varie, 11 novembre 2009
SCHEDONE - DISSESTO IDROGEOLOGICO - L’ITALIA DEI DISASTRI
Antonio Maria Mira, Avvenire 11/11/2009
La mappa dell’Italia fragile -
Dall’Imperiese al versante orientale dell’Etna, dalla Sardegna sudoccidentale alle ’lame’ pugliesi. l’Italia ’fragile’, tra alluvioni, frane e dissesti idrogeologici. Tutto ben noto agli uomini delle Protezione civile. E infatti anche per Ischia non si è trattato di una sorpresa. «Tutto era stato allertato – spiega il vicecapo del Dipartimento Bernardo De Bernardinis ”. Ma la Protezione civile arriva solo dove può arrivare. Il resto compete ad altri, in primo luogo la prevenzione». Insomma da via Ulpiano, sede degli uomini di Guido Bertolaso, sono sempre pronti a scattare, ma non si possono chiedere azioni che spettano ad altri. «La nostra attenzione è su tutto il Paese – dice ancora De Bernardinis ”, conosciamo bene, grazie anche ai Pai (i piani regionali, ndr ) quali sono le aree soggette a frane e alluvioni. E quali i tempi di ritorno di fenomeni meteorologici intensi. Il problema è l’urbanistica, e parlo di quella legale, tralascio quella abusiva». Quando prima degli anni ”80 la densità abitativa non era così forte i fenomeni meteorologici non avevano le gravi conseguenze di oggi. «Ora – sottolinea con forza il vice di Bertolaso – tutto si manifesta in maniera eclatante. Un tempo venivano come ’graziati’, oggi non più».
E così gli occhi devono essere sempre puntati sulle aree a rischio. Che non sempre lo sono da un punto di vista idrogeologico, basti pensare che l’area franata ieri era classificata solo R2 (il massimo è R4). Infatti proprio per ieri si temeva che la perturbazione potesse «picchiare duro», sempre in Campania, sulla penisola Sorrentina o sulla costiera Amalfitana, zone queste sì ad altissimo rischio, soprattutto per come si è costruito in aree delicatissime da un punto di vista geologico. Mentre sempre nella stessa regione è ad altrettanto rischio il territorio alla foce del fiume Volturno, ma lì il motivo è la gigantesca piaga dell’abusivismo. Restando al Sud l’occhio degli esperti è costantemente attento alla Calabria, dalla fiumare reggine a quelle del Vibonese, dalle colline cosentine e lametine, ai versanti tra Pizzo Calabro e Reggio Calabria, fino alla costa jonica. E anche qui, sottolinea De Bernardinis, le situazioni più a rischio «sono le zone di contatto tra aree antropiche e produttive, versanti, e corsi d’acqua torrentizi».
Ma non mancano aree di allerta al Nord e al Centro. Il Prordenonese (il fiume Livenza), la Liguria (soprattutto Imperia), Versilia e Lucchesia in Toscana. «Ma almeno qui – commenta De Bernardinis – c’è una grande attenzione».
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PAOLO CONTI, Corriere della Sera 11/11/2009
Le Cinque Terre e una diga tra i 500 mila luoghi a rischio -
Lo studio dei geologi -
Il professor Nicola Casagli, del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze, ha realizzato per conto del Dipartimento della Protezione Civile, col ricercatore del suo gruppo Riccardo Fanti, uno studio sul dissesto idrogeologico in Italia. Una mappatura dettagliata che non indica responsabilità politiche ma fotografa un tipo di rischio, afferma Casagli, che «assume una valenza unica in ambito europeo e mediterraneo, subordinata solo al Giappone nel contesto dei Paesi tecnologicamente avanzati». Perché Ischia fa da sfondo a tante catastrofi, professore? «Gran parte delle linee superficiali di drenaggio delle acque sono diventate strade. Se piove poco, l’acqua defluisce. Se piove tanto, le strade riescono solo a trasportare fango. In più siamo (come gran parte della Campania) in una zona di depositi piroclastici, ovvero il prodotto delle eruzioni vulcaniche, che tende a creare frane».
