Caterina Maniaci, Libero 8/11/2009, 8 novembre 2009
«Portavamo libri oltre la Cortina e in Italia ci chiamavano fascisti» «Contrabbandavo libri proibiti dall’Italia alla Polonia e viceversa, al tempo del Muro di Berlino, quando, insieme a tanti altri ragazzi, guidati da un prete alto, magro come un chiodo e macinatore di chilometri, don Francesco Ricci, cercavamo di far conoscere al mondo la Chiesa del silenzio oltrecortina, la vita reale in Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia
«Portavamo libri oltre la Cortina e in Italia ci chiamavano fascisti» «Contrabbandavo libri proibiti dall’Italia alla Polonia e viceversa, al tempo del Muro di Berlino, quando, insieme a tanti altri ragazzi, guidati da un prete alto, magro come un chiodo e macinatore di chilometri, don Francesco Ricci, cercavamo di far conoscere al mondo la Chiesa del silenzio oltrecortina, la vita reale in Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia. Per questo la sinistra ci definiva ”fascisti”». A cui appartenevano tanti di coloro che oggi versano fiumi di inchiostro e di parole sulla caduta del Muro. Rocco Buttiglione, presidente dell’Udc, filosofo, docente universitario, rievoca quei giorni ”eroici”, difficili, ma colmi di speranza, in cui, giovane intellettuale, oltrepassava spesso e volentieri la ”Cortina di Ferro”, in compagnia di sacerdoti, studenti, operai, giornalisti, per capire che cosa stesse succedendo davvero, nel mondo dell’Est comunista, e che quell’ esperienza trasformò profondamente. Come nacque l’idea di andare ”oltrecortina”? «All’inizio ci fu un prete, don Ricci: uno davvero ”tosto”, alto, magro, gran camminatore, tanto che veniva soprannominato don Chilometro. Raccoglieva intorno a se’ ragazzi che provenivano dall’esperienza di Gs, Gioventù studentesca - che diventerà Comunione e Liberazione - e faceva nascere il Centro Studi di Forlì. Tra loro c’ero anch’io. Ci spiegava cosa stava succedendo in Polonia, in Cecoslovacchia, in Ungheria, e ci chiedeva se volevamo fare un’esperienza concreta laggiù, stabilendo rapporti con la chiesa perseguitata. Allora – negli anni Sessanta – i partiti, soprattutto di sinistra, mandavano delegazioni che di quei Paesi registravano un’immagine di normalità, di ordine, di condizioni di vita dignitose per tutti». E invece, voi… «Invece, noi vivevamo due o tre settimane in una famiglia di Cracovia, ad esempio, e questo bastava per guarire da qualsiasi tentazione comunista! Le file davanti ai negozi per poi scoprire che non c’era più nulla comprare, la paura di essere fermati in qualsiasi momento per strada e, con pretesto qualsiasi, trascinati in qualche ufficio di polizia, interrogati o picchiati, e peggio… Soprattutto l’idea di dover diffidare sempre e di chiunque, perché l’universo era popolato di spie, di agenti provocatori, di delatori». Da tutto questo come nacque, invece, la forza di un dissenso così capillare, diffuso, capace di sfidare anche la morte? «In una società come quella, concentrazionaria, nasceva una società parallela, una polis che avevaal centro la Chiesa, la fede cristiana, e che voleva testimoniare che si poteva vivere una vita nella verità, non nella menzogna. E questo, proprio mentre nella cultura occidentale si stava diffondendo il pensiero relativista, il quale invece sostiene che non esiste nessuna verità assoluta. Nascevano la Chiesa del silenzio, l’Università Clandestina, i primi ”germi” di quello straordinario movimento di operai e di intellettuali che diventerà Solidarnosc». E il suo contributo al mondo del dissenso è stato anche quello di contrabbandare libri? «Sì, qualche volta l’ho fatto. In particolare, una volta don Ricci mi disse: questa volta in Polonia, dovrai portare un bel po’ di libri, sarai contattato da una signora. Presi appuntamento e mi si presentò un’elegante e esile signora bionda - era Wanda Gawronska, sorella di Jan Gawronski e nipote di Pier Giorgio Frassati, che molto aiutò la chiesa clandestina dell’Est - con una sacca e mi spiegò che quello era il ”carico” in questione. Quando lo sollevai rimasi senza fiato: erano almeno cinquanta chili! Si portavano anche molte Bibbie, considerate illegali». Non venivate mai scoperti? «Noi italiani rischiavamo al massimo un paio di settimane in prigione, ma le autorità sapevano che sarebbero scoppiate delle ”grane” a livello diplomatico, toccando qualcuno di noi. Perciò, il più delle volte, chiudevano un occhio». Il ruolo di Papa Giovanni Paolo II e della Chiesa nel crollo dei regimi comunisti sembra relegato in secondo piano, nelle rievocazioni della caduta del Muro di Berlino. «Il movimento del dissenso era caratterizzzato dal suo carattere religioso, popolare e culturale. Il futuro papa Giovanni Paolo II ne era uno dei promotori della prima ora, e da Pontefice ne fu il principale sostegno. La Chiesa ne era il cuore. Penso ai suoi martiri, come padre Jerzy Popieluszko. Il suo assassinio, il 30 ottobre 1984, avvenne in un momento in cui il regime polacco sembrava aver fiaccato la resistenza. La gente era stanca, sfiduciata, di nuovo impaurita. Sono andato a pregare sulla sua tomba, a poche settimane dalla morte: c’era un incessante pellegrinaggio. Uno striscione era appoggiato sulla lapide. C’era scritto: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno». Tutto ricominciò. Dal sangue dei martiri veramente la Chiesa esce rigenerata».