Gherardo Milanesi, Avvenire 06/11/09, 6 novembre 2009
L’economia brasiliana balla il samba - «La crisi economica e finanziaria che ha travolto il mondo come uno tsunami – aveva detto il presidente brasiliano Luis Inacio Lula lo scorso anno – da noi si ridurrà solo a una marolinha (una piccola onda, ndr
L’economia brasiliana balla il samba - «La crisi economica e finanziaria che ha travolto il mondo come uno tsunami – aveva detto il presidente brasiliano Luis Inacio Lula lo scorso anno – da noi si ridurrà solo a una marolinha (una piccola onda, ndr.)». Per mesi la maggioranza dei brasiliani ha fatto ironia sulla teoria dellabmarolinha. Ma alla fine il presidente Lula ha avuto sostanzialmente ragione. Il Brasile ha vissuto alcuni mesi di difficoltà (caduta in picchiata della Borsa; perdita, comunque contenuta, della moneta locale, il real, di fronte a dollaro e euro; aumento, anche qui contenuto, della disoccupazione). Ma di crisi vera e propria non si è mai potuto parlare. Anche perché a partire dalla metà di quest’anno, l’economia del Paese del samba ha ripreso a danzare al ritmo della crescita. I risultati, soprattutto se confrontati con quello che sta succedendo in Europa e negli Stati Uniti, sono straordinari: la Borsa è cresciuta negli ultimi mesi del 120%, tornando ai livelli del 2008. Il real è la moneta che ha più guadagnato nel mondo rispetto al dollaro (che oggi è a quota 1,75, quando normalmente viaggia tra quota 2,20 e 3). La disoccupazione non arriva all’8%, una cifra più che ragionevole per un Paese in via di sviluppo. Al di là dei freddi numeri, esiste in tutto il Paese una sensazione di crescita e una fiducia nel futuro fino ad ora sconosciute. Meno del 5% dei consumatori pensa che le cose peggioreranno nei prossimi mesi. E il mercato del lusso, specchio della sete di ricchezza dei brasiliani, seppure di una ristretta fascia sociale, cresce del 10% l’anno. Ad aumentare il clima di euforia generale ci si è messo anche lo sport. Il Brasile non aveva ancora smesso di festeggiare l’assegnazione del Mondiale di calcio 2014, che lo scorso 2 ottobre, a Copenhagen, il Comitato Olimpico Internazionale regalava a Rio de Janeiro l’organizzazione delle Olimpiadi del 2016. Un evento per il quale governo e sponsor intendono investire oltre dieci miliardi di euro, una somma che nessuna delle altre città candidate si era sentita di garantire ai delegati del Comitato. Segno che, nonostante l’alto debito pubblico, in Brasile girano soldi, e tanti. Mondiali di calcio e Olimpiadi saranno due spinte formidabili allo sviluppo. Rio de Janeiro guadagnerà nuovi stadi, certo, ma soprattutto nuove strade e infrastrutture. «Le Olimpiadi – spiega il presidente della Banca Centrale Henrique Meirelles – avranno una ricaduta eccezionale anche sul piano sociale. L’organizzazione dei Giochi sarà un’opportunità unica per migliorare la vita di molti carioca (gli abitanti di Rio, n.d.r)». L’obiettivo finale di questa lunga fase di crescita è molto ambizioso: «Secondo uno studio del Fondo Monetario Internazionale – ha dichiarato il presidente Lula – il Brasile continuerà a crescere e nell’anno delle Olimpiadi sarà la quinta economia del mondo». Una sfida che, se vinta, farebbe entrare il gigante latinoamericano nel club dei potenti, nel G8 dal quale finora è escluso. Da grande, comunque, il Brasile già ha cominciato a comportarsi e ad agire. Per decenni è stato debitore di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale (Fmi). Oggi invece, non solo ha cancellato i propri debiti, ma è diventato Paese creditore, impegnandosi, appena pochi giorni fa, a comprare obbligazioni proprio dell’Fmi per dieci miliardi di dollari. Una mossa politica, quella operata dal ministro delle Finanze