Francesco De Dominicis, Libero 8/11/2009, 8 novembre 2009
RIPARTE LA CORSA ALL’ORO DI DRAGHI
L’India e la Banca d’Italia. Ma non solo. Pure lo Sri Lanka nell’ultimo periodo ha sguinzagliato i cacciatori di oro. L’istituto centrale cingalese da almeno 5 mesi sta acquistando lingotti a mani basse. Nei forzieri dello stato asiatico ci sono, adesso, circa 5,3 tonnellate in oro. Una vera e propri montagna di metallo prezioso. Il che, insomma, pare diventata una moda fra i governatori di tutto il mondo che usano l’oro come principale bene rifugio. Così proprio nei giorni in cui le quotazioni bruciano un record dopo l’altro fioccano gli acquisti.
Il tesoretto
Il prezzo all’oncia ha superato venerdì 1.100 dollari. Dopo il crac di Lehman Brothers nel settembre 2008, Bankitalia ha aumentato le riserve auree da 48,7 a 55,3 di euro. E circa un paio di miliardi sono stati acquistati nel solo mese di ottobre. Segno della crisi, forse, che spinge le autorità monetarie a ricorrere alle materie prime piuttosto che a titoli finanziari. Ecco perché la banca centrale indiana non è stata a guardare e ha rilevato dal Fondo monetario internazionale una partita di lingotti da 6,7 miliardi di dollari.
Numeri significativi, dunque. I movimenti sull’oro sono seguiti passo passo dagli esperti del Tesoro italiano. E le ultime novità hanno addirittura risvegliato, a via Venti Settembre, gli appetiti fra quanti pensano costantemente a dare l’assalto ai lingotti di palazzo Koch. Per il ministro dell’Economia non si tratterebbe di una novità. Certo l’ultimo Giulio Tremonti, in versione Goldfinger, ha clamorosamente fallito il tentativo di allungare le mani nel caveau della Banca d’Italia. In ballo, negli scorsi mesi, c’è stata una stangatina fiscale sulle plusvalenze realizzate proprio con l’oro da società private ed enti pubblici. Un balzello con tetto a 300 milioni di euro. Manovra che era apparsa più un dispetto al governatore Mario Draghi, visto l’importo, che il desiderio di abbattere il debito statale. Fatto sta che la «golden tax» escogitata dal responsabile dell’Economia s’è beccata una doppia bocciatura dalla Banca centrale europea, che ha ”ricordato” al governo la necessità di preservare l’indipendenza di via Nazionale dalla politica. Perfino il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, i primi giorni di agosto, nel promulgare la legge, ha inserito una postilla di peso: niente salasso a via Nazionale senza il disco verde del governatore Draghi.
A Tremonti il richiamo del Colle non avrà fatto piacere, ma pare essersi arreso. Perché a distanza di quattro mesi, in Bankitalia attendono «sereni» che l’Erario bussi alla porta per battere cassa. Secondo gli addetti ai lavori, accantonati gli attrezzi fiscali, Tremonti potrebbe rispolverare un suo antico progetto: vendere l’oro di palazzo Koch e trasferire il ricavato sui conti dello Stato.
Lingotti da vendere
Un giochetto che consentirebbe di ridimensionare il deficit italiano e, magari, pure di trovare qualche risorsa utile a mettere sul piatto misure per il rilancio dell’economia. Del resto, il bottino in arrivo con lo scudo fiscale, circa 4 miliardi di euro, potrebbe non bastare a dare sostegno alle imprese ancora in difficoltà per il rallentamento della domanda internazionale e le restrizioni creditizie.
Nel 2004 Tremonti aveva per la prima volta accennato alla possibilità di attingere alle riserve di via Nazionale. Le critiche, però, prevalsero e il progetto fu stoppato sul nascere. Nella legislature successiva, pure Tommaso Padoa-Schioppa, da ministro dell’Economia, avviò i contatti con Bankitalia. La compagine governativa di Romano Prodi, però, oltre a rompere un tabù nel dibattito non ottenne grossi risultati. Ma al Tesoro oggi ricordano che negli scorsi anni, tutti i paesi industrializzati hanno però cominciat a svuotare i caveau. E nell’elenco che comprende Canada, Australia, Austria, Belgio, Olanda, Portogallo, Regno Unito, Spagna e Francia, Tremonti ora vorrebbe vedere pure l’Italia.