A. Pal., il manifesto 06/11/2009 (forse Andrea Palladino?), 6 novembre 2009
L’ACQUA CHE SCOTTA
C’è una questione semplice - ma con un valore culturale immenso - dietro il decreto legge approvato in Senato e che presto arriverà alla Camera. E’ possibile oppure no generare profitto utilizzando il bene acqua? Non si tratta solo di capire se il servizio idrico è essenziale, perché su questo sono tutti d’accordo. E’ così importante da diventare la frontiera più estrema della speculazione finanziaria, ben oltre i fondi sulle commodities. La questione della gestione delle risorse idriche è il vero punto focale oggi, forse più della proprietà delle reti.
Quello che il governo - e parte del Pd - vuole, è dare in mano alle società per azioni, nazionali o multinazionali, questo in realtà poco importa, la gestione e quindi lo sfruttamento economico della risorsa acqua. E’ una questione che ritorna regolarmente sul tavolo della politica dai primi anni novanta in poi, da quando il governo di Giuliano Amato si lanciò sulla strada delle privatizzazioni. Il governo di Silvio Berlusconi tenta oggi di accelerare la stretta privatizzatrice, a colpi di decreto. Potrebbe essere il colpo finale. I comuni proprietari in tutto o in parte del capitale delle società di gestione dovranno vendere le loro azioni in borsa sacrificando gran parte dell’investimento. I soldi ricavati finiranno di nuovo in speculazioni finanziarie; questo almeno è l’intento della finanza internazionale: mettere le mani sull’acqua e nello stesso tempo sui comuni e sulla loro libertà.
La prima tappa è stata l’approvazione dell’articolo 23 bis del decreto Tremonti, lo scorso anno; poi nei giorni scorsi l’articolo 15 del disegno di legge 135 ha completato, almeno per ora, l’opera. L’articolo in sostanza affida la gestione dei «servizi pubblici locali di rilevanza economica» al mercato, pur mantenendo la proprietà pubblica delle reti. Il problema nasce dal fatto che per il governo anche l’acqua ha una «rilevanza economica».
Questa definizione - che implica di conseguenza l’applicazione delle regole della concorrenza e del libero mercato - è stata ben capita negli ultimi quattro anni dalle centinaia di comitati per l’acqua pubblica. E una resistenza silenziosa è nata in tantissime città, dove alcuni consigli comunali hanno inserito negli statuti la dichiarazione che l’acqua non può avere quella «rilevanza economica» che il governo vuole dare per decreto. Una risposta che è nata proprio in quelle città dove l’impatto dei gestori privati o pubblico-privati - come Acqualatina o Acea - ha fatto capire cosa significa la gestione speculativa dell’acqua. Un movimento, questo, che pochissimi giorni fa è stato abbracciato anche dal presidente della giunta regionale della Puglia Nichi Vendola. Con una delibera del 20 ottobre scorso la giunta pugliese ha stabilito due principi fondamentali: l’Acquedotto pugliese dovrà lasciare la forma di società per azioni diventando una azienda di diritto pubblico e dovrà essere preparata una legge regionale dove l’acqua verrà dichiarata un bene comune, senza rilevanza economica.
Il conflitto politico - e costituzionale, visto che si parla di competenze di stato e di regione - si è dunque aperto. Dalla Puglia Nichi Vendola fa sapere con chiarezza che questo punto sarà - come nel 2005 - la bandiera più importante della sua campagna elettorale. Lo scontro sull’acqua non sarà semplice e non avrà come controparte solo il governo e il centrodestra. Subito dopo la votazione della delibera della Regione Puglia per la ripubblicizzazione dell’acquedotto pugliese la componente del Pd che fa riferimento a Massimo D’Alema ha precisato che non è questa la posizione che sosterranno.
Anche l’altro ieri in Senato buona parte del partito democratico ha sostanzialmente accettato l’idea della gestione privata, nascondendosi dietro il principio della proprietà pubblica delle reti.
La risposta all’approvazione dell’articolo 15 da parte del Forum dei movimenti per l’acqua è arrivata più dura che mai. «Se la Camera dei Deputati - scrive il Forum - non ribalterà il misfatto del Senato, davanti agli occhi attenti del Paese si sarà celebrata la delegittimazione delle Istituzioni». Non è in gioco solo la gestione delle risorse idriche, ma, secondo il Forum, la stessa democrazia locale. Secondo diversi giuristi, infatti, la decisione sulla rilevanza economica di un servizio locale spetta costituzionalmente solo ed esclusivamente ai consigli comunali.
Lo scorso marzo la stessa Corte dei Conti della Lombardia, interpellata da alcuni comuni, ha riaffermato la validità di questo principio, rimandando alle autonomie la scelta sulle modalità di gestione del servizio idrico.
La risposta alle scelte del governo verrà prima di tutto dalle quotidiane battaglie per i diritti che le centinaia di comitati in tutta Italia hanno avviato da almeno quattro anni. Nelle due province dove la privatizzazione arrivò per prima - Arezzo e Latina - hanno già sperimentato direttamente l’impatto della gestione privata: tariffe che aumentano anche del 300% e una qualità dell’acqua che diventa insostenibile. La sfida in realtà è già partita da diverso tempo. A Torino a breve il consiglio comunale dovrà discutere la proposta d’iniziativa popolare per la dichiarazione dell’acqua come «bene senza rilevanza economica». Sarà il terreno per un confronto anche all’interno della sinistra, per capire che direzione prenderà il partito democratico guidato da Pierluigi Bersani.