Sul territorio nazionale (dati della Protezione Civile) sono registrate 500 mila frane. Oltre 10 mila sono considerate a rischio idrogeologico «estremamente alto per l’incolumità di beni e persone». Negli ultimi cinquant’anni in Italia le frane hanno ucciso 2.500 persone e provocato decine di migliaia di senzatetto. Mentre Puglia e Sardegna sono regioni quasi prive di frane, la Lombardia da sola ne totalizza 90 mila, ma in compenso è dotata della più accurata mappatura regionale. L’Emilia Romagna è invece la regione con la più alta densità di frane. L’Italia è, insomma, «strutturalmente» a rischio ma il problema è la pessima «antropizzazione», l’intervento umano: strade, sbancamenti del territorio, edilizia più o meno regolare. Ancora Casagli: «Si è costruito su aree a rischio. Se ci fosse stata una pianificazione urbanistica in armonia con i fattori geologici di instabilità, i danni quasi non ci sarebbero. Invece si edifica dove c’è pericolo non solo di frane ma anche di eruzioni o alluvioni. Qui lo scienziato non può dire nulla, la parola passa alla politica».
La diffusione delle frane sul territorio italiano è capillare e ciò rende difficile individuare le aree a maggior rischio, sulle quali concentrare le attività di prevenzione. Si può solo procedere per «landslide hotspots», zone a maggior concentrazione di fenomeni franosi.
La Penisola racconta mille storie. Le frane nelle Langhe in Piemonte, lungo piani di scivolamento formati da rocce sedimentarie di origine marina. Certi depositi di detriti, mischiati alle acque, possono produrre torrenti di fango capaci di raggiungere i 100 chilometri di velocità. Ecco la Lombardia, con 90 mila frane mappate: la più grande è la Ruinon che continua a muoversi con i suoi 35 milioni di metri cubi. In Trentino le frane nelle vicinanze di Merano, la Val Passiria. In Veneto, a rischio, ci sono la Val Fiscalina, le Dolomiti Bellunesi e l’area di Cortina. In Friuli sono 40 i milioni di metri cubi della frana del Passo della Morte. In Liguria le montagne sono erose dalle correnti di aria calda e umida e dalle precipitazioni intense e concentrate, il fenomeno di frane con fango e detriti è frequentissimo. Nelle Cinque Terre tutti i sentieri di campagna sono a rischio frane. La frazione di Castagnola è di fatto un piccolo paese che cede e si muove su una sola frana.
In Emilia Romagna la frana di Corniglio «pesa» 150 milioni di metri cubi. In Toscana è ancora a rischio l’area di Cardoso, in Versilia (tredici anni fa una «bomba d’acqua» rovesciò due milioni di metri cubi di detriti uccidendo 13 persone). In Umbria è storica la grande frana di Orvieto, così come nelle Marche la frana di Ancona. Nel Lazio l’area del Viterbese (Civita di Bagnoregio, per esempio). In Abruzzo la zona appenninica è caratterizzata da frane velocissime e pericolose per le forti pendenze. In Campania c’è il problema dei materiali provocati dalle eruzioni passate, nell’area vesuviana e a Ischia: l’edificazione è selvaggia. Sulla costiera amalfitana sono frequenti le colate di fango.
In Basilicata molti paesi sono costruiti sul dorso delle frane, per esempio Craco. In Calabria è impressionante il numero di centri edificati su frane argillose, per esempio Cavallerizzo di Cerzeto, altro paese che «si muove». In Sicilia è a rischio frana il quartiere di Sant’Anna a Caltanissetta, la stessa cattedrale di Agrigento sorge su terreno franoso. Fenomeni simili esistono a Enna.
Infine la quieta Sardegna: l’unico pericolo è la frana sulla diga del Flumendosa. Ma rispetto ad altre frane che gravano su altre dighe (quella toscana di Vagli, in Garfagnana) rappresenta quasi una preoccupazione di routine.
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Antonio Maria Mira, Avvenire 11/11/2009
Scaletta Zanclea, strada nel letto del fiume -
Neanche l’alluvione, neanche il disastro, neanche i morti fermano gli abusi edilizi a Messina. E proprio là dove le frane hanno fatto più morti. Proprio a Scaletta Zanclea. Proprio dentro all’alveo di un torrente. Come se nulla fosse successo poco più di un mese fa. Ad accorgersene sono stati i carabinieri che, dopo il nubifragio dell’1 ottobre, hanno iniziato a verificare a tappeto l’esistenza di opere abusive. Non un piccolo abuso, quello scoperto alcuni giorni fa, ma addirittura un’intera strada lunga 400 metri e larga 10 costruita all’interno dell’alveo del torrente ’Carne salata’.
