varie, 9 novembre 2009
COHOUSING
(Voce Arancio)
Cohousing, termine inglese per co-abitazione.
«Immaginate dieci, venti o trenta famiglie, ognuna con il proprio appartamento e la salvaguardia della propria intimità, che insieme condividono alcuni spazi comuni – il giardino, la palestra, la lavanderia, la sala Tv e giochi, una foresteria per invitare gli amici – e che si rendono disponibili per attivare alcuni servizi – nido per bambini, assistenza per malati e anziani, sala per computer e lavoro, car-sharing – a seconda delle loro esigenze e delle loro aspirazioni, senza alcun obbligo se non quello di decidere insieme agli altri come far crescere la propria comunità nell’ottica della partecipazione condivisa. Non vi sembra un’ottima idea in termini di ricaduta sociale, di contenimento degli sprechi e distribuzione delle ricchezze?» (Matthieu Lietaert, autore di «Cohousing e condomini solidali»).
Il cohousing, nato in Danimarca negli anni ”60, è diffuso in Svezia, Olanda, Germania, Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Australia, Giappone. Ora è arrivato anche in Italia.
Da un’indagine condotta dal Politecnico di Milano, risulta che oltre il 70% dei 3.600 milanesi intervistati vive in affitto e non per scelta, ma per le crescenti difficoltà di ingresso nel mercato immobiliare. Il 43% non vuole lasciare Milano, ma il 40% non conosce neppure i propri vicini di casa. Il 90% denuncia la perdita delle dimensioni di quartiere e aspira ad una dimensione della vita permeata di forti valori sociali (amicizia, mutualità, condivisione...). Il 33% vorrebbe vivere in un quartiere vero, con il panettiere, il macellaio, una piazza e il 72% ama i piccoli favori di vicinato. Tra gli spazi che si condividerebbero con gli altri: una piscina (54, 7%), una sala cinema (50, 7%), una biblioteca (49, 4%), una serra-orto (47,9%), una palestra (46,1%).
Come si acquista una casa in cohousing? «Ci sono due modi», spiega a Voce Arancio Nadia Simionato di Cohousing Venture. «Si può contattare uno sviluppatore immobiliare, che costruisce la casa, e poi acquistare l’abitazione come se si acquistasse un appartamento qualunque. Il prezzo è inferiore rispetto al mercato, ma il costruttore ha comunque un suo margine di guadagno. Più vantaggioso è il progetto in cooperativa. Si compra un’area tutti insieme, dando ciascuno una quota parte, si costruisce la casa e poi ciascun socio vende la casa a se stesso. In questo modo i prezzi sono ancora più bassi perché si paga solo il costo effettivo della costruzione». Quanti soldi bisogna avere per partire? «Oggi chi vuole acquistare casa deve almeno avere il 20% della spesa prevista». Le banche aiutano? «In questo momento ci finanziano fino all’80%. Sul discorso privato lo fanno volentieri, ma in cooperativa ancora di più. Per una banca è più sicuro finanziare persone che hanno aderito ad un progetto, che hanno già dato un primo acconto e che garantiscono con i propri stipendi, piuttosto che finanziare un’impresa, magari già molto esposta». Ammesso che abbia i soldi, dove trovo chi venga a vivere con me? «Posso cercare nella mia cerchia di amicizie - ma è l’ipotesi più difficile – oppure posso cercare tra i 9.000 iscritti a cohousing.it, la nostra community di persone che vogliono andare a vivere in condivisione». Poi? «Chi è interessato ad una nostra proposta partecipa alla fase di ”progettazione partecipata”, durante la quale ci si conosce, si valuta il progetto e si cerca di capire quali spazi si vogliono condividere e come». Se siamo tutti soci, come faccio a scegliere l’appartamento che mi piace? «C’è una grossa flessibilità dal punto di vista progettuale. I nostri architetti sono molto disponibili a tagliare la casa su misura. Si può chiedere un appartamento più piccolo o più grande, con due bagni, invece di uno».
