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 2009  novembre 07 Sabato calendario

NEW YORK – 8,7

milioni di po­sti di lavoro persi dall’inizio della cri­si e la disoccupazione che ad otto­bre ha superato per la prima volta dall’inizio degli anni ’80 la soglia del 10 per cento. I dati di ieri sul merca­to del lavoro sono un’altra doccia fredda per il governo. Ad allarmare non è tanto il numero dei posti di lavoro persi ad ottobre (190 mila, 15 mila più di quelli previsti dagli eco­nomisti: male ma era andata peggio a settembre) quanto la distribuzio­ne di questo ulteriore arretramento: i settori più colpiti sono quello delle costruzioni (proprio quando il mer­cato immobiliare offre i primi segni di ripresa) e l’industria manifatturiera che, pure, è in lenta risalita, grazie anche al dollaro debole che rende più facile espor­tare. Il terzo settore che perde posti è quello della distribuzione commercia­le. Allarme anche qui. I ne­gozianti non si fanno troppe illusioni sulla «sta­gione dello shopping»: quella delle feste di fine anno, Thanksgiving e poi Natale.

Per questo Obama non ha perso tempo ed ha su­bito reso operativo con la sua firma il provvedimen­to appena approvato dal Congresso che estende di altre 20 settimane i sussi­di di disoccupazione cor­risposti a chi è rimasto senza lavo­ro, proroga fino al giugno 2010 l’in­centivo di 8.000 dollari alle famiglie che acquistano una casa per la pri­ma volta e aumenta gli sgravi fiscali a favore delle piccole imprese. Misu­re votate con un raro consenso bi­partisan ma di impatto limitato. Per questo Obama ha messo i suoi esper­ti economici al lavoro per studiare misure aggiuntive, a partire dal so­stegno all’export delle imprese Usa.

Alcuni analisti sostengono che la situazione sia meno brutta di quello che appare: l’economia Usa, che nel­l’inverno 2008-2009 aveva bruciato posti alla media di 645 mila la mese, nel periodo maggio-luglio ha ridot­to la perdita media a 357 mila posti, mentre la media dell’ultimo trime­stre è ulteriormente scesa a meno 188 mila. Se il Pil americano, che nel terzo trimestre è salito del 3,5%, con­tinuerà a crescere, in primavera an­che l’occupazione potrebbe final­mente mostrare il segno «più».

Un ottimismo che pochi condivi­dono con la disoccupazione ormai al 10,2% e destinata a crescere anco­ra. Gli economisti della sinistra libe­ral, come Paul Krugman, invitano il presidente a rischiare usando in mi­sura maggiore la leva dell’interven­to pubblico, se vuole davvero dare una spinta all’economia.

Obama sa che sta già rischiando molto sul fronte della finanza pub­blica, col deficit federale schizzato al 10 per cento del Pil nel 2009 e desti­nato a restare a questi livelli anche nel 2010. Non vorrebbe, quindi, va­rare un’altra maximanovra di stimo­li all’economia, anche per non espor­si all’accusa di allargare troppo il pe­rimetro dell’intervento dello Stato in economia. Tanto più che i nuovi sussidi appena votati portano l’assi­stenza ai disoccupati a 99 settimane, quasi due anni: numeri da welfare europeo, mai sperimentati negli Usa. Dove anche l’efficiente modello del «welfare to work» introdotto ne­gli anni della presidenza Clinton, sta svanendo sotto i colpi della crisi.

Insomma, l’idea di varare un’altra maximanovra non entusiasma un Obama che proprio sulla gestione della crisi è sotto l’attacco dei repub­blicani, resi baldanzosi dai successi elettorali di martedì scorso. Ma c’è chi, nello stesso team della Casa Bianca, teme che una seconda, mas­siccia iniezione di risorse pubbliche nell’economia possa diventare inevi­tabile se davvero il picco massimo dell’impatto della legge di stimoli fi­scali (i 787 miliardi di dollari messi in campo da Obama poco dopo il suo insediamento) dovesse rivelarsi già alle nostre spalle.

Il direttore del bilancio, Peter Ors­zag, ha spiegato l’altro giorno che siamo a metà del percorso che un’ economia deve compiere per passa­re dalla fine di una recessione alla ri­presa delle assunzioni: prima – ha detto – deve esserci una ripresa del­la produttività, poi un incremento delle ore lavorate dai dipendenti. So­lo alla fine di questo processo il ser­batoio dei disoccupati comincerà a sgonfiarsi. I dati di ieri ci dicono che, mentre la produttività sta già crescendo da sei mesi, la media del­le ore settimanali lavorate ha smes­so di diminuire, ma non è ancora in ripresa: si è stabilizzata a quota 33, un livello ancora troppo basso.

Insomma, ci sarà da soffrire an­cora per diversi mesi. Senza nascon­dersi il rischio che, col progressivo ridursi dell’effetto del pacchetto di stimoli all’economia e la fine dell’ef­fetto della ricostruzione delle scor­te da parte delle aziende, la prossi­ma primavera potrebbe diventare anziché la stagione del decollo del reddito e dell’occupazione, quella di un nuovo ripiegamento. Il fanta­sma della «W» evocato dai più pes­simisti.

Massimo Gaggi