Costruita impunemente per collegare la provinciale ad un’abitazione. Un opera che, fatto gravissimo, aveva completamente ostruito il torrente, un vero e proprio ’tappo’, che bloccava il naturale scorrere dell’acqua. così scattato, su disposizione del sostituto procuratore messinese Maria Pellegrino, il sequestro dell’intera area di 4000 metri quadrati. Mentre sono stati denunciati sia il proprietario dell’abitazione e che il titolare dell’impresa che ha eseguito i lavori, per violazioni delle leggi ambientali e urbanistiche. Ora, prima di un nuovo nubifragio, la strada andrà demolita e ridato al torrente il suo alveo. Non un caso isolato. La scorsa estate a Vibo Valentia, in Calabria, la magistratura ha sequestrato decine di abitazioni costruite, illegalmente, proprio nelle aree dove nel 2006 un’altra gravissima alluvione aveva provocato quattro morti, tra i quali un bambino di 15 mesi. (A.M.M.)
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Valeria Chianese, Avvenire 11/11/2009
La Campania, territorio in grave pericolo -
Il dissesto riguarda il 16,5 per cento della regione Si tratta di un’area ”giovane” soggetta a intensi processi sul paesaggio -
Secondo i geologi la Campania incarna l’emergenza geo-ambientale. L’agro nocerino-sarnese, l’avellinese, il puteolano, Ischia, la stessa Napoli sono realtà geologiche diverse e perciò spie di una fragilità strutturale su cui occorre vegliare e tutelare molto più di quanto oggi si faccia, nonostante leggi e progetti. La Campania è anzitutto un territorio altamente sismico, interessato da frane, smottamenti, cavità, inquinamento dei corsi fluviali - con grave pericolo per le stesse falde idriche - cementificazione delle coste e delle zone a vocazione agricola e turistica, il tutto coronato dai problemi connessi all’area vesuviana e flegrea. Nella regione le aree esposte sono numerose e il rischio geologico-idraulico (con questo termine si fa riferimento al rischio derivante dal verificarsi di eventi meteorici estremi che inducono a tipologie di dissesto tra loro strettamente interconnesse, quali frane ed esondazioni) costituisce un problema di grande rilevanza sociale, sia per il numero di vittime sia per i danni prodotti alle abitazioni, alle industrie e alle infrastrutture, e che è ancora più preoccupante nella visione di scenari futuri connessi al cambiamento climatico. In particolare, il dissesto idrogeologico è un fenomeno che riguarda il 16,5 per cento del territorio regionale per le aree a rischio elevato e molto elevato. Il che, tradotto in cifre, significa 23.430 frane, ossia terra in movimento per mille chilometri quadrati. Un dato al quale va aggiunto quello relativo al rischio di inondazione ed erosione costiera.
La Campania, spiegano ancora gli esperti, è un territorio geologicamente ”giovane” e pertanto soggetto a intensi processi che ne modellano in modo sostanziale il paesaggio. I frequenti fenomeni di dissesto idrogeologico sono una diretta conseguenza dell’estrema eterogeneità degli assetti geologico- strutturali, geomorfologici, idrogeologici e geologicotecnici e di un’ampia gamma di condizioni microclimatiche differenti anche in aree limitrofe o apparentemente simili. Una naturale predisposizione al cedimento che si manifesta con combinazioni e modalità di vario genere: frane ( crolli, ribaltamenti, scorrimenti, espansioni laterali, colamenti, debris e mud flow, movimenti complessi), cadute di materiale a carattere torrentizio, trasporto di massa lungo le falde nelle zone montane e collinari, esondazioni e sprofondamenti nelle zone collinari e di pianura.
