazione o si fa qualcos’altro. Ma che cosa? «I più recenti tv color sono predisposti per Internet. Altri potranno avere un decoder che permette la connessione. Con il passaggio al digitale terrestre abbiamo l’opportunità straordinaria di rinnovare il ’parco televisori’ facendo compiere alle famiglie il balzo verso Internet. Un Internet comodo, semplice, integrato nei palinsesti televisivi, da usare con lo strumento più amato dagli italiani (la tivù) e offrendo servizi veramente utili». Per gli operatori televisivi, da Rai a Mediaset a Sky, si aprono spazi interessanti. La gara probabilmente sarà quella di dare un’offerta tradizionale, lineare, accompagnata dalle nuove forme interattive a pagamento che la tecnologia consente. Una prospettiva che soprattutto Mediaset ha più volte dimostrato di voler seguire. Al convegno di Between a Capri infine il presidente della Cassa Depositi e Prestiti Franco Bassanini ha lanciato la proposta di una nuova società con investitori a lungo termine che realizzi una rete di nuova generazione in fibra ottica. «Confindustria è d’accordo innanzitutto sulla necessità di procedere con un grande progetto nazionale. Ci va bene un’iniziativa comune pubblico-privata sull’infrastruttura di base. Quando però si passa a discutere della topologia della rete in fibra ottica, tra i nostri rappresentati – Telecom da una parte e i concorrenti dall’altra – c’è ancora una netta differenza di posizioni e di interessi. Per questo motivo è più concreto limitarsi alla creazione delle canalizzazioni ».