Giuseppe Guastella, Corriere della sera 6/11/2009, 6 novembre 2009
Evasioni,violenza, malessere: è il carcere dei minorenni- Tentati suicidi e atti di autolesionismo Mancano gli agenti e gli educatori «Meno celle e più recuperi in comunità» A luglio un ragazzo si è suicidato a Bari, un mese dopo altri due hanno tentato di fare lo stesso a Milano e a Firenze
Evasioni,violenza, malessere: è il carcere dei minorenni- Tentati suicidi e atti di autolesionismo Mancano gli agenti e gli educatori «Meno celle e più recuperi in comunità» A luglio un ragazzo si è suicidato a Bari, un mese dopo altri due hanno tentato di fare lo stesso a Milano e a Firenze. Qualche tempo prima, era primavera, le carceri di Bologna, Firenze e Potenza avevano registrato sette evasioni alle quali ora si sommano i quattro fuggiti il 26 ottobre dall’istituto di Airola nel beneventano (tre riacciuffati), imitati qualche giorno dopo da tre che hanno provato a scappare dal Beccaria di Milano. Suicidi, evasioni, autolesionismo e atti di insubordinazione sono fenomeni in preoccupante aumento nelle carceri minorili italiane, favoriti dalla cronica carenza negli organici della polizia penitenziaria e degli operatori. In valore assoluto i dati relativi ai minorenni detenuti non sono paragonabili a quelli degli adulti. Solo apparentemente. A fronte di circa 64.595 adulti (al 30 settembre) pigiati nelle 217 carceri, nei 18 istituti penali per i minorenni ci sono in tutto una media di 489 detenuti, di cui solo 147 condannati a pene definitive. A prima vista sembra un divario enorme, ma non è così perché ai minori dietro le sbarre vanno aggiunti i 17.814 seguiti dagli Uffici di servizio sociale, tra cui 2.188 ragazzi ospitati in comunità (struttura chiusa e protetta), più tutti quelli più o meno assistiti dai servizi locali tra mille difficoltà di bilancio. Questo perché nella giustizia minorile italiana il principio costituzionale della riabilitazione e del reinserimento nella società di chi sbaglia è una chimera meno irraggiungibile rispetto alla giustizia per gli adulti. Di conseguenza gli 813 agenti di polizia penitenziaria (sui mille circa previsti dalla pianta organica), i 422 assistenti sociali, i 349 educatori e i 63 operatori di vigilanza partecipano costantemente a corsi di formazione organizzati dal ministero della Giustizia per dotarli degli strumenti necessari ad affrontare le problematiche minorili. Tutto sommato, la giustizia minorile, sia nella fase processuale che in quella dell’applicazione della pena, in Italia bene o male funziona. Tanto è vero che il sistema nostrano è studiato e copiato nei Paesi più evoluti e ha ottenuto l’anno scorso un importante riconoscimento dall’Onu. Un solo suicidio in un anno, pari allo 0,2 per mille dei detenuti minorenni, a fronte di 61 adulti che si sono tolti la vita, e cioè circa lo 0,009 per mille. Fortunatamente parliamo di casi, per quanto tragici, statisticamente trascurabili. Ma più che quell’unica morte, a far accendere la spia sono gli eventi di autolesionismo, di insubordinazione verso il personale e le evasioni. «Contro 43 detenuti ad Airola c’erano soltanto 5 agenti che con coraggio hanno evitato una fuga di massa», dice Eugenio Sarno, segretario Uil penitenziari, il quale sottolinea che «negli organici mancano 5 mila agenti, ma è nella giustizia minorile che il gap è più marcato. Nonostante questo, nessuno parla di uomini ma solo di carceri da costruire». Una recente ricerca nel carcere minorile Beccaria di Milano ha dimostrato che è la presenza e la vicinanza psicologica degli operatori a fare la differenza. Se il suicidio è una forma di autolesionismo pressoché sconosciuta – a Milano un solo caso in 30 anni ”, le altre manifestazioni più lievi sono tutt’altro che poco frequenti. Lo studio ha rilevato che nel 79,4% dei casi, i ragazzi si fanno male da soli se sono in gruppo e quasi sempre al sabato e alla domenica, quando cioè vogliono manifestare ai compagni il loro disagio. Solo nel 6,7% dei casi si feriscono durante le attività scolastiche e formative, quando l’attenzione degli operatori è elevata. « difficile dare una spiegazione della genesi di questi episodi. Vanno esaminati caso per caso, ma è vero che l’amministrazione soffre di una generale carenza di organici», dice Bruno Brattoli, magistrato da un anno a capo del dipartimento della Giustizia minorile del ministero, sicuro che «tutti gli operatori e i dirigenti si adoperano per far sì che i ragazzi siano osservati con attenzione e professionalità durante la loro permanenza. Una sola morte è sicuramente un fatto tristissimo, ma un’entità numerica così bassa dimostra che il lavoro degli operatori dà i suoi frutti». la solita coperta troppo corta. Si taglia un po’ qua un po’ là e alla fine non si riesce a garantire un servizio ottimale. «Le carenze negli organici – aggiunge Brattoli – si ripercuotono su tutto l’iter trattamentale con disfunzioni e anomalie. Se non riusciamo ad avere un numero sufficiente di agenti, quelli che ci sono devono fare turni più gravosi e questo ha una diretta influenza sulla qualità del servizio. un dato oggettivo e grave che crea malcontento nel personale che negli istituti per minorenni ha compiti delicati e gravosi, come dimostra il fatto che da poco il ministro Alfano ha attribuito lo status di polizia specializzata agli agenti che lavorano con i minorenni ». Brattoli si sta muovendo strategicamente: «Il dipartimento si sta impegnando al massimo nella ricerca di risorse e per garantire la migliore attuazione dei provvedimenti giudiziari intensificando i rapporti con la magistratura minorile. Tutto, ed è un punto di orgoglio, in un quadro di corrette relazioni sindacali con gli operatori e la polizia». Don Gino Rigoldi, cappellano del Beccaria dal ”72 ed educatore, è profondo conoscitore del disagio minorile: «Anche il numero degli educatori è insufficiente. Basta che uno si ammali perché i ragazzi si sentano abbandonati, compresi quelli che sembrano forti, che hanno commesso i reati più gravi, ma che in fondo hanno tutti una bassissima stima di se stessi». «Meno carcere, più comunità, più progetti educativi dentro e fuori i luoghi di detenzione», propone Laura Laera, presidente dell’Associazione dei magistrati minorili (Aimmf), che il 13 e 14 novembre affronterà a Milano anche questo tema nel suo convegno nazionale. «Si tratterà dell’importanza di accompagnare il ragazzo che delinque durante il processo penale in un percorso di responsabilizzazione anche nei confronti delle vittime nonché della necessità di coinvolgere e sostenere la famiglia e il territorio nei progetti educativi», sostiene Laera secondo la quale «bisogna rafforzare e non impoverire le risorse destinate a questo settore». I dati dimostrano che il trattamento esterno dà i suoi frutti. A Milano «su 1.634 ragazzi in carico al servizio minori del Comune dal 1992 al 2007, l’indice di chi è tornato a delinquere è sceso dal 21,54% al 3,24%». Ma non basta. «Chiedono spesso di essere aiutati, ma quando escono e tornano a casa trovano un deserto di opportunità e un fiorire di occasioni di reato», aggiunge don Rigoldi, che rivela: «Siamo al punto di chiedere ai giudici di non mandare a casa i ragazzi per evitare che tornino nei quartieri patologici».