Marzio Breda, Corriere della sera 10/11/2009, 10 novembre 2009
I dubbi del Colle e una firma non scontata- In caso di processi spostati a Roma possibile il conflitto davanti alla Consulta ROMA – «Il presidente è preoccupatissimo »
I dubbi del Colle e una firma non scontata- In caso di processi spostati a Roma possibile il conflitto davanti alla Consulta ROMA – «Il presidente è preoccupatissimo ». Non c’erano giri di parole o toni minimizzatori in chi descriveva nei giorni scorsi gli umori di Giorgio Napolitano davanti alle ipotesi di una frettolosa leggina sulla giustizia messa in cantiere dal governo dopo la bocciatura del lodo Alfano. Le diverse formule per abbreviare i termini di prescrizione sulle quali è all’opera il consigliere giuridico e avvocato del premier, nonché parlamentare del Pdl, Niccolò Ghedini, rischiano di avere un pesante impatto su migliaia di processi. Ne estinguerebbe addirittura 600 mila, secondo alcune valutazioni. Effetti che, se da un lato salverebbero Berlusconi dai dibattimenti in cui è imputato per corruzione (il caso Mills) e per frode fiscale (la vicenda Mediaset sui diritti tv), dall’altro lato potrebbero tradursi in una sorta di amnistia mascherata, com’è stato detto da più parti. Uno scenario molto preoccupante per il Quirinale. Insomma, Palazzo Chigi si sta muovendo su un terreno più che scivoloso, pericoloso. E il via libera del Colle a un provvedimento così delicato e controverso dipenderà dalle soluzioni tecniche che emergeranno a fine percorso. Al momento, dunque, la firma di ratifica del capo dello Stato risulta tutt’altro che scontata. E Napolitano l’ha già fatto sapere al governo. Un’incertezza che, del resto, vale anche per l’accordo con gli altri leader della maggioranza, Bossi e Fini, chiamati oggi a esprimere un impegno vincolante davanti al Cavaliere. Le variabili attorno alle quali ruota l’esame del mondo politico, ma soprattutto del capo dello Stato, riguardano le modalità per accorciare i tempi dei processi e far sì che siano davvero «ragionevoli ». Questo, almeno, è quanto dichiarato dai proponenti. Ma sembra un obiettivo difficile da raggiungere se la legge non sarà accompagnata da un congiunto piano di risorse, necessarie per restituire efficienza al sistema giudiziario. Altrimenti tutto potrebbe tramutarsi, di fatto, in una resa dello Stato, con la conclamata dimostrazione dell’impossibilità di fare i processi e di punire i colpevoli e garantire giustizia a tutti. Napolitano ha denunciato davanti allo stesso Consiglio superiore della magistratura che «una crisi della giustizia c’è» e ha chiesto a più riprese, e l’ultima volta la scorsa settimana, che le riforme annunciate «non siano occasionali o di corto respiro». Traduciamo (raccogliendo il suo vecchio invito a non attribuirgli in questa materia «alcuna salomonica equidistanza»): riforme non ritorsive nei confronti della magistratura e non costruite su misura per alzare uno scudo protettivo su una persona sola. Ora, se non dovesse risultare digeribile dall’intero centrodestra la «tagliola » sulla prescrizione studiata da Ghedini (che ha lavorato di bulino su come ridurre la sospensione al tempo di «assenza giustificata» dell’imputato dal processo), ben più lacerante sarebbe l’eventuale recupero di un’idea fatta circolare da ambienti del governo nelle settimane scorse. L’idea cioè di un provvedimento che sposti a Roma «per competenza funzionale» tutti i processi per le quattro Alte cariche dello Stato, ed è inutile ricordare che Silvio Berlusconi ne sarebbe l’unico beneficiario. In questo caso, il «no» presidenziale sarebbe certo. Anzi, se il governo, dopo la prevedibile bocciatura del Colle, si azzardasse a rivotarlo tale e quale imponendone la promulgazione al capo dello Stato (come prevede l’articolo 74 della Carta costituzionale), rischieremmo di assistere a uno scontro tra poteri senza precedenti. In dottrina, infatti, si discute se il presidente della Repubblica non potrebbe – e si ritiene appunto che potrebbe – rifiutare la controfirma e sollevare un conflitto di attribuzioni davanti alla Consulta. Perché una norma del genere finirebbe per ledere un principio inderogabile della Costituzione: quello dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.