Francesca Paci, la Stampa 9/11/2009, 9 novembre 2009
IL MAMMONE FA CARRIERA
Sostiene il biografo di Stalin Simon Sebag Montefiore che il dittatore sovietico non sarebbe arrivato tanto lontano senza la madre, Ekaterina Dzhugashvili detta Keke. Fu lei a lottare per l’educazione classica del giovane Soso, ma gli passò anche una certa dose d’instabilità umorale crescendolo tra coccole amorose e rigore, venerazione e paternalismo femminile. «Keke non esitava a esprimere la propria opinione su qualsiasi argomento» ricordano le testimonianze raccolte nel volume «Young Stalin». Sapeva di poter influenzare il più influente degli ascoltatori: per tutto il tempo che tenne ferocemente sottomessi uomini e dei, il figlio piegò la testa solo al suo cospetto.
Si fa presto a dire italiani mammoni. Da Freud in poi gli strizzacervelli non hanno smesso di dimostrare che la relazione morbosa tra gli uomini e la genitrice non conosce eccezioni geografiche. Basta pensare al presidente francese Sarkozy che, pur affiancato dall’assertiva moglie Carla, non rinuncia a portarsi mamma Andrée in giro per visite di Stato, da Buckingham Palace alla Cina di Hu Jintao.
«Quello con la madre è il rapporto più importante della vita specialmente per i maschi perché le donne sono destinate a loro volta a procreare», spiega la psicologa Susan Quilliam, collaboratrice dell’«International Journal of Family Planning». La latitudine non c’entra: «Anche in Gran Bretagna o in America, dove la famiglia conta meno rispetto all’Italia e ai paesi cattolici, la madre è una figura fondamentale, nutre, conforta, offre amore gratis». Quando la Casa Bianca aprì i battenti a Virginia Kelley, alias mamma Clinton, i giornali si concentrarono sul suo stile eccentrico al limite del teatrale, dalle sopracciglia disegnate alle scarpe color oro. Ma ci volle poco a capire che a contraddistinguerla era l’orgoglio per quel figlio di cui magnificava le gesta eroiche sin dal giorno della laurea: «Ero così fiera che quasi ne morii, Bill brillava di gloria». Ovvio che al confronto Hillary sembrasse acida come yogurt scaduto.
Perché la mamma rinuncia a priori al diritto di critica, osserva l’editorialista dell’«Independent» Sarah Sands che alla materia ha dedicato una lunga analisi. Mentre la signora Rosa Berlusconi, scomparsa un anno e mezzo fa, non si stancava di difendere il proprio figliolo che «lavora come uno schiavo da mattina a sera e riceve in cambio solo insulti», Michelle Obama si sofferma volentieri sui calzini del celebre marito disseminati sul pavimento. Per non parlare di Sarah Brown che, pur difendendo l’operato politico del primo ministro britannico, ne ammette la totale scombinatezza umana. Cosa direbbe di queste irriverenti consorti la moglie del padrino della mafia americana Victoria Gotti che al processo contro il primogenito John Gotti junior, accusato di omicidio, estorsione, sequestro di persona, non smetteva d’insultare i giudici chiamandoli «gangster»? Gli uomini, cuore di mamma, vanno difesi, supportati, protetti dal mondo ingrato. E pazienza se nella vita si dilettano a sgozzare la gente. Nessuno provò mai a toccare a donna Violetta i suoi gemelli Ronnie e Reggie, i famigerati banditi che negli Anni Cinquanta e Sessanta terrorizzarono l’East End londinese.
«Se gli uomini non si emancipano dall’influenza materna possono avere complicazioni nel rapporto con le donne», continua la Quilliam. Già nel 1913 David Herbert Lawrence aveva visualizzato il complesso edipico di teorizzazione freudiana nel romanzo «Figli e amanti» in cui Paolo, il minore, realizza una vita sentimentale autonoma solo alla morte della genitrice. «L’amore della madre è pace, non dev’essere meritato», scriveva Erich Fromm. Significa donare a senso unico, senza ricevuta di ritorno. Per questo, nota Sarah Sands, le madri sono più adatte a formare la prole per la guida del mondo che per l’armonia domestica. «Ogni mamma ha un suo stile e la mia ha avuto modi da sergente», ama ricordare l’ex presidente americano George W. Bush che secondo i maligni deve l’eloquio incerto alla rigidità della signora Barbara, rigorosa nel purgare l’ambizione da ogni forma di sentimentalismo. Alla lunga la memoria della severità educativa cede il passo alla devozione che spinge una star del basket come LeBron James a tatuarsi sul braccio il nome di mamma Gloria.
Cosa resta alle mogli, alle compagne, alle figlie, chiamate spesso a competere con un’avversaria che gode dell’immunità filiale? Moltissimo, assicurano gli psicologi. A cominciare dalla possibilità di prendere per mano un bambino sicuro di sé e renderlo un adulto consapevole.