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 2009  novembre 10 Martedì calendario

Italia, in principio fu il verso La lirica delle origini, dai Siciliani al Nord, attraverso i canzonieri Se domandiamo a qual­cuno di dove venga la poesia, lo mettiamo certo in imbarazzo, o lo induciamo a fantasticherie, affascinanti o fumose che sia­no

Italia, in principio fu il verso La lirica delle origini, dai Siciliani al Nord, attraverso i canzonieri Se domandiamo a qual­cuno di dove venga la poesia, lo mettiamo certo in imbarazzo, o lo induciamo a fantasticherie, affascinanti o fumose che sia­no. Se invece domandiamo di dove venga la poesia lirica italiana, la risposta è facile e sicura. Infatti essa nasce per l’iniziati­va di un monarca illuminato come Federico II di Svevia, re di Sicilia, che convince i suoi fun­zionari a provarsi in composizioni analoghe, anche per la metrica, a quelle dei trovatori pro­venzali, che allora vagavano per l’Europa into­nando le loro canzoni. Così, un drappello di giuristi e notai si mettono in gara esprimendo amori immaginari con sempre maggiore mae­stria (del resto, i notai poeti non sono rari nel­la storia della letteratura). Nella corte federi­ciana, che poteva vantare in tutti i campi una cultura di livello internazionale, si forma così un vero cenacolo poetico. Con la fine della di­nastia sveva (1266) l’episodio ha termine, ma le composizioni dei Siciliani s’erano ormai dif­fuse in tutta la penisola.  in Toscana che questa lirica viene più ap­prezzata, e a sua volta imitata. E se non si for­ma un vero cenacolo, data la frammentazione della regione, certo i poeti dei vari centri si scambiano testi, intrecciano dibattiti, nel qua­dro di un antagonismo creativo. Autori ormai quasi dimenticati, come Guittone d’Arezzo o Monte Andrea, sono al centro di piccole scuo­le provinciali, e raggiungono una fama straor­dinaria, continuando, ma ampliando, la tema­tica dei poeti federiciani. Sarà poco dopo Dan­te, insieme col Cavalcanti, a mettersi alla testa di una nuova scuola, ben più raffinata ed origi­nale, anche perché nutrita di un pensiero più elaborato; ma tutto è partito da loro, dai poeti siciliani e da quelli che chiamiamo siculo-to­scani. Da qualche anno, poi, la scoperta di ma­noscritti con testi lirici settentrionali, special­mente emiliani e lombardi, ha rivelato che an­che lì era giunta l’onda della poesia cortese, in date davvero precoci. Si era forse elaborata una maniera poetica analoga a quella sicilia­na, indipendentemente da questa? Le cose non sono ancora chiare; soprattutto non s’in­travede un centro preciso al quale riferire que­­st’attività, i cui prodotti, vidimati da studiosi come Stussi e Castellani, sono sotto i nostri oc­chi, a imbarazzarci. Ma, tornando al problema delle origini, re­sta da chiarire come sia giunta sino a noi, do­po otto secoli, la poesia dei Siciliani e dei loro seguaci. Sappiamo che i poeti si esibivano re­citando, forse cantando, i loro testi, a un pub­blico di fan: un vero recital. Qualche volta li avranno pronunciati a memoria, qualche al­tra avranno tenuto un foglio scritto sott’oc­chio. Spesso ci furono dei professionisti, i giullari, a recitare (o cantare) testi altrui. Tut­to questo favorisce la memorizzazione più che la conservazione dei testi. Ma è facile im­maginare che qualche autore avrà raccolte le sue migliori poesie, magari avrà fatto omag­gio di queste raccolte ad amici potenti. E ci sarà anche stato qualche amatore di poesia a mettere assieme piccole antologie di quelle che preferiva. qui che si può indicare la pro­babile base per la diffusione, che fu amplissi­ma, della poesia siciliana. Oggi, perdute le trascrizioni d’autore, per­dute le antologie