Il rischio idrogeologico in Campania, tuttavia, è stato fortemente condizionato dalla condotta dell’uomo e dalle continue modifiche del territorio che hanno da un lato incrementato la possibilità di fenomeni estremi e dall’altro aumentato la presenza di beni e di persone nelle zone dove tali eventi erano possibili e si sono poi manifestati, a volte con effetti catastrofici. Molte sono le azioni dell’uomo che hanno aggravato l’instabilità del già fragile territorio campano: l’abbandono dei terreni montani, il continuo disboscamento, gli incendi boschivi, le numerose piste montane, l’uso di tecniche agricole invasive e poco rispettose dell’ambiente, l’estrazione incontrollata di fluidi dal sottosuolo, l’apertura di cave di prestito, la trasformazione degli alvei in strade sono tra le principali cause del dissesto. Senza dimenticare le gravi ferite apportate al territorio con l’abusivismo edilizio, l’eccessiva espansione urbanistica con impermeabilizzazione dei suoli, l’occupazione di zone di pertinenza fluviale, il prelievo abusivo di inerti dagli alvei fluviali, le discariche abusive di rifiuti, la mancata manutenzione dei versanti e dei corsi d’acqua.
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Valeria Chianese, Avvenire 11/11/2009
Tre anni fa distrutta una famiglia -
Primo maggio 2006, poco dopo le sei del mattino si apre il primo squarcio sul fianco del monte Vezzi, nel comune di Ischia porto, in breve i fronti di frana diventano tre e il fango travolge tutto. Nella casa della famiglia Buono restano quattro corpi senza vita: il padre Luigi e le tre figlie Anna, Maria, Giulia, 18, 17, 12 anni. Si salvano la moglie Orsola Migliaccio e la nipotina Stella di 3 anni e i vicini fuggiti in tempo. una zona classificata ad alto rischio come buona parte dell’isola eppure c’erano 200 case.
L’inchiesta del pm Soviero comincia con l’acquisizione degli atti sui condoni edilizi, tra cui quello della casa dei Buono, e finisce con l’archiviazione per le responsabilità degli amministratori locali. Il quadro però resta sconcertante: solo ad Ischia Porto sono 4200 le richieste di condono, quasi diecimila sull’isola. A Casamicciola secondo l’agenzia regionale del demanio sono 160 i fabbricati non accatastati. Seicento gli abbattimenti programmati sull’isola, ma uno iniziato sei mesi fa a Barano d’Ischia, in esecuzione di una sentenza passata in giudicato, è stato sospeso dal giudice civile.
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Alessandra Turrisi, Avvenire 11/11/2009
LE ULTIME FRANE -
MESSINA
Lo scandalo degli allarmi inascoltati ha causato 31 morti. Ancora 6 i dispersi -
Un fiume di fango e detriti ha travolto paesi, abbattuto case, inghiottito uomini e cose, sradicato tratti di ferrovia. ancora fresco l’orrore per la frana che lo scorso primo ottobre a devastato i dintorni di Messina, spazzando via le frazioni di Giampilieri, Briga, Molino, Altolia e Itala e il piccolo comune di Scaletta Zanclea. Un bilancio apocalittico di 31 vittime, migliaia di senzacasa e sei dispersi, per i quali non si fermano le ricerche. Adesso i corpi si cercano nel mare, da cui vengono ripescate le auto sepolte da due metri di terra.
Una strage che ha commosso l’Italia e ha innescato una gara di solidarietà lungo tutto lo Stivale. Una strage che, però, si poteva evitare. I principali indiziati, infatti, sono il dissesto idrogeologico e l’abusivismo edilizio, che poi sono due facce della stessa medaglia, al collo della maggior parte dei comuni siciliani. E mentre i magistrati indagano per individuare eventuali responsabilità, la gente si dispera e punta il dito su quella montagna sbriciolata che già due anni fa aveva dato le prime avvisaglie. Nel 2007 l’abbondanza di piogge aveva provocato i primi smottamenti, ma, malgrado l’allarme, non è stata presa nessuna precauzione. E puntualmente la tragedia è arrivata. Gli esperti accusano la mancanza di prevenzione e di investimenti. Dopo aver seppellito i morti, l’impegno adesso è quello di restituire una casa a chi non ha più nulla.