Come si prendono le altre decisioni? «Per consenso. Tutti devono essere d’accordo. Altrimenti si va a maggioranza. I cohousing vengono gestiti per comitati: c’è chi si occupa di impiantistica, chi della gestione degli spazi comuni, chi dell’organizzazione delle cene tra cohousers. Tutti sono coscienti di quanto sia complesso vivere in cohousing ed è per questo che, nella parte iniziale di progettazione partecipata, ogni cohousing stabilisce delle regole da seguire. Chi entra dopo si deve adattare». Allora devo superare anche ”l’esame-vicini”… «Si e no. Solitamente i cohousers vogliono conoscere il futuro abitante, ma non si tratta di un esame vero e proprio. L’unica imposizione per chi entra in un cohousing già formato è quella di aderire alla carta costituzionale del cohousing stesso, ovvero a tutte quelle indicazioni che regolano la comunità, spazi comuni compresi. Non può non farlo». Sarà, ma il rischio di finire a litigare c’è… «Non è che in cohousing non esistano conflitti, ma le persone sono disponibili a venirsi incontro e capaci di arrivare ad un compromesso. Ci si incontra spesso, almeno una volta al mese, e non una volta l’anno. I problemi non arrivano ad essere insormontabili. Chi viene a vivere in cohousing sa che le cose vanno gestite in questo modo. E’ stato deciso a priori. Se poi ho delle difficoltà chiedo aiuto al gruppo». E’ un po’ come una famiglia allargata… «Sono come le famiglie che 30 anni fa vivevano nelle case coloniche, dove una mamma si occupava di tutti i figli oppure una portava i bambini a scuola e l’altra andava a prenderli. A volte ci sembra di aver scoperto l’acqua calda. Sono cose banali che nel tempo si sono dimenticate, specialmente nelle grandi città».
Ogni anno ci sono 184mila nuove cause tra condomini. Tra le "ragioni del contendere": uso improprio delle parti comuni quali scale, ascensori e cortili; rumori molesti a ogni ora del giorno e dalla notte; discussioni per gli animali domestici e piccoli lavori da effettuare sullo stabile (Fonte: Anaci).
Sean Connery fu citato dal suo vicino, l’oftalmologo Burton Suton, per trenta milioni di dollari perché sosteneva che i lavori di restauro per un piano della townhouse dell’attore provocassero gravi danni alla sua collezione d’arte vittoriana e alla sua pace familiare. Burton ogni settimana chiamava la polizia per le ragioni più varie (violazione di domicilio, parcheggio illegale ecc.), facendo imbestialire l’attore.
«Una volta i vicini erano degli amici. Oggi sono degli sconosciuti, verso i quali prevale spesso l´intolleranza. Prima si citofonava, adesso si va direttamente dall´avvocato» (Roberta Odoardi, direttore Anammi).
In alcuni condomini di lusso di New York, per poter comprare un appartamento, bisogna superare un vero e proprio esame ed essere accettati dagli altri proprietari, che hanno potere di veto. Madonna ha denunciato il co-op board (il condominio) del suo attico a Central Park West perché cercava di impedirle l’acquisto di un nuovo appartamento nel palazzo.
Con il cohousing si risparmia fino al 15% sulla spesa media di un famiglia. La riduzione dei costi dipende dalla scelta degli spazi e dei servizi condivisi. La possibilità di stipulare contratti collettivi e condividere l’istallazione di impianti energetici alternativi (fotovoltaico, microeolico), pressoché inaccessibili per il singolo individuo, permettono di risparmiare fino al 45% sulle bollette. Un micronido interno può far risparmiare fino al 75%; un servizio lavanderia, con macchine industriali a basso impatto ambientale ed energetico, fino al 60%; il car-sharing, con la condivisione dei costi di acquisto, manutenzione e assicurativi, fino a 4.000 euro l’anno per famiglia. Creare un GAS (Gruppo di Acquisto Solidale) permette di comprare direttamente dai produttori e risparmiare sulla grande quantità. Avere una palestra o una piscina elimina i costi di iscrizione (fino a 400 euro mese). I co-housers condividono anche gli attrezzi per il giardino e la manutenzione.
