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 2009  novembre 10 Martedì calendario

CANADA BITUMINOSO


Altro che foglia d’acero e foreste come simbolo nazionale. Per gli ambientalisti di tutto il mondo e per le popolazioni locali, soprattutto i nativi (le «First Nations»), il Canada è un paese dal comportamentocolor pece che punta sempre più sull’estrazione di petrolio dalle sabbie bituminose, «tar sands», nella regione dell’Alberta: attività tra le più devastanti per il clima e l’ambiente. E dire che il paese è già in grande debito con il clima: le sue emissioni di gas di serra sono aumentate del 26 per cento dal 1990 - secondo il Protocollo di Kyoto dovevano ridursi del 6%.
«L’estrazione di sabbie bituminose è uno dei peggiori crimini ambientali», dicono i membri delle First Nations: «Si distrugge l’antica foresta boreale, si aprono miniere a cielo aperto sui nostri territori, l’acqua e il cibo sono contaminati, la vita selvatica locale è distrutta». Una foresta di conifere più grande dell’intera Gran Bretagna sta assumendo un aspetto da gironi dell’inferno, con allucinanti miniere, impianti di trasformazione e laghi artificiali dove viene sversata acqua contaminata. Lo illustra il documentario «H2Oil» di Shannon Walsh, che sottolinea l’inquinamento idrico gravissimo della zona, con un aumento esponenziale dei tumori (ma le autorità negano che dipenda dalle attività estrattive...).
In aree come Fort Murray c’è la nuova corsa all’oro. Con temperature invernali che arrivano ai meno 40, i lavoratori delle sabbie (oltre centomila) - arrivati da ogni dove per percepire paghe elevatissime - si prendono gioco del riscaldamento climatico: «Dove cavolo sarebbe?». Nell’Alberta potrà anche far freddo, ma uno studio della Co-Operative Bank britannica ha calcolato che, anche se tutte le altre emissioni di anidride carbonica fossero fermate, lo sfruttamento delle sabbie bituminose basterebbe a portare il mondo alla catastrofe climatica alzando la temperatura oltre i fatidici due gradi. Infatti estrarre un barile di petrolio dalla massa di sabbia, argilla e bitume produce da due a tre volte più CO2 rispetto all’estrazione di un barile di petrolio convenzionale, perché consuma molta energia (oltre a molta acqua).
Grazie alle sabbie dell’Alberta però il Canada è il principale fornitore di petrolio degli Usa, dove invece diversi stati stanno pensando di bandirlo perché è così «carbon-intensive». Intanto il Canada, che finora ha spremuto solo il 2 per cento delle proprie sabbie bituminose, ha già rovinato 520 chilometri quadrati di territorio. Bp e Shell sono fra le tante compagnie che si propongono di aumentare l’estrazione dalle sabbie dagli 1,3 milioni di barili al giorno attuali a 2,5 milioni nel 2015 e 6 milioni nel 2030. Il Canada ha 174 miliardi di barili di riserve di petrolio accertate e recuperabili in modo economico, seconde solo a quelle dell’Arabia Saudita. Ma i depositi totali di bitume sarebbero dell’ordine di 1,7 trilioni di barili. La corsa alle sabbie è un affare solo con i prezzi elevati del petrolio, oltre i 60 dollari. L’ultimo tentativo di ripulire l’immagine del Canada bituminoso - oltre a un piano congiunto nordamericano per le «zone selvatiche» - è un finanziamento di 2 miliardi di dollari canadesi per un impianto di «Cattura e stoccaggio del carbonio». Shell ammette però che così si potranno abbattere le emissioni dalle sabbie solo del 15-20%. Il ministro dell’energia per la regione di Alberta ha detto al «Times»: «Ci saranno almeno cento anni di produzione di sabbie bituminose e la "cattura e stoccaggio" li renderà più accettabili. Penso che raggiungeremo i 5 milioni di barili al giorno. Il mondo ha bisogno di energia e non c’è alternativa alle sabbie bituminose».