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 2009  novembre 08 Domenica calendario

Putin e il crollo del Muro «Difesi il Kgb con le armi»- «Fu triste per l’Urss, ma non poteva durare» MOSCA – Mentre il Muro cadeva e la vita dei tedeschi dell’Est cambiava per sempre, Vladimir Putin era occupa­to notte e giorno a distruggere dossier, a cancellare le tracce di tutte le comuni­cazioni, a bruciare documenti nella se­de del Kgb di Dresda

Putin e il crollo del Muro «Difesi il Kgb con le armi»- «Fu triste per l’Urss, ma non poteva durare» MOSCA – Mentre il Muro cadeva e la vita dei tedeschi dell’Est cambiava per sempre, Vladimir Putin era occupa­to notte e giorno a distruggere dossier, a cancellare le tracce di tutte le comuni­cazioni, a bruciare documenti nella se­de del Kgb di Dresda. «Avevamo tal­mente tanta roba da mettere nel fuoco che a un certo punto la stufa scoppiò», ha raccontato lui stesso in una lunga in­tervista che il canale televisivo Ntv manderà in onda questa sera. Poi, dopo l’assalto agli uffici locali della Stasi, venne il turno della sede del Kgb. Una folla enorme si assiepò da­vanti alla palazzina che ospitava i sovie­tici e si fermò solo perché lo stesso pri­mo ministro russo, allora giovane co­lonnello del servizi segreti, uscì fuori e minacciò di usare le armi. La vita dorata di Vladimir Putin, nu­mero due del Kgb nella città della Ddr a sud di Berlino, pagato parte in dollari e parte in marchi, stava per finire. Vla­dimir e Lyudmila sarebbero presto ri­tornati a San Pietroburgo, dove lui, sen­za soldi e senza futuro, pensò pure di mettersi a fare il tassista. Nella Germania Est, invece, era stata tutta un’altra storia. I Putin c’erano arri­vati nel 1985, mentre Gorbaciov dava inizio alla perestrojka. Ma nella Ddr molto poco cambiò in quegli anni: «Era come l’Unione Sovietica di trent’ anni prima, un Paese totalitario», ha detto ancora Putin. Totalitario ma ric­co. Al posto delle file interminabili per qualche salsiccia, c’era ogni ben di dio. «Avevamo perfino una Zhigulì di servi­zio, considerata un’ottima macchina in confronto alle Trabant. E nei fine setti­mana ce ne andavamo sempre in giro per la Sassonia», ha raccontato Lyudmi­la. Vladimir lavorava fianco a fianco con i colleghi della Stasi e il venerdì se­ra andava sempre a farsi una birra con loro, tanto che mise su 12 chili. Il giova­ne colonnello si occupava di «spionag­gio politico»: reclutare fonti, ottenere informazioni, analizzarle e trasmetter­le a Mosca. A Dresda c’era un’importan­te fabbrica elettronica, la Robotron, e Putin teneva d’occhio gli stranieri che andavano a visitarla. Si dice, ma lui non l’ha mai confermato, che poco pri­ma della caduta del Muro, ebbe il com­pito di assoldare una rete di agenti che avrebbero dovuto fungere da quinta co­lonna dell’Urss nella Germania riunifi­cata. Uno di loro, un certo Klaus Zu­chold, venne subito preso e confessò ogni cosa al controspionaggio della Germania occidentale. Così la «brillan­te » operazione di Putin andò per aria. Quel 9 novembre, Putin assistette con tristezza agli eventi di Berlino: «Ad essere onesti devo dire che mi dispiace­va che l’Urss stesse perdendo le sue po­sizioni in Europa», ha confessato. «Pe­rò capivo che una posizione costruita sulle divisioni e sui muri non poteva durare». Nei giorni seguenti tutti gli uo­mini del Kgb si diedero da fare per pre­pararsi ad abbandonare la posizione. «Dovevamo distruggere ogni cosa, in­terrompere le linee di comunicazione; solo il materiale più importante fu tra­sferito a Mosca», ha detto l’ex presiden­te russo. La notte del 5 dicembre la fol­la occupò la sede della Stasi a Dresda. La mattina dopo tutti si radunarono da­vanti alla palazzina di Angelikastrasse 4, dove aveva sede (in incognito) il Kgb. All’interno chiamarono il vicino di­staccamento militare per chiedere aiu­to, ma la risposta fu negativa: «Non possiamo fare nulla senza l’autorizza­zione di Mosca, e Mosca tace». Putin ebbe la sensazione che «l’Urss non esi­stesse già più». Uscì fuori con la pistola in mano (lui dice che aveva a fianco un soldato armato), si qualificò come in­terprete e spiegò che quello era territo­rio sovietico. La gente rinunciò a sca­valcare il muro di cinta.