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 2009  novembre 07 Sabato calendario

Gli stadi (vecchi) che il calcio non vuole più - « indiscutibile che gli stadi italiani siano i peggiori d’Europa e non c’è biso­gno di frequentare quelli di Champions League per capirlo

Gli stadi (vecchi) che il calcio non vuole più - « indiscutibile che gli stadi italiani siano i peggiori d’Europa e non c’è biso­gno di frequentare quelli di Champions League per capirlo. Basta guardare agli impianti di Inghilterra, Germania o Spa­gna per rendersi conto quanto siamo lontani da una realtà appena discreta. I nostri sono stadi scomodissimi e obso­leti ». Sono parole di Sergio Campana, avvocato e presidente dell’Assocalciato­ri e riassumono l’anomalia italiana. Pri­mo punto: nessun club di serie A e B è proprietario dello stadio dove gioca. Se­condo punto: nessuna società ha sfrut­tato le possibilità offerte dall’organizza­zione di Italia ”90, a parte Roma (Olimpi­co rifatto) e Milano (terzo anello a San Siro), con due impianti che sono consi­derati di alto livello da parte della Feder­calcio europea e dove si sono giocate due finali di Champions League. In qualche caso, come a Bari, è stato co­struito uno stadio bello, ma poco fun­zionale, soprattutto in rapporto alla ca­pienza (60 mila spettatori). Terzo pun­to: non ci si è resi conto per tempo che la tv stava svuotando gli stadi: i primi segnali erano già apparsi chiari negli an­ni Novanta; l’introduzione del digitale terrestre (gennaio 2005) ha completato l’allontanamento della gente dal calcio visto dal vivo, trasformandolo in uno spettacolo da consumare in salotto da­vanti al televisore. Adesso il calcio italiano sta cercando di riguadagnare il tempo perduto nei confronti degli altri Paesi europei. In un clima di incertezza assoluta, è inizia­ta la corsa all’ideazione di nuovi stadi o alla ristrutturazione di quelli vecchi. In verità, soltanto la Juve si è mossa con determinazione e con un progetto chia­ro che fra 600 giorni le consentirà di inaugurare il vecchio stadio delle Alpi, completamente rifatto e di proprietà. Il disegno di legge Crimi è il prodotto di un’intesa trasversale fra maggioranza e opposizione: è stato approvato all’una­nimità dalla Commissione Cultura del Senato, dopo un lungo lavoro di emen­damenti e salterà il passaggio in Aula. Ora passa alla Camera, ma con profon­de modifiche rispetto al momento della presentazione. Nei giorni scorsi il sotto­segretario ai Beni culturali, Francesco Giro, aveva pubblicamente spiegato le perplessità del proprio dicastero: «Sia­mo di fronte a provvedimenti di legge che permettono una nuova impiantisti­ca sportiva, ma anche dell’altro. Biso­gna essere persone serie e pensare a proteggere il nostro patrimonio artisti­co. L’accordo di programma permette­rà ai Comuni di andare in deroga, cioè di operare varianti al piano regolatore. Si potranno realizzare non soltanto gli stadi, ma anche appartamenti e palazzi­ne in terreni al momento considerati inedificabili. Per questo occorre caute­la. Capisco la fretta delle società calcisti­che, ma qui si sta parlando di altro. Dobbiamo essere rigorosi, seri e re­sponsabili ». Il disegno di legge non ha convinto tutti, anche all’interno del mondo sportivo, ai massimi livelli isti­tuzionali. Juventus a parte, il quadro (modifica­bile) è questo. Il Milan è deciso a resta­re a San Siro, dopo ristrutturazione tota­le: 75 skybox sul primo anello, un ulte­riore anello intermedio, per far spazio a nuove soluzioni commerciali (negozi e ristoranti), uno spazio adiacente allo stadio per lo shopping. La scelta nasce dalla considerazione che San Siro ri­strutturato ha le stesse potenzialità di uno stadio moderno. Il presidente del­­l’Inter, Massimo Moratti, ha costituito una commissione di esperti, per essere pronto a realizzare un nuovo stadio nel caso in cui la legge dovesse rendere vantaggiosa la costruzione di un nuovo impianto (il progetto c’è già e da tem­po). Ma anche Moratti non è del tutto convinto della necessità di lasciare San Siro, unico impianto, con l’Olimpico di Roma e il San Nicola di Bari, in grado di ospitare un (eventuale) Europeo. Il caso più controverso è quello di Roma, dove i due club vogliono abban­donare l’Olimpico. A settembre, la Ro­ma ha presentato un progetto per il nuovo stadio, intitolato a Franco Sensi, che dovrebbe sorgere in zona Massimi­na, lungo l’Aurelia. La struttura, ideata dall’architetto Gino Zavanella, dovreb­be ospitare 55-60 mila spettatori; gli ap­partamenti e il centro commerciale più grande d’Europa devono avere tutte le autorizzazioni urbanistiche e non sarà facile. tutto da verificare il progetto dello stadio della Lazio, che dovrebbe sorgere in zona Tiberina, esposta al ri­schio di esondazioni. Il progetto di Al­fonso Mercurio prevede la realizzazio­ne di una cittadella dello sport, con ca­se, hotel, shopping center: 2 milioni di metri cubi impegnati. Il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, ha spiegato che «non avere uno stadio è come avere una società senza gli uffici». Da sette mesi gli archi­tetti scelti dal presidente stanno stu­diando come rifare totalmente il San Pa­olo. Ma il primo progetto di un nuovo im­pianto è della Fiorentina. da più di un anno che Diego Della Valle ha illustrato le caratteristiche della cittadella viola: stadio da 40-50 mila posti, centro com­merciale, hotel, parco a tema calcistico. Lo stadio è destinato a sorgere nell’area Castello, ancora sotto sequestro da par­te della magistratura. Giovedì il vertice fra le istituzioni, il Bologna e la Federcalcio sul nuovo sta­dio è finito con una bocciatura del pro­getto del nuovo impianto, perché rite­nuto «non conforme agli interessi pub­blici». A Genova, invece, non c’è chiarezza sull’area sulla quale dovrebbe sorgere il nuovo stadio. In questo clima di incertezza, si è fat­to strada un equivoco, che nessuno sembra in grado di cancellare: secondo questa tesi, rifatti gli stadi, sarebbe au­tomatica l’assegnazione all’Italia, che ha già perso l’edizione 2012, dell’Euro­peo 2016. Niente di più sbagliato, per­ché stadi funzionali sono la condizione necessaria, ma tutt’altro che sufficiente per aggiudicarsi la manifestazione (la prima edizione a 24 squadre). C’è tem­po fino al 15 febbraio 2010 per ufficia­lizzare la candidatura, ma la concorren­za è fortissima: Francia, Turchia, Norve­gia- Svezia. Occorre un impegno diretto del governo e soprattutto la certezza che verranno rispettati i tempi di co­struzione dei nuovi stadi. Niente di più difficile, in Italia, come si è visto anche per il Mondiale ”90.