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 2009  novembre 07 Sabato calendario

«Ecco la mia Londra» - La Londra di Carlo Ancelotti non è Londra ma il verde del Surrey e la quoti­dianità del tragitto in auto tra Oxshott, il paesino in cui gli hanno trovato casa, e il centro sportivo del Chelsea, avveniri­stico e misterioso al tempo stes­so

«Ecco la mia Londra» - La Londra di Carlo Ancelotti non è Londra ma il verde del Surrey e la quoti­dianità del tragitto in auto tra Oxshott, il paesino in cui gli hanno trovato casa, e il centro sportivo del Chelsea, avveniri­stico e misterioso al tempo stes­so. Ad ammonire il visitatore in­cauto che questo non è un po­sto come gli altri provvede una lapide informativa: i giocatori non firmeranno autografi oltre questa linea. Il college è un sal­to nel futuro perché 37 campi, tutti rigorosamente in erba an­che se non tutti di dimensioni regolamentari, sono la fanta­scienza applicata al pallone. L’aspetto misterioso sta nel fat­to che qui l’accesso è complica­to come può esserlo quello a una base militare, anche se dal­l’esterno non sono visibili indi­zi di grandeur. Low profile, in­somma. Basso profilo come quello di Roman Abramovich, il boss, che ieri si è improvvisa­mente presentato all’allenamen­to in jeans, maglietta e giubbot­to. In questa dimensione agre­ste Carlo Ancelotti, che dentro di sé ha sempre conservato l’anima contadina a base di lam­brusco e culatello, si muove in scioltezza. Lui è «the mana­ger », come ricorda la targhetta sulla porta del suo ufficio, l’ulti­mo in fondo a sinistra del pri­mo piano: scrivania, divano, poltrone, computer, fax, televi­sore al plasma, uno schermo collegato con tutte le telecame­re puntate sui campi d’allena­mento, ampio bagno con doc­cia e una seconda stanza più ri­servata. C’è pure la macchina del caffè e una larga veranda con il pavimento in legno. «Vi­sto? – fa lui – A Milanello ave­vo una sgabuzzino grande così con la tv e gli armadietti». Car­letto sghignazza soddisfatto ar­meggiando con due minuscoli cacciaviti colorati: «Qui è tutto perfetto. Mi serviva qualcosa per stringere la montatura de­gli occhiali e mi hanno subito fatto trovare il necessario». Cobham, Inghilterra. Altro club, altro verde di campagna, anche se il passato non si scor­da. «Mi sento spesso con Gallia­ni e con Leonardo. Con Berlu­sconi invece non ho più avuto contatti. Sono contento che il Milan si sia ripreso: ora con questo modulo più offensivo ri­schia qualcosa ma in contropie­de può creare problemi agli av­versari. Questo comunque è un modo di giocare che va testato di fronte a formazioni smalizia­te tatticamente, capaci di muo­versi in maniera collettiva. Il Re­al? Non è ancora una squadra». Il filo dei ricordi corre da Mila­nello al Surrey ma «the mana­ger » garantisce di non avere «al­cuna nostalgia». «Io per tre an­ni voglio restare qui e poi mi piacerebbe andare avanti. Via dal Milan non potevo trovare di meglio». Non ha tutti i torti, Carletto. In effetti la casa del Chelsea è frequentata da eccellenze. Esempio: l’addetto alla sicurez­za della prima squadra si chia­ma Brian, ha una cicatrice sulla guancia, e lavorava per i servizi segreti britannici. Parla spagno­lo perché per due anni è stato al fianco delle autorità colom­biane nella lotta al narcotraffi­co. «Ho combattuto Escobar – gonfia il petto – e qualche cri­minale l’ho ammazzato pure io». Ora, più modestamente, de­ve sovraintendere alla tranquil­lità di Lampard e Drogba. Per lui Ancelotti è già un mito: «Ho lavorato con cinque manager: Mourinho, Grant, Scolari, Hid­dink e Carlo (testuale). Il mi­gliore di tutti è lui». Forse Brian è un po’ ruffiano ma Carletto nostro ci sa fare. Agli inglesi ama raccontare la storia a modo suo: «Siete fortu­nati visto che Giulio Cesare si è fermato a metà. Altrimenti par­lavate tutti in italiano». Loro, gli inglesi – i medici, gli impie­gati, i magazzinieri, insomma il personale – ridono e ride an­che Ray Wilkins, il suo vice che ha giocato nel Milan prima di lui e che conserva inaspettate reminiscenze della nostra lin­gua. Carlo è fortunato perché pure Gary Staker, il team mana­ger, se la cava bene con l’italia­no. Anzi, Gary è addirittura tifo­so milanista e ogni anno rinnova la quota di iscrizione al Mi­lan club di Trieste, la città in cui è nata sua madre. Lontano da occhi indiscreti loro due, «the manager» e Gary, seguono trepidanti le partite di Ronal­dinho & C.. Enclave rossonera al Chelsea. Nella sua nuova dimensione made in England Ancelotti pranza al self service di Cobham, mescolato alle giova­ni speranze dell’Academy, l’ac­cademia del settore giovanile, e si diverte a prendere in giro Mi­chael Ballack che possiede la bellezza di sei Ferrari. «Which Ferrari today, Michael?», con quale Ferrari sei venuto oggi, Michael? «Questo Ballack è un po’ fuori di testa – fa Carletto ”. Un giorno mi ha raccontato che al suo matrimonio c’era an­che Elton John. E io: addirittu­ra, è un tuo amico? No, l’ho in­gaggiato io. Capito? Ha pagato Elton John per suonare al suo matrimonio...». Le giornate inglesi dell’ex al­lenatore del Milan incomincia­no presto, alle 9 («Avessi sapu­to che erano così lunghe, mi sa­rei fatto dare qualche cosa di più nel contratto») e finiscono al calar del sole dopo l’allena­mento e tra una riunione e l’al­tra («Qui c’è più lavoro di uffi­cio »). Resta (colpa di Giulio Ce­sare) la maledetta complicazio­ne della lingua ma «adesso capi­sco praticamente tutto. Fatico se qualcuno parla stretto ma le conferenze stampa me le gesti­sco ormai da solo». Però vuoi mettere l’assenza di stress? «Qui si sta bene perché non c’è pressione» e difatti la vigilia di Chelsea-Manchester United, che sarebbe come dire il nostro Inter-Juve, è caratterizzata dai giochini impossibili di Bruno De Michelis, il motivatore arri­vato con lui da Milanello, e dal­le freddure surreali di Carlo: «Li guidava Annibale... I camion» oppure «Faceva peso al guerrie­ro... Il brasato». E il fatto che al­l’antico guerriero facesse peso il brasato e non la corazza, sca­tena l’ilarità di Carletto. La Londra, quella vera, resta invece un miraggio. C’è una so­lida realtà fatta di ristoranti ita­liani «ma Piccadilly l’ho visto solo passando in macchina. Adesso però la prima cosa che voglio vedere è il cambio della guardia». Come quello tra lui e Leonardo a Milanello.