Senza contare il risparmio di tempo. «In un cohousing si deve dare fiducia agli altri perché tutti hanno lo stesso interesse. Se decido che il comitato energetico è quello che si occupa delle bollette, non perdo tempo a controllare che sia tutto in regola e che non mi facciano pagare una lampadina 80 euro» (Nadia SImionato, Cohousing Venture).
Milano, zona Bovisa. Paola si è appena trasferita con la famiglia in un loft di due piani ad Urban Village, un cohousing ricavato da una ex fabbrica di barattoli. Prima stava in zona sud. «L’appartamento era piuttosto confortevole, ma non aveva niente di più di un qualsiasi appartamento in una condominio normale, con persone normali che si conoscevano a malapena e che si incontravano all’incirca una volta all’anno per la riunione di condominio. Quello che mancava fondamentalmente era il rapporto con i vicini di casa. Vivere in cohousing significa recuperare, anche in città, una dimensione umana, sociale e più naturale della vita, significa poter contare su qualcuno, potersi fidare degli altri. Finalmente vivo come desideravo... Il risparmio... lo vedremo. Il prezzo di acquisto della casa è leggermente inferiore ai valori della zona. Bisogna però considerare che, con questo prezzo al mq, abbiamo anche una quota parte degli spazi comuni. E’ come se a parità di prezzo avessimo comprato una casa più grande. Risparmieremo senz’altro sui costi di gestione e sui costi di vita quotidiani perché abbiamo sistemi avanzati per il risparmio energetico e una lavanderia comune. Ci siamo organizzati per non avere la portineria, per le pulizie, per creare un GAS e per darci una mano a tenere i bambini. Avremo anche una hobby room, perché riparare aiuta a riutilizzare senza dover comprare cose nuove, e un giardino comune in cui coltiveremo le essenze da usare in cucina».
Torino, zona Porta Palazzo. Chiara adora il terrazzo della sua nuova casa, in via Cottolengo 4. Lì, lei e il marito andranno ad abitare in cohousing, al secondo piano di una palazzina fine ”800 che Cooperativa Numero Zero sta ristrutturando. Otto appartamenti, di cui uno ancora libero, lavanderia al piano, terrazzo, cortile, sale polifunzionali, micronido, cantina per il vino, palestra e laboratorio per il bricolage. «Avevamo bisogno della famosa stanza in più, ma non solo», ci spiega Chiara. «Avevamo voglia di vivere in modo diverso, di avere dei vicini con cui parlare. Non è stato facile lavorare in gruppo, prendersi degli impegni e delle responsabilità. Molti si sono avvicinati al progetto, ma poi hanno rinunciato perché non erano disposti a tutto questo. Certo, se la motivazione fosse solo quella del risparmio, questo tipo di convivenza non potrebbe andare avanti».
Entro l’autunno del 2011, a Milano, sarà pronto Green House: 36 appartamenti dai 50 ai 150 mq, 400 mq di spazi comuni più una serra ”verticale” da 500 mq che garantirà il 50% del fabbisogno di verdura e frutta dei residenti. Il progetto è realizzato in cooperativa: 3.330 euro al mq, spazi comuni e serra compresa.
«L´aspetto più interessante è soprattutto immateriale. la creazione di quei servizi sociali che non vengono garantiti dal welfare» (Mimmo Tringale, Direttore Terra Nuova).
La prossima primavera verrà inaugurato Residance, un progetto di cohousing in affitto pensato per giovani con meno di 36 anni. Canone: 10 euro al metro quadro, spazi comuni compresi.
Aquarius è un cohousing per senior. «Al momento però è fermo perché l’amministrazione pubblica si mostrata interessata al progetto. Abbiamo contatti con la regione Liguria e la provincia di Biella. A giorni verrà lanciato un progetto ”classico” di co-residenza, per la zona sud di Milano e, il 13 e 14 novembre a Milano, ci sarà un corso di accreditamento e formazione per gli architetti interessati al cohousing. Gli iscritti sono già una trentina. Fino ad ora ci siamo occupati del Nord Italia, Milano, Padova, Torino, ma abbiamo moltissime richieste a Roma, Napoli e Bari. Nel giro di poco tempo proporremo progetti in tutta Italia» (Nadia Simionato, Cohousing Venture).