Davide Frattini, Corriere della Sera 7/11/2009, 7 novembre 2009
VILLE, PASSAPORTI, AUTOMOBILI: L’AFGHANISTAN DELLE MAZZETTE
La corruzione che Hamid Karzai dovrebbe sradicare cresce come una villa di quattro piani, intonaco rosso e colonnine bianche neoclassiche. Appartiene al nipote di Yunus Qanuni, il presidente del parlamento, ed è in affitto per 12 mila dollari al mese. Altrettanti per il castelletto con piscina, che sta dietro l’angolo. Qui vicino ha costruito anche Mohammad Ayub Salangi, ex capo della polizia di Kabul e Kandahar: 11 mila dollari al mese per ornamenti greci e una fontana nel parco.
L’umorismo amaro degli afghani ha storpiato il nome di questo quartiere. Sherpur è diventato Sher-Chur, leoni da saccheggio. I leoni si sono spartiti a prezzi stracciati la terra demaniale, dove sorgeva una vecchia base militare dei tempi della seconda guerra contro i britannici. Nel 2003, Mohammad Qasim Fahim, allora ministro della Difesa, adesso neo-vicepresidente, ha distribuito i lotti tra colleghi di governo e amici potenti (tra loro il governatore della Banca centrale). «Quelle ville pacchiane rappresentano la narco-mafia che ha preso il controllo. L’altra faccia del problema è che molte sono affittate a stranieri», dice Ramazan Bashardost, il politico asceta delle ultime elezioni.
Dalla sua tenda impolverata, presidio permanente davanti al parlamento, ha condotto una campagna che alla fine ha conquistato non solo gli azara come lui. arrivato terzo con lo slogan: fermiamo la corruzione. «Nel 2004, da ministro della Pianificazione, volevo ripulire il mercato delle organizzazioni non governative. Su oltre 2300, ne ho identificate 1935, di cui il 98% afghane, che mungevano i fondi, usati per macchine di lusso, guardie del corpo, salari dati ai parenti. Quando ho cercato di dichiararle illegali, il governo e Karzai mi hanno lasciato solo. Mi sono dimesso».
Ad Ahmed hanno rubato la macchina un mese fa. Difficile non è stato ritrovarla, ma ottenerla indietro dalla polizia. «Ci sono voluti 25 giorni e 600 dollari». Elenca la lista della spesa: 60 dollari a un agente, 10 a un impiegato, 300 al magistrato... Gli afghani ormai sono costretti a pagare per tutto. Il listino può variare, se il cliente è ricco: 100 dollari per avere il passaporto, 160 per intascare la patente senza dover fare l’esame, 6.000 per entrare all’università di Kabul, stessa cifra per muovere un camion attraverso il Paese (così la polizia non avvisa i talebani), 60.000 per evitare una condanna a morte. Al ministero degli Interni, avrebbero diviso le 34 province in tre aree, da A a C. Al primo posto, le zone dove i trafficanti di droga offrono ricompense più alte: ottenere là un posto da capo della polizia può costare anche 300 mila dollari, il ritorno sull’investimento è garantito.
«Per immatricolare l’auto erano necessari 51 passaggi burocratici. Ogni volta serviva una mazzetta, fino a un totale di 4-500 dollari», spiega Mohammad Yosin Usmani, che dirige la nuova unità anti-corruzione. «Abbiamo semplificato la procedura a cinque tappe, i pagamenti avvengono attraverso le banche e abbiamo eliminato i contatti diretti tra i proprietari dell’auto e i funzionari pubblici». Usmani e la sua squadra dipendono direttamente da Karzai e hanno delineato una strategia per combattere la compravendita dei favori. I sei mesi che gli americani avrebbero imposto al presidente come ultimatum a loro non bastano. «Dobbiamo modificare le leggi, sono il problema più grande. Ci vuole almeno un anno».
Verso le montagne e il tramonto, Ashraf Ghani osserva la carcassa del palazzo reale Darulaman, corroso e al collasso come lo Stato che ha conosciuto negli anni da ministro delle Finanze.
«Il problema non sono le leggi, ma farle rispettare. Karzai, se è serio, deve perseguire le venti persone più sporche del Paese, tutti sanno i nomi. Non permettere che i ministri o i governatori possano accumulare 25 milioni di dollari o 75, come mi è stato raccontato da un suo consigliere. possibile vincere, perché la società è stanca, vampirizzata. Serve un’azione dall’alto».
L’Afghanistan è al 176˚ posto su 180, nella classifica dei Paesi più corrotti stilata da Transparency International , un’organizzazione tedesca. Era al 117˚ nel 2005. « anche colpa degli Occidentali – continua Ghani, ex funzionario della Banca Mondiale, che ha corso alle elezioni ”. Nel 2001 eravamo poveri, ma avevamo la nostra moralità. I miliardi di dollari che hanno inondato il Paese, a volte con pochi controlli, ci hanno tolto l’integrità, la fiducia l’uno nell’altro » .
Gli studenti di Francis Patrick Davis sono magistrati di mezz’età. Ridono alle battute dell’irlandese, vestito come un barrister , quando prova a spiegare il conflitto di interessi, che da queste parti è soprattutto pensare prima al clan che alla giustizia. «La corruzione è endemica – commenta Davis, a Kabul per l’Unodc, l’ufficio Onu per la lotta alla droga e alla criminalità ”. La speranza è educare le nuove generazioni, creare funzionari pubblici puliti con stipendi adeguati. Il governo deve cominciare a far processare e condannare gli impuniti. Tutti dicono che tutti i giudici sono corrotti. Io non ne ho ancora visto uno in tribunale. Da imputato».