Guido Mantega, volta a dare maggior peso al Paese in sede internazionale. Ma che sarebbe impossibile se il Brasile non avesse ampie riserve valutarie e una solida economia. Sostenuta da due pilastri: grandi risorse naturali (enormi distese coltivabili, petrolio al largo delle coste) e politiche che concentrano ricerca e sviluppo su pochi, ma essenziali business, quello energetico in particolare. Il Brasile, con le sue tecnologie d’avanguardia, è infatti leader mondiale nella produzione di biocombustibili (carburanti poco inquinanti che si ottengono mischiando a benzina e diesel tradizionali grandi quantità di materie prime vegetali fermentate e distillate). Se il mondo nel futuro vorrà davvero limitare il consumo di petrolio e creare forme di energia verdi, il Brasile partirà in prima fila. Ma se anche il petrolio dovesse continuare a essere la prima delle fonti di energia, si troverà comunque in posizione di vantaggio. Nessuno come la Petrobras, gigante statale dell’energia, ha infatti sviluppato tecnologie atte a prelevare petrolio dalle profondità marine. «Nulla al mondo si può paragonare – spiega con orgoglio il presidente della società José Sergio Gabrielli – alle sonde e alle piattaforme che abbiamo sviluppato noi». Ovviamente, non è tutto oro quel che luccica. L’economia brasiliana ha ancora le fragilità tipiche dei Paesi in via di sviluppo: il rischio dell’inflazione, una Borsa molto volatile e perciò molto rischiosa, tassi di interessi altissimi (i maggiori del mondo). E, soprattutto, una disuguaglianza sociale che continua ad essere drammatica, con milioni e milioni di poveri e poverissimi che i programmi sociali del governo Lula hanno solo in piccola parte reso meno infelici. Charles de Gaulle una volta disse: «Il Brasile è il Paese del futuro. E sempre lo sarà». Se esiste una possibilità perché il gigante latinoamericano cessi di essere solo una promessa e smentisca lo statista francese, questa chance è oggi. Vedremo se da qui al 2016 il momento magico del Brasile diventerà una realtà consolidata. _______________________________________ La ricetta per «promuovere» le favelas - Bill Clinton lo ha definito «il più grande economista vivente». Ma anche avversari politici dell’ex presidente Usa, come Ronald Reagan, hanno a più riprese manifestato la loro stima per Hernando de Soto. Peruviano, 68 anni, ex braccio destro dell’allora presidente Alberto Fujimori tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90, de Soto oggi dirige l’Istituto per la Libertà e la Democrazia (Ild). Con una missione: fare in modo che la proprietà privata sia in tutto il mondo tutelata da leggi e documentazioni chiare. Sembrerebbe un’iniziativa neoliberista. Invece è una battaglia che de Soto combatte soprattutto a favore dei più poveri. Già, perché chi sta bene economicamente e vive in un Paese occidentale, i propri beni li ha regolarmente registrati presso un ufficio pubblico o un notaio. Ma chi vive in una baraccopoli dell’Africa o dell’America Latina non ha in mano neanche uno straccio di carta per dimostrare che quella baracca, e il pezzo di terra che la ospita e la circonda, gli appartiene. «Chi vive in una casa di mattoni dentro una favela, non potrà mai vendere la sua povera abitazione – ha teorizzato de Soto ”. Non potrà usarla come garanzia, seppur modestissima, per un microprestito. Non potrà, di conseguenza, mai avere quel capitale minimo che gli consenta di iniziare una nuova attività, per modesta». Insomma, se un povero vuole tentare di diventare magari non proprio benestante, ma almeno di essere un po’ meno povero, occorre che gli sia riconosciuta formalmente dallo Stato la proprietà almeno della casa in cui vive. La tesi di de Soto ha influenzato le politiche sociali