Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  novembre 08 Domenica calendario

C’è un filo rosso (molto rosso) che ac­comuna da un po’ di tempo alcuni delit­ti compiuti in Lombardia più che in al­tri luoghi

C’è un filo rosso (molto rosso) che ac­comuna da un po’ di tempo alcuni delit­ti compiuti in Lombardia più che in al­tri luoghi. quello della crudeltà gratui­ta dettata dall’odio. L’ultima tappa di questa terribile sequenza è un paesino del Varesotto, Cocquio Trevisago, dove giovedì sera una signora di 82 anni, Car­la Molinari, è stata uccisa nella sua mo­desta villetta, amputata delle mani (per il momento introvabili) e accoltellata al­la gola fino a esser quasi decapitata. L’estate scorsa ad Ardenno, in Valtelli­na, per un affare di cocaina il giovane Donald Sacchetto fu colpito dalla pisto­la di un amico che ne bruciò il corpo, lo maciullò con una ruspa, lo tritò in un frantoio per poi seppellirlo in una cava. Nessuno ha dimenticato quel che accad­de a Erba la sera dell’11 dicembre 2006, quando (stando alla sentenza di primo grado) i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi accoltellarono con particolare fero­cia quattro vicini di casa, tra cui il picco­lo Youssef di due anni. Nell’estate del 2005 a Brescia il nipote dei coniugi Aldo e Luisa Donegani decide di eliminare gli zii e di scaricarli in un dirupo sotto il Passo del Vivione dopo averli fatti a pez­zi. E chi ha dimenticato il caso di Rugge­ro Jucker, un rampollo della Milano be­ne che nel 2002 massacrò a coltellate la sua fidanzata, dissezionandone il corpo ancora in vita? Il delitto di Garlasco non regge il confronto. E lasciamo stare la terribile sequenza di omicidi rituali commessi nel Varesotto dalle cosiddet­te bestie di Satana. Tutti casi diversi tra loro, direbbero giustamente i criminolo­gi, ma legati indubbiamente da una in­sensata ferocia per qualcosa che somi­glia all’odio, maturato chissà dove e chissà perché.

Non siamo nella frontiera tra Texas e Messico, dove si consuma il mattatoio del capolavoro di Cormac McCarthy Non è un paese per vecchi , diventato lo splendido film dei fratelli Coen, con il glaciale Javier Bardem nelle vesti del kil­ler misterioso e sanguinario. Non siamo neanche nelle zone di Fargo , altra decli­nazione del «blood simple» degli stessi Coen, che si conclude con un cadavere rovesciato dentro un trituratore per il le­gname. Non siamo neanche nei lontani scenari sanguinolenti di Tarantino. No no. Siamo nei pressi della Brianza, che già Carlo Emilio Gadda vedeva talmente «profanata» (non solo da cemento, pla­stica e scatolame) da scrivere che «la verde Lombardia non è più» se non «un tetro inferno» in cui era arrivato il cosid­detto miracolo. Allucinazioni da scritto­ri? Forse, ma già allora l’Ingegnere, nel­la claustrofobica metafora che aveva messo su nella Cognizione del dolore, sentì la necessità di far controllare ville e villette del luogo da società di accaniti vigilanti notturni che evitassero furti, aggressioni e omicidi.

«Indubbiamente sono tutti casi di

overkilling , cioè di omicidi particolar­mente feroci», dice Isabella Merzagora Betsos, docente di Criminologia alla Sta­tale di Milano. E aggiunge una conside­razione non secondaria di ordine topo­grafico: «Mentre fino a qualche decen­nio fa la città era la sentina di tutti i vizi, adesso la provincia si sta non solo inur­bando ma conurbando nei modi di vi­ta ». In effetti, i casi più efferati un tem­po accadevano per lo più nelle metropo­li: il Duca Lamberti del Simenon italia­no, Scerbanenco, investigava soprattut­to tra i bassifondi cittadini, anche quan­do i milanesi uccidevano solo il sabato, perché in settimana lavoravano. « ve­ro comunque che la Lombardia, a livel­lo statistico, si colloca ai primi posti spe­cialmente per quanto riguarda i delitti familiari o intimi: è possibile che le con­flittualità derivate dal benessere di quel­la che era la capitale morale siano più acute che altrove». La domanda è ricor­rente: che rapporto c’è tra be­nessere (raggiunto o agogna­to) e criminalità? «Al progres­so economico non sempre cor­risponde un adeguato avanza­mento culturale o etico, e lo scempio di una vecchietta dila­niata senza apparenti ragioni è la violazione di un tabù forte, ordinaria crudeltà sadica. Nei periodi di crisi economica, poi, la criminalità subisce sempre un’impen­nata quando non ci sono le adeguate protezioni sociali. Posso solo dire che noi criminologi ce l’aspettavamo».

In un recente saggio intitolato Cosmo­logie violente (Cortina), Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali raccolgono le interviste fatte nel carcere di Opera (Milano), met­tendo a fuoco come le relazioni con gli altri, l’educazione, le esperienze, i grup­pi di appartenenza agiscano nella co­struzione di quelli che chiamano i «mondi simbolici» del criminale: «Biso­gna uscire dal determinismo della ma­lattia mentale – dice Ceretti ”. Nel ca­so di Cocquio Trevisago bisognerà valu­tare che tipo di legame l’aggressore in­tratteneva con la vittima per spingerlo a un rituale tanto efferato, a un tale gesto di punizione e di umiliazione».

Paolo Di Stefano