personali o collettive, ci re­stano le grandi raccolte manoscritte che chia­miamo canzonieri. Sono raccolte analoghe a quelle che si erano fatte per i trovatori, e che avevano avuto nell’Italia settentrionale, spe­cie nel Veneto, l’ambiente più favorevole alla loro diffusione. La continuità fra i canzonieri provenzali e i canzonieri italiani antichi è evi­dente. In Italia, comunque, si tende a seguire ora un ordine cronologico approssimativo, ora un programma di gerarchizzazione abba­stanza netto, che mette in vista gli autori più famosi e apprezzati, poi risale ai predecesso­ri, a partire dai Siciliani, e pone in fondo i contemporanei. E merita di essere sottolinea­to che uno dei più antichi tra i canzonieri ita­liani, forse il più antico, ancora in analogia con alcuni di quelli provenzali, è abbellito da luminose miniature. Questi canzonieri sono piuttosto numero­si. Se ci limitiamo ai più antichi, diciamo quelli che arrivano fino agli stilnovisti (tenu­to conto che nei primissimi sono trascritte soltanto poche poesie di Dante e di Cavalcan­ti), non raggiungiamo il numero di venti. Ed è stato opportunamente creato da poco un Comitato per l’Edizione nazionale dei Canzo­nieri della Lirica italiana delle Origini, presso la Fondazione Enzo Franceschini di Firenze, che ha in programma di pubblicare i quindi­ci più antichi canzonieri, più una stampa del 1527 (la celebre Giuntina di rime antiche) che deriva da manoscritti perduti, con tutto l’apparato interpretativo che occorre. I primi tre canzonieri, senza dubbio i più preziosi e ricchi, che già erano apparsi, a cura di Lino Leonardi, nel 2000, in occasione delle cele­brazioni federiciane, vengono ora ripropo­sti, sempre da Leonardi, in apertura della nuova collana dell’Edizione nazionale ( I can­zonieri della lirica italiana delle origini , Firenze, Edizioni del Galluzzo): ai tre volumi di riproduzione fotografica segue un altro volume, imponente, di studi critici (pp. 458, con molte illustrazioni fuori testo), e, questa la novità principale, un dvd con la riproduzione digitale ad alta risoluzione degli stessi manoscritti, corredato di indici complessivi. Gli studi critici sui tre manoscritti saranno un punto di riferimento indispensabile per la storia della nostra prima poesia. Ad opera dei principali specialisti (R. Antonelli, A. Petrucci, M. Palma, P. Larson, C. Bologna, L. Leonardi, S. Zamponi, G. Frosini, G. Savino, T. De Robertis, V. Pollidori, M.L. Meneghetti) essi esaminano i codici dal punto di vista filologico, linguistico e paleografico, nel quadro della cultura toscana intorno al 1300 (i manoscritti provengono da Firenze e Pisa, con un’incertezza sul terzo fra Pistoia e Firenze). Ma è ancora più importante l’analisi del modo in cui le tre raccolte furono messe assieme. Utilizzando ogni indizio, come i cambiamenti di mano dei copisti, le differenze d’impaginazione, l’ordi­namento dei testi, i passaggi da un fascicolo all’altro, i collaboratori riescono quasi a intra­vedere gli esemplari utilizzati per mettere as­sieme le tre raccolte, probabilmente in botte­ghe di amanuensi ben organizzate, e a rico­struire il lavoro di assemblaggio compiuto con intelligenza dai copisti. Si possono insom­ma ricostruire le ultime mosse della traslazio­ne della poesia siciliana e siculo-toscana dalle raccolte personali e collettive ai grandi, presto illustri canzonieri. Interessante poi il fatto che questi canzonieri rivelino le preferenze di chi li compilò, documentando il canone della no­stra poesia lirica delle origini, canone contro il quale già Dante incominciò a battersi, per esempio mettendo in dubbio l’eccellenza e l’autorità di Guittone, e contrapponendogli quella del bolognese Guinizzelli.