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 2009  novembre 07 Sabato calendario

PADRI&FIGLI: IL LAVORO FLESSIBILE (DA INVENTARE). NON SOLO PER LE DONNE Accompagnarli a scuola? Sa­rebbe bello se la riunione non cominciasse alle otto e mezza

PADRI&FIGLI: IL LAVORO FLESSIBILE (DA INVENTARE). NON SOLO PER LE DONNE Accompagnarli a scuola? Sa­rebbe bello se la riunione non cominciasse alle otto e mezza. Andare a vedere gli allenamenti di calcio o ascoltare i primi «Do» della lezione di pianoforte? Ma è vietato lasciare l’uffi­cio a metà pomeriggio. Almeno la sera si potrebbe giocare un po’ prima di ce­na? Impossibile se fino alle otto si resta chiusi in sala riunioni per il punto della giornata. Padri e figli, scene quotidiane di inconciliabili­tà tra i ritmi di la­voro e quelli di una famiglia. Tut­to normale, o quasi. Perché adesso gli uomi­ni hanno voglia di cambiare e tra­scorrere più tem­po con i propri bambini. Lo affer­ma uno studio britannico realiz­zato dalla Equali­ty and Human Ri­ghts Commis­sion: il 54 per cento dei neopa­pà si dice insod­disfatto in quan­to non riesce a ve­dere abbastanza i figli e, in genera­le, il 62 per cento degli uomini sarebbe disposto a ridur­re l’orario d’ufficio per dedicarsi a loro. I papà in carriera si scoprono più scon­tenti delle mamme: solo il 46 per cento è convinto di trascorrere al lavoro un numero accettabile di ore, contro il 61 per cento delle donne. «In effetti fare i conti con i sensi di colpa sembra il destino di noi papà: nei confronti dei figli se passiamo poco tempo con loro; nei confronti del lavo­ro se chiediamo un po’ di flessibilità», confessa Mattia Cavanna, direttore Energia e Global Service di Finmeccani­ca. Trentotto anni e due bimbi, Tobia di cinque e Anita di uno e mezzo: «Sto in ufficio dalle 8 e mezzo di mattina alle 7 e mezzo di sera. Però un pomeriggio ho deciso di andarmene alle 5 per accom­pagnare il maschio alla scuola calcio, e qualche venerdì cerco di organizzare gi­te fuoriporta. Poi, durante i weekend, io i bambini non li mollo nemmeno un secondo». Ma è così complicato per gli uomini concedersi il tempo per fare la propria parte in famiglia? «In Italia l’effi­cienza è sinonimo di resistenza alla scri­vania, mentre io sono convinto che i manager lavorerebbero con più slancio e creatività se rimanessero in ufficio al­meno il 10, 15 per cento in meno». Una cosa è certa, l’immagine della pa­ternità sta cambiando. «Da almeno un quindicennio è in atto un mutamento culturale – afferma la sociologa Chiara Saraceno ”. Gli uomini hanno capito che cosa si perdono nel delegare l’edu­cazione dei figli alle donne. Sono so­prattutto i giovani a rendersi conto che per essere un buon papà non basta esse­re un buon lavoratore: creare un rappor­to quotidiano con i bambini è il modo migliore per costruire un legame pro­fondo quando saranno adulti». Ma co­me spesso capita, gli uomini predicano bene e razzolano piuttosto male: «Quel­lo che i papà fanno fatica a capire – continua Saraceno – è che dedicarsi al­la famiglia significa condividere i lavori e gli impegni di casa, dalla spesa al me­dico: sono sempre le donne a sobbarcar­seli, anche se lavoratrici. Il vero genito­re alla pari non si può limitare ai compi­ti piacevoli come fare il bagnetto al bambino...». Se un cambiamento è in atto, i suoi effetti sul mondo del lavoro si vedono ancora poco. I papà che escono allo sco­perto chiedendo all’azienda maggior flessibilità sono un’esigua minoranza, piuttosto rinunciano al tempo libero: «La ragione è che siamo prigionieri del­lo stereotipo secondo il quale solo le donne devono sacrificare la carriera – spiega Maria Cristina Bombelli, docen­te di Comportamento Organizzativo al­l’Università Bicocca di Milano ”. Per gli uomini diminuire i ritmi è sinoni­mo di scarso attaccamento al lavoro e di disinteresse verso i ruoli importan­ti ». Una buona parte della colpa è dei datori di lavoro: «La tecnologia e i mo­delli produttivi ci permetterebbero ec­come di dedicarci maggiormente alla nostra vita privata – dice il sociologo del lavoro Domenico De Masi ”. Il pro­blema è che non riusciamo a liberarci da un’idea del lavoro tanto inattuale quanto punitiva, dove la professionali­tà viene misurata sul metro della pre­senza in ufficio». Non mancano però aziende contro­corrente. I dipendenti di Microsoft Ita­lia, dalla ragazza della reception all’am­ministratore delegato, hanno un tetto di ore in cui possono decidere di lavora­re da casa. Non solo, il gruppo ha avvia­to degli esperimenti di «flextime» che permettono di spostare l’orario di in­gresso per recuperarlo in serata: «Sono tutti strumenti pensati per venire in­contro anche alle esigenze degli uomi­ni – spiega Luca Valeri, direttore Risor­se Umane di Microsoft ”: essere in con­dizione di far fronte alle proprie respon­sabilità familiari aiuta senz’altro a lavo­rare meglio e, soprattutto, con maggio­re serenità». Alessandro Mondini Branzi, 42 anni, ad della Nokia Italia, si dichiara «felice­mente schiavo» del suo Paolo, 4 anni e mezzo. «Ho lavorato molto all’estero, ma da quando c’è lui per me sarebbe impensabile starmene a tremila chilo­metri da casa». Certo, racconta, dirige­re una multinazionale non è semplice, però non è nemmeno impossibile esse­re protagonisti anche in famiglia: «Rie­sco a portare il bimbo a scuola e cerco di essere sempre disponibile». E in ca­sa? «Adoro cucinare per Paolo e mia moglie. Naturalmente faccio io la spe­sa » .