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 2009  novembre 10 Martedì calendario

Da biondino a padre di famiglia «Senza prove, mi distruggono»- ROMA – Al funerale della «sua» Simonetta, nella foto di quasi vent’anni fa, somiglia tanto ad Alberto Stasi

Da biondino a padre di famiglia «Senza prove, mi distruggono»- ROMA – Al funerale della «sua» Simonetta, nella foto di quasi vent’anni fa, somiglia tanto ad Alberto Stasi. Biondo, occhi come l’acqua, forse ge­lidi, forse solo spaventati: un altro biondino, un altro fidanzatino, forse un altro assassinino , come scrisse Enrico Deaglio agli albori del giallo di Garla­sco. Chissà. Il destino a volte si diverte con le facce e le trame, a volte gioca a rovesciare i tempi. A differenza di Stasi il biondino di via Poma, quel biondino primigenio, ha un destino che bus­sa così, a scoppio ritardato, quando i capelli dorati gli sono ormai caduti a ciocche, la vita gli ha lascia­to borse sotto gli occhi, rughe sulle guance e, in sostanza, lui, Raniero Busco, 44 anni, è semplice­mente un’altra persona, chiunque fosse prima: un uomo che ha una moglie coraggiosa, due figli ge­melli di sette anni e mezzo con le tutine appese nel portico ad asciugare e la serenità appesa al buon cuore dei compagni di scuola, una mamma tosta e contadina che abita con loro nella villetta bifami­liare (forse condonata come tante lì attorno) a Ro­ma sud, Morena, due passi dall’aeroporto di Ciam­pino. Il destino, a mezzogiorno di ieri, ha la voce addolorata dell’avvocato Paolo Loria, che chiama da piazzale Clodio: «Raniero, ti processano». Nel salotto ci sono già un po’ di amici, c’è quest’aria di attesa, un’attesa che dura da giorni, settimane, me­si, da quando il nome di Raniero ha bucato il video di una puntata di Matrix, gennaio 2007. «Raniero, ti processano». Lui piega la testa, dice: «Non fini­sce più... mi distruggono». Roberta Milletari, la ra­gazza che ha sposato cinque anni dopo la morte di Simonetta, gli stringe un braccio, vuole fargli for­za. Conosce il suo uomo, sa che sta per crollare: «Siamo diversi, io e lui, siamo opposti, per fortu­na », dirà poi: «Io ho questa rabbia dentro che mi tiene in piedi, io non mollo». Raniero sì, Raniero s’abbandona lentamente, mentre fuori piove sen­za misericordia, «non ne esco più, mi fanno un processo senza prove... cosa succederà lì? Che giu­dizio sarà? » . Singhiozza, si lascia andare davanti a tutti, l’av­vocato al telefonino non ha più parole. Gli amici, arrivano ancora amici, una piccola processione: ci sono quelli delle strade qua attorno, quelli che gira­vano in tribunale con le magliette «Via Poma: Ra­niero è innocente», quelli che si sono mobilitati in questo quartiere dormitorio dove i giardini minu­scoli e umili sono impreziositi da alberi di cachi e tutti alla fine si conoscono, legati al punto di riferi­mento della parrocchia di don Nunzio Liberti, San­t’Andrea Apostolo, dove la madre di Raniero, Giu­seppina, va a pregare quasi tutti i giorni per il fi­gliolo. Gli amici bussano discreti, parlano piano. «Sembra un funerale», dice Raniero a qualcuno, e forse per la prima volta gli scappa un mezzo sorri­so. Il telefono squilla senza sosta. Magari le cose cambieranno, ma finora è andata così: il presunto assassino di Simonetta Cesaroni ha il numero sul­le Pagine Bianche. Risponde Roberta a una, dieci, mille chiamate, sempre con la stessa voce, la stes­sa cortesia: «Lei è il milionesimo...». il momento di tenere duro, ci sono i gemelli da mettere al ripa­ro, il lavoro da mandare avanti. Domenica, ancora domenica, Raniero era sotto la pancia di un aereo, a Fiumicino, a fare il suo mestiere di tecnico della manutenzione per la Cai e a guadagnarsi la paga festiva; i colleghi raccontano che è bravissimo, uno dice: «Con le prove che hanno, meno di zero, dovrebbero mettere in galera metà degli italiani». Chissà. Dall’altra parte c’è la famiglia di Simonet­ta, con le sue ragioni e la sua attesa di verità, e in mezzo c’è questo mistero che non si scioglie, va rispettato. Raniero durante l’estate raccontava: «Sto passando le notti a leggere carte del processo e articoli di allora, per capire». Aveva già perso die­ci chili. Invocava senza nominarlo Pietrino Vanaco­re, il portinaio del palazzo del delitto, entrato e uscito a yo-yo nell’indagine: «Qualcuno sa e non parla, c’è un uomo che tace e mi sta uccidendo col suo silenzio». Fantasmi. Ombre. E dall’altra parte lei, Roberta, l’unico salvagente possibile: «Un pro­cesso non vale la vita di un uomo», dice. Forse la verità può valerla, ma in ballo c’è la vita del suo uomo, Roberta lotterà con le unghie e coi denti: «Amore mio, andiamo avanti, prima o poi anche questa prova sarà passata, vedrai», gli dice. Al mi­lionesimo cronista che la importuna, chiede: «Do­ve vuole che andiamo? Staremo chiusi qui, in casa, tutto il giorno. Ma tra poche ore la vita ricomincia. Potessimo andar via, lo faremmo... Ma abbiamo tutto qui». Da oggi la giostra mediatica non si fermerà più, fino al processo che inizia il 3 febbraio, e oltre. Stu­dio Aperto manda in onda un’intervista di giugno, stasera Matrix si gioca l’esclusiva. Roberta ride amara: «A gennaio c’è il compleanno, facciamo tre anni di gogna». In tre anni ha imparato a conosce­re i giornalisti, un po’ implora e un po’ minaccia: «Non s’inventi le cose, vedrà che le riparlo». Da oggi è già tutto diverso. Dopo il biondino di vent’anni fa, anche l’uomo che il biondino era di­ventato è bell’e sepolto. Già oggi non è più come ieri. E domani ci sarà da inventare il mondo tutto daccapo, un altro modo di salutare la gente, di an­dare al cinema, di mangiare una pizza, di parlare coi compagni di lavoro. Di respirare. Un modo nuovo di essere Raniero Busco.