AGRIGENTO
Nella valle dei templi aree ad alto rischio Il mese scorso paura a Porto Empedocle -
Un boato di notte ha gettato il panico tra i residenti, senza per fortuna provocare alcuna vittima. Il costone di contrada Vincenzella, a Porto Empedocle, è franato nella notte del 14 ottobre, inondando le sottostanti vie Lincoln e Boccaccio sommergendo di fango sette auto e una decina di ciclomotori posteggiati fra il piazzale del complesso residenziale e alcuni garage. Il crollo ha sventrato, dopo aver squarciato un cordolo di cemento armato, anche quattro magazzini posti nella parte sinistra di un complesso residenziale. Una decina di famiglie sono state sgomberate, in via precauzionale, dai vigili del fuoco di Agrigento. Sul posto sono intervenuti anche i poliziotti e i tecnici della protezione civile. Le ruspe hanno messo in sicurezza il costone che si è sbriciolato.
La frana, dovuta a una notte di pioggia ininterrotta, è stata limitata dalla presenza di una rete metallica che circondava il costone. Le conseguenze sarebbero potute essere peggiori per le centinaia di abitanti che vivono negli edifici circostanti.
Nella zona si sono registrati negli anni vari eventi franosi, a cominciare dalla prima metà del secolo scorso, quando le industrie per la lavorazione dello zolfo furono fortemente danneggiate dalle frane. Una situazione di instabilità idrogeologica comune a varie aree dell’Agrigentino.
SANREMO
Cedimento sopra l’Aurelia Solo per caso senza conseguenze -
L’ultimo episodio in Liguria è la frana caduta nella mattinata di domenica sulla strada di Verezzo che ha comportato la chiusura dell’arteria che collega la piccola frazione situata alle spalle di Sanremo con la Statale Aurelia. Solo per un caso fortunato in quel momento nessuno si è trovata a passare sulla strada, Un nuovo allarme per un territorio già pesantemente dissestato dal punto di vista idrogeologico. Proprio ieri la la giunta regionale ha approvato il piano triennale del riparto economico fra le quattro province liguri per le strade ex statali passate di competenza alle amministrazioni provinciali. Il piano triennale assegna nel riparto 9 milioni, in quanto 1 milione di euro era già stato anticipato dalla Regione Liguria alla Provincia di Savona per i lavori di messa in sicurezza dopo la frana del marzo scorso a Capo Noli.
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STELLA CERVASIO, la Repubblica 11/11/2009
Decenni di abusi e ventimila condoni l´assalto all´isola dai piedi d´argilla -
Il sindaco: stavolta l´edilizia illegale non c´entra, è colpa delle piogge eccezionali -
L´orrore è venuto dal bosco. Con quel nome turistico che le hanno dato, "isola verde", Ischia ne possiede un´alta concentrazione proprio alle spalle di uno dei suoi posti più panoramici, l´unica piazza termale d´Italia. Sotto il manto d´asfalto di piazza Bagni corrono le acque bollenti e curative del Gurgitiello (che vuol dire gorgoglio) che servirono a Garibaldi per curare le ferite riportate in battaglia sull´Aspromonte.
Da quel fondale verde cupo di castagni e pini, alle otto di ieri mattina è venuta giù a pezzi la montagna. Tonnellate di acqua con un carico di massi di tufo, alberi, panchine e masserizie raccolte sul percorso hanno invaso velocissime due stradine, via Ombrasco e via Nizzola, dove stanno appollaiati alberghi e pensioni. Da queste parti le chiamano "cupe": sono le vie naturali dell´acqua quanto piove, e proprio come una pista da sci, guai se non sono sempre libere. Un´enorme lava di fango è scesa di qua a cento all´ora, proprio come accadde tre anni fa dall´altra parte dell´isola, nel comune di Ischia. Su un´altra altura, il monte Vezzi, morirono quattro persone, e gli sfollati sono ancora nei container. Erano case abusive, quella volta: a Ischia sono previsti 500 abbattimenti e ventimila pratiche di condono sono sospese nei cassetti dei sei comuni dell´isola. Poco dopo quell´altra frana, il vescovo di Ischia lanciò un anatema contro chi voleva picconare l´edilizia illegale.
