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 2009  novembre 07 Sabato calendario

Il professore che dava colore alla libertà -  troppo caldo», confessa il professore, non trovando parole più adeguate e solenni per congedarsi dai suoi alunni

Il professore che dava colore alla libertà -  troppo caldo», confessa il professore, non trovando parole più adeguate e solenni per congedarsi dai suoi alunni. Siamo a Roma, ed è il 4 luglio del 1914: manca ormai meno di un anno alla Grande Guerra e alla fine irrimediabile di un intero mondo (tutto ciò che Benedetto Croce intendeva per «Vecchia Italia»). Il testo che si conclude con questa (molto verosimile) testimonianza del clima soffocante di Roma all’inizio dell’estate, si intitola Breve ma veridica storia della pittura italiana. Diviso in due sezioni, una di Idee generali seguita da una di Storia, non è un lavoro destinato alla pubblicazione, ma una dispensa, una sorta di Bignami ad uso degli studenti di due blasonati licei romani, il Tasso e il Visconti, da impiegare per gli esami ormai imminenti. Il professore si chiama Roberto Longhi, e a pronunciare questo nome la storia si carica di un certo tasso d’eccezionalità: ma solo col senno di poi. Perché Longhi, nell’anno scolastico 1913-14, ha appena ventiquattro anni, ed è di poco più vecchio dei suoi stessi alunni. Con una serie di saggi sorprendenti e innovativi, ha appena posto le fondamenta della sua straordinaria carriera di critico d’arte; ma di certo non è ancora il mostro sacro che abbiamo imparato a venerare. Tra i banchi, c’è anche un’allieva del tutto speciale, Anna Banti, che diventerà sua moglie e lo ricorda «bruno, pallido», mentre guarda la classe con una specie di «ostentata miopia» che i ragazzi, sulle prime, scambiano per l’indizio di un carattere altero ed ironico. Ma si tratta soltanto, ricorda la Banti, di una «timidezza» più che naturale per un professore così giovane. La timidezza, d’altra parte, può andare a braccetto con le ambizioni più lungimiranti. Cosa si può insegnare a dei ragazzi del liceo, avendo a disposizione una quarantina d’ore di lezione e la possibilità, vivendo a Roma, di visitare musei, gallerie, chiese stipate di capolavori? A saperle sfruttare, sono condizioni più che sufficienti a fare qualcosa di utile. Come un seme di libertà e consapevolezza piantato nel futuro di quei ragazzi. Ed ecco che questa Breve storia, molto studiata come importante premessa del pensiero maturo di Longhi, ci rivela un prezioso frammento della storia della scuola italiana, così lontano dall’attuale decadenza da sembrare quasi inventato. C’è subito da dire che il professor Longhi non fa sconti. In ogni conoscenza che vale davvero la pena di assimilare, è implicito un certo grado di complessità e fatica. A partire da una fondamentale distinzione tra l’arte e la letteratura (o se si vuole tra l’immagine e la parola) che varrà la pena di memorizzare ancor prima di saper distinguere stili, scuole, capofila e imitatori. «Mentre il poeta trasfigura per via di linguaggio l’essenza psicologica della realtà, il pittore ne trasfigura l’essenza visiva: il sentire per l’artista visivo non è altro che il vedere…». Ne deriva una conseguenza capitale, che se non si è imparata a scuola, si rischia di trascurare per il resto della vita: solo marginalmente l’arte è illustrazione di qualche concetto, religioso o storico o filosofico. La cosa meno interessante di un quadro, da questo punto di vista, è il suo soggetto. Noi godiamo delle linee, e dei colori, e nei casi più eccelsi dei loro tentativi di sintesi, indipendentemente dal fatto che osserviamo una scena pagana o cristiana, la fisionomia di un santo o di un grande peccatore. Quante inutili mostre «a tema» ci si potrebbe risparmiare, tenendosi stretti a questa rigorosa fede filosofica nell’autonomia del fatto artistico, della sua storia, delle sue regole! Linee e colori, dunque, e sintesi prospettiche. Ma siamo proprio sicuri che questo intransigente formalismo ci conduca necessariamente lontani dalla Realtà e della Storia? In realtà, nella scrittura di Longhi si annida un fecondo paradosso, inutilmente inseguito dagli imitatori: più parla di pittura, con la sua mirabile capacità di creare un equivalente verbale del fatto visivo, più al lettore si rivela l’incredibile ricchezza del paesaggio italiano, con tutte le sue gradazioni di luce, le sue dolcezze e le sue asperità, i suoi miracolosi e imprevedibili equilibri tra l’opera dell’uomo e i ritmi delle stagioni. Con un’intuizione geniale e fulminante, il grande critico ci ha insegnato che la storia dell’arte, forse ancor più del pensiero politico e della storiografia, può essere una via d’accesso privilegiata al cuore stesso dell’identità italiana. E chi identifica con l’inutile o col superfluo il godimento estetico, dovrebbe fermarsi a riflettere sul nostro stare al mondo, afflitti dalla cecità indotta dalle abitudini, dalla fretta, da uno stato di perenne distrazione. Perché abbiamo un bel convincerci «per via filosofica» dell’esistenza del mondo. Magari potesse bastare! Intorno a noi, esiste pur sempre una realtà visiva, fatta di volumi, linee prospettiche, chiaroscuri, che la «ruggine» della vita quotidiana ricopre di una patina uniforme, fino a renderla invisibile. Ed ecco che lo stile figurativo dei grandi artisti rieduca la nostra capacità di percezione, regalandoci, oltre a quella filosofica, la «convinzione plastica» del nostro esistere, e riscattandoci dal «caos accasciante mutevole doloroso del mondo». Con questa bussola, ci si potrà addentrare nelle vicende storiche dell’arte italiana, dai mosaici tardo-antichi delle chiese di Roma e Ravenna fino… a Cézanne. Già, perché un’altra cosa che Longhi non smette di insegnare ai suoi allievi, è che l’arte italiana, è un’arte in massima parte avvenuta in Italia, e priva di connotazioni etniche o nazionalistiche. Mentre Longhi tiene le sue lezioni di liceo, sono ancora vivi Renoir e Degas. E sono i grandi maestri francesi che, in quel momento, sembrano aver raccolto l’eredità di Paolo Uccello, Antonello da Messina, Piero della Francesca. Agli occhi di un burocrate del ministero, questa sarebbe solo l’ultima delle eresie didattiche che punteggiano la Breve storia. Eppure, chi volesse davvero arrestare la decadenza della scuola italiana, è proprio da tali esempi di libertà e passione che dovrebbe prendere l’esempio e il coraggio necessario.