Elena Meli, Corriere della Sera 8/11/2009, 8 novembre 2009
uno di quegli argomenti su cui la fantasia può lavorare a briglia sciolta, tanto non ci saremo da un bel po’ quando qualcuno potrà smentirci coi fatti
uno di quegli argomenti su cui la fantasia può lavorare a briglia sciolta, tanto non ci saremo da un bel po’ quando qualcuno potrà smentirci coi fatti. Così, sul tema ’come sarà l’uomo del futuro’ ferve l’immaginazione e c’è chi scommette che saremo obesi e non più in grado di muoverci (ricordate Wall-E, il film Disney?), chi pensa che avremo una testa gigante per contenere un super-cervello, chi crede che saremo ibridi uomo- robot. Poi, c’è chi studia seriamente la faccenda. Lo ha fatto di recente Stephen Stearns, un ricercatore di Yale, che sulle pagine dei Proceedings of the National Academy of Sciences ha provato a capire se l’evoluzione, che ci ha trasformati da scimmioni pelosi a esseri slanciati (non sempre, va detto), è ancora all’opera. La risposta è sì. Dopo aver esaminato attraverso complicati calcoli statistici i dati di oltre duemila donne di diverse generazioni, che erano state arruolate nel Framingham Heart Study, Stephen Stearns afferma che la selezione naturale sta continuando a plasmare l’uomo del domani. Anzi, la donna, visto che il ricercatore ha messo sotto la lente solo il sesso femminile. Azzardando perfino previsioni di qui a qualche secolo. Se l’andazzo resta quello attuale, - sostiene infatti Stearns - all’alba del 2409 le donne saranno due centimetri più basse, un chilo più pesanti, faranno figli prima e andranno in menopausa più tardi. ’Tracagnotte’, dunque, ma con qualche problema in meno di salute, perché pare, sempre secondo i calcoli del ricercatore di Yale, che colesterolo e pressione siano destinati ad abbassarsi. Il contrario di ciò che ci si aspetterebbe guardando ai nostri antenati medievali, rispetto ai quali siamo giganti poco prolifici. Stiamo, quindi, invertendo la rotta? «Non è possibile fare previsioni realistiche su come saremo – risponde Marcello Buiatti, genetista dell’Università di Firenze ”. I ricercatori americani partono dal presupposto che si tramanderanno i geni di chi, oggi, fa più figli. Questo è vero nelle specie animali, ma l’uomo non si accoppia a caso». C’è chi non fa figli perché non avrebbe di che mantenerli e chi, invece, si affida alla fecondazione assistita tramandando geni che qualche secolo fa sarebbero rimasti al palo. Troppi elementi squisitamente ’umani’ complicano il quadro. Uno, soprattutto: «L’evoluzione dell’uomo è biologica, segue cioè le leggi della selezione naturale, ma è anche e soprattutto culturale» dice, infatti, Marco Ferraguti, presidente della Società Italiana di Biologia Evoluzionistica. Questo significa, ad esempio, che noi non ci adattiamo all’ambiente che troviamo, come gli animali, ma piuttosto lo modifichiamo. «Per l’evoluzione l’uomo non usa la variabilità genetica, che fa ’spuntare’ prima o poi il soggetto più adatto a vivere fra i ghiacci o nel deserto, ma usa le risorse del suo cervello – spiega Buiatti ”. Il pensiero umano, che deriva dai nostri cento miliardi di neuroni e dal loro milione di miliardi di connessioni, è assai più plastico del genoma, che conta appena 23 mila geni e produce solo 5 o 6 mila proteine. E la variabilità genetica fra uomo e uomo, di cui esistono miliardi di individui sulla Terra, è molto inferiore a quella dei cugini scimpanzé, che contano appena qualche migliaio di esemplari: per questo negli animali esistono le razze, espressione dell’adattamento a vari ambienti, e nella specie umana no». Difficile fare previsioni su come sarà il nostro aspetto usando le premesse dell’evoluzione in senso stretto, quindi. Anche se su qualcosa ci si può sbilanciare. «Fare ipotesi è plausibile su singole malattie genetiche: in certi casi si può prevederne l’estinzione, perché i malati fanno meno figli, o perché danno una prole infertile» osserva il genetista. « Allo stesso modo, – prosegue ”- poiché nel mondo non occidentale si fanno più figli, è verosimile (ma non del tutto certo) che fra qualche secolo avremo la pelle più scura. Oppure, a cambiarci sarà il nuovo rapporto con la realtà, sempre più virtuale. In un mondo in cui il contatto fisico conta poco, i geni che governano le nostre modalità di percezione potrebbero cambiare. Perché nell’uomo è appunto la cultura che seleziona i geni». E chissà, magari ha ragione chi, come il genetista Steve Jones dell’università di Londra, pensa che fra migliaia di anni saremo esattamente come ora, proprio perché la selezione naturale ci ’pressa’ di meno rispetto agli animali. Anche se è sempre presente. Secondo uno studio dell’università dello Utah, negli ultimi 5000 anni almeno il 7 per cento dei nostri geni ha subìto un’evoluzione. Ai posteri l’ardua sentenza. Del resto lo diceva anche Niels Bohr, il fisico della teoria dei quanti: «Fare previsioni è molto difficile, soprattutto sul futuro». Elena Meli