L´orrore non è nuovo su questa piazza. Poche ore dopo la tragedia, su Facebook, insieme a un´immagine dei detriti depositati sulla riva del mare sotto l´arcobaleno, girava una foto del 1910, con i palazzi di piazza Bagni mezzo sommersi dal fango di un´altra alluvione. Ogni calamità sembra accanirsi sulle pendici del monte Epomeo: terremoti come quello del 1881 (oltre cento i morti), e del 1883, in cui Benedetto Croce fu ferito e perse il padre, la madre e una sorella. «Chi ha la montagna sopra la testa, lo sa», dice l´ex sindaco Luigi Mennella, che sulla bella piazza ha un antico negozio di ceramiche. Ha dovuto lasciare la sua macchina e scappare, prima che il fiume lo travolgesse. «Il problema endemico resta l´abusivismo: diversi valloni, canali che facevano defluire l´acqua, sono stati ostruiti negli anni da abitazioni costruite senza permesso».
Non condivide l´attuale sindaco, il pediatra Vincenzo D´Ambrosio: stava portando i figli a scuola quando è arrivata la colata di fango e pietre. « un fenomeno naturale eccezionale, si ripete il terribile evento che ha colpito la stessa zona nel 1910. In quella occasione ci furono decine di vittime. Le case non sono state per niente interessate da questo dilavamento. La frana ha avuto origine molto in alto, dove non c´era stato né disboscamento né abusivismo. Solo gole naturali dove l´acqua è esondata. capitato a noi, purtroppo abbiamo perso una concittadina, domani sarà lutto. Spero che si possa finanziare uno studio per ridurre il rischio che da noi è sempre così alto».
Legambiente, però, se non l´aveva previsto, ci era andata vicino. «Appena dieci giorni fa nel corso della presentazione del rapporto "Ecosistema Rischio Campania" - spiega il responsabile scientifico di Legambiente Campania Giancarlo Chiavazzo - abbiamo fatto appello al buon senso e alla coscienza dei sindaci affinché colmassero i ritardi nella messa a regime dei sistemi di protezione civile locale. Una tragedia annunciata, quindi, e così purtroppo ce ne potranno essere ancora, fino a quando i sindaci dei 474 comuni a rischio idrogeologico della regione (una superficie di 2250 chilometri quadrati) non si attiveranno con piani d´emergenza». Gli ambientalisti invocano strutture locali di protezione civile collegate con quella regionale. Un sistema di allarme capillare capace di far scattare l´emergenza nei comuni indicati nei Piani di assetto idrogeologico redatti dalle Autorità di Bacino. Tradotto, significa che quando piove molto, si va via. Ma il futuro qual è, per posti come questi? «Delocalizzazione dev´essere la parola d´ordine, come per Sarno - dice Chiavazzo - metterli in sicurezza non è possibile».
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GIOVANNI VALENTINI, la Repubblica 11/11/2009
Il dissesto infinito del Sud -
Un´altra storia di ordinario degrado ambientale, di incuria, di abbandono del territorio. E naturalmente, di abusivismo edilizio, di illegalità. Come a Messina, poco più di un mese fa.
Come nella stessa Ischia ad aprile del 2006; come già in tante altre regioni della Penisola, ma in particolare al Sud, nel nostro povero Sud. Sotto la pioggia battente di questi giorni, anche le dichiarazioni e i buoni propositi espressi all´indomani dell´ultimo disastro sono franati nel mare davanti a Casamicciola, provocando morte e rovina. La frana di Ischia è un nuovo segnale e un nuovo avvertimento contro il mancato o cattivo governo del territorio. Contro la mala-politica, a livello nazionale e locale. Contro un´amministrazione pubblica che privilegia gli interessi privati, spesso e volentieri illeciti, rispetto a quelli della collettività, in base a una gerarchia di priorità che segue i criteri di un malinteso sviluppo, del clientelismo o addirittura della corruzione.
Al tempo delle scorribande e delle invasioni, dei corsari e dei pirati, il pericolo per le popolazioni costiere arrivava dal mare. Oggi, al contrario, viene dall´interno, da un dissesto del territorio che improvvisamente trascina in acqua esseri umani, abitazioni, masserizie, automobili. La normalità della vita quotidiana è stravolta così dalla furia degli elementi, con la complicità attiva dell´ignoranza e dell´irresponsabilità. Continuiamo a subire alluvioni e frane, mentre continuiamo a vagheggiare il Ponte sullo Stretto in una sorta di dissociazione onirica e megalomane. Eppure, dopo il disastro di inizio ottobre, era stato il presidente della Repubblica a censurare pubblicamente la retorica delle «opere faraoniche» d´infausta memoria.
