Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  novembre 08 Domenica calendario

 uno di quegli argomenti su cui la fantasia può lavorare a briglia sciolta, tanto non ci saremo da un bel po’ quando qualcuno potrà smentirci coi fatti

 uno di quegli argomenti su cui la fantasia può lavorare a briglia sciolta, tanto non ci saremo da un bel po’ quando qualcuno potrà smentirci coi fatti. Così, sul tema ’come sarà l’uomo del futuro’ ferve l’immaginazione e c’è chi scommette che saremo obesi e non più in grado di muoverci (ricordate Wall-E, il film Disney?), chi pensa che avremo una testa gigante per contenere un super-cervello, chi crede che saremo ibridi uomo- robot. Poi, c’è chi studia seriamente la faccenda. Lo ha fatto di recente Stephen Stearns, un ricercatore di Yale, che sulle pagine dei Proceedings of the National Academy of Sciences ha pro­vato a capire se l’evoluzione, che ci ha trasformati da scim­mioni pelosi a esseri slanciati (non sempre, va detto), è an­cora all’opera. La risposta è sì. Dopo aver esaminato attraverso compli­cati calcoli statistici i dati di oltre duemila donne di diver­se generazioni, che erano sta­te arruolate nel Framingham Heart Study, Stephen Stearns afferma che la selezione natu­rale sta continuando a pla­smare l’uomo del domani. An­zi, la donna, visto che il ricer­catore ha messo sotto la lente solo il sesso femminile. Azzar­dando perfino previsioni di qui a qualche secolo. Se l’andazzo resta quello at­tuale, - sostiene infatti Stear­ns - all’alba del 2409 le donne saranno due centimetri più basse, un chilo più pesanti, fa­ranno figli prima e andranno in menopausa più tardi. ’Tracagnotte’, dunque, ma con qualche problema in me­no di salute, perché pare, sempre secondo i calcoli del ricercatore di Yale, che cole­sterolo e pressione siano de­stinati ad abbassarsi. Il con­trario di ciò che ci si aspette­rebbe guardando ai nostri an­tenati medievali, rispetto ai quali siamo giganti poco pro­lifici. Stiamo, quindi, inver­tendo la rotta? «Non è possibile fare previ­sioni realistiche su come sare­mo – risponde Marcello Bu­iatti, genetista dell’Università di Firenze ”. I ricercatori americani partono dal presup­posto che si tramanderanno i geni di chi, oggi, fa più figli. Questo è vero nelle specie ani­mali, ma l’uomo non si accop­pia a caso». C’è chi non fa fi­gli perché non avrebbe di che mantenerli e chi, invece, si af­fida alla fecondazione assisti­ta tramandando geni che qualche secolo fa sarebbero ri­masti al palo. Troppi elemen­ti squisitamente ’umani’ complicano il quadro. Uno, soprattutto: «L’evolu­zione dell’uomo è biologica, segue cioè le leggi della sele­zione naturale, ma è anche e soprattutto culturale» dice, infatti, Marco Ferraguti, presi­dente della Società Italiana di Biologia Evoluzionistica. Que­sto significa, ad esempio, che noi non ci adattiamo all’am­biente che troviamo, come gli animali, ma piuttosto lo modifichiamo. «Per l’evoluzione l’uomo non usa la variabilità geneti­ca, che fa ’spuntare’ prima o poi il soggetto più adatto a vi­vere fra i ghiacci o nel deser­to, ma usa le risorse del suo cervello – spiega Buiatti ”. Il pensiero umano, che deriva dai nostri cento miliardi di neuroni e dal loro milione di miliardi di connessioni, è as­sai più plastico del genoma, che conta appena 23 mila ge­ni e produce solo 5 o 6 mila proteine. E la variabilità gene­tica fra uomo e uomo, di cui esistono miliardi di individui sulla Terra, è molto inferiore a quella dei cugini scimpan­zé, che contano appena qual­che migliaio di esemplari: per questo negli animali esistono le razze, espressione dell’adat­tamento a vari ambienti, e nella specie umana no». Difficile fare previsioni su come sarà il nostro aspetto usando le premesse dell’evo­luzione in senso stretto, quin­di. Anche se su qualcosa ci si può sbilanciare. «Fare ipotesi è plausibile su singole malat­tie genetiche: in certi casi si può prevederne l’estinzione, perché i malati fanno meno fi­gli, o perché danno una prole infertile» osserva il genetista. « Allo stesso modo, – pro­segue ”- poiché nel mondo non occidentale si fanno più figli, è verosimile (ma non del tutto certo) che fra qual­che secolo avremo la pelle più scura. Oppure, a cambiar­ci sarà il nuovo rapporto con la realtà, sempre più virtuale. In un mondo in cui il contat­to fisico conta poco, i geni che governano le nostre mo­dalità di percezione potrebbe­ro cambiare. Perché nell’uo­mo è appunto la cultura che seleziona i geni». E chissà, magari ha ragio­ne chi, come il genetista Ste­ve Jones dell’università di Londra, pensa che fra miglia­ia di anni saremo esattamen­te come ora, proprio perché la selezione naturale ci ’pres­sa’ di meno rispetto agli ani­mali. Anche se è sempre pre­sente. Secondo uno studio dell’università dello Utah, ne­gli ultimi 5000 anni almeno il 7 per cento dei nostri geni ha subìto un’evoluzione. Ai posteri l’ardua sentenza. Del resto lo diceva anche Niels Bohr, il fisico della teo­ria dei quanti: «Fare previsio­ni è molto difficile, soprattut­to sul futuro». Elena Meli