La verità nuda e cruda delle cifre è che in diciotto mesi – come denuncia il neo-presidente dei Verdi, Angelo Bonelli – sono stati tagliati oltre cinquecento milioni di euro destinati alla difesa del suolo. Ridotti i fondi iniziali a 270 milioni, il centrodestra ha soppresso poi quelli per il monitoraggio sismico (4,5 milioni); i finanziamenti di 151 milioni per il territorio della Sicilia e della Calabria; i 45 milioni per il ripristino del paesaggio; i 15 milioni per i piccoli Comuni. Un «risparmio» sulla prevenzione che si traduce in un danno immediato per la popolazione, per il territorio e per l´ambiente, ma anche per il turismo.
Altro che fatalità o calamità naturale. Questo è il risultato di una politica ottusa e miope. Ma è soprattutto la demolizione di un´immagine e di un´attrattiva su cui poggia la maggiore industria nazionale, regredita non a caso dal primo al quarto posto nella graduatoria mondiale. «Chist´è ò paese d´ ”o sole, chist´è ò paese d´ ”o mare», assicura la celebre canzone napoletana. Nella realtà, questo rischia di diventare invece il Paese dei terremoti, delle frane e delle alluvioni. Un Malpaese infido e insicuro, sempre più distante dalla sua storia civile, dalla sua tradizione artistica e culturale.
Nonostante la prova di efficienza organizzativa in Abruzzo, di cui pure bisogna dare atto al governo, le foto delle tendopoli tuttora in piedi all´Aquila, i recenti filmati di Messina e di Ischia, sono destinati purtroppo a fare il giro del mondo. E come i rifiuti nelle strade di Napoli all´epoca del centrosinistra, non alimentano certamente una campagna promozionale. In mancanza di materie prime da sfruttare, sono proprio il territorio, l´ambiente, il paesaggio, le nostre principali risorse da difendere e valorizzare.
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ANTONIO SALVATI, la Stampa 11/11/2009
Parla Vincenzo Galgano, procuratore generale: «Gli amministratori sono complici del degrado» -
Il procuratore generale di Napoli Vincenzo Galgano è uno dei firmatari dei protocolli operativi che hanno come obiettivo l’abbattimento entro l’anno di oltre 15 mila abitazioni abusive.
Ha visto cosa è successo a Casamicciola? Pensa che ci siano collegamenti tra l’abusivismo edilizio e la frana?
«Non so in questo momento se possono esserci dei collegamenti. Certo va detto che una casa abusiva rappresenta, oltre che una violazione della legge edilizia, soprattutto un grave pericolo per chi ci abita. Non a caso spesso questi manufatti vengono realizzati proprio in zone ad alto rischio sismico e idrogeologico».
Eppure prima dell’estate i sindaci dell’isola insorsero contro il piano di abbattimenti delle case abusive di Ischia. Il vescovo parlò di «legalismo esasperato e di giustizialismo».
«Se avessi avuto un colloquio con il vescovo Strofaldi sarei stato costretto ad insistere sulle mie posizioni. Io ho il dovere di fare osservare le leggi e di punire chiunque le vìoli.
L’abusivismo edilizio è uno dei segni dell’indifferenza verso l’ambiente che ci circonda e spesso le amministrazioni locali non si sono mai curate di questo problema. Non so fino a che punto i sindaci di Ischia siano responsabili degli smottamenti, ma non posso tacere che l’inerzia, se non a volte la complicità degli amministratori locali, è una delle cause del degrado del nostro territorio».
Riuscirete nell’impresa di demolire tutte le case abusive?
«I nostri mezzi sono esigui. Siamo pochi e circondanti da un clima di scarsa collaborazione, e dobbiamo servici di una normativa farraginosa. Continueremo però a fare il nostro dovere, nella speranza che i cittadini possano riacquistare sensibilità verso l’ambiente».