di molti Paesi. In Perù un milione e duecentomila famiglie hanno ottenuto il titolo di proprietà delle loro abitazioni, generalmente situate in baraccopoli. Anche la Colombia ha applicato la ricetta dell’economista peruviano. E ora l’idea di concedere il titolo di proprietà sulle abitazioni (costruite clandestinamente) delle favelas ha preso piede anche in Brasile. All’interno del Pac, il programma di accelerazione della crescita voluto dal presidente Lula, è prevista proprio la registrazione ufficiale delle case dei favelados. «Tutti avranno un titolo di proprietà – aveva detto Lula inaugurando i lavori del Pac nelle baraccopoli di Rio de Janeiro – in modo che nessun sindaco o poliziotto possa espellere dalla sua casa chi abita in favela. Vogliamo che i brasiliani che vivono nelle situazioni di maggiore necessità si sentano pienamente cittadini». Per la verità, una politica di riconoscimento legale dell’abitazione esiste dal 2003, attraverso un piano governativo che ha già consegnato il titolo di proprietà a oltre un milione di famiglie povere. Ma nei giorni scorsi il progetto ha avuto un’accelerazione: quasi diecimila famiglie delle baraccopoli di Rio de Janeiro stanno per ottenere la documentazione che riconosce loro la proprietà della casa. Nel frattempo alcune favelas, la maggioranza delle quali nella zona turistica, stanno conoscendo un periodo di inedita tranquillità: la polizia è riuscita a espellere i narcotrafficanti, che erano i padroni assoluti di queste comunità, e a collocarvi delle piccole caserme. Si chiamano Unità di polizia pacificatrice, sono contingenti che intendono dialogare con la popolazione delle comunità e restare a presidiare l’ordine pubblico proprio come negli altri quartieri cittadini. L’obiettivo è espandere questa iniziativa a molte altre baraccopoli. Ma non sarà facile. Quasi tutte le altre favelas sono in mano al narcotraffico che le governano come uno Stato nello Stato. La polizia non entra e quando decide di farvi incursione ha il grilletto facile. Spara ai criminali ma spesso uccide anche degli innocenti. Pochi contingenti di polizia pacificatrice non possono da soli far cambiare il sentimento di avversione dei favelados nei confronti delle forze dell’ordine, avvertite come ostili e violente. Ma se altre baraccopoli saranno restituite al controllo dello Stato e milioni di favelados avranno finalmente il titolo di proprietà per la loro casa, forse le comunità più povere smetteranno di essere luoghi di violenza e di discriminazione. Per ora è una chimera. _______________________________________ I NUMERI (scheda): TORO IN BORSA La Bovespa (Borsa di San Paolo) è cresciuta negli ultimi mesi del 121%, una percentuale che nessun altro mercato finanziario nel mondo ha raggiunto. La capitalizzazione è attorno agli 850 miliardi di euro, vicino al record storico del marzo 2008 (oltre mille miliardi di euro). LA CRESCITA DEL PIL Il Brasile nel 2009, anno di recessione mondiale, ha avuto solo una piccola crescita (0,12% secondo le ultime stime). Nel 2010 però si attende un aumento del Pil tra il 4 e il 5%, nettamente superiore quindi alle previsioni per Europa e Usa. L’inflazione, tenuta sotto controllo dagli alti tassi di interesse, non dovrebbe superare il 4,5%. BOOM DELLE CASE Grande crescita anche per il settore immobiliare. Il mercato è cresciuto nel 2009 dell’8% circa e le stime per il prossimo anno parlano di un aumento delle transazioni del 12%. Le imprese che operano in questo campo sono quasi 30mila. ARRIVANO I GIOCHI 25,9 miliardi di reais, pari a circa 10 miliardi di euro: questo il costo previsto per organizzare e ospitare le Olimpiadi del 2016 a Rio de Janeiro. Cinque volte tanto quanto fu speso nel 2007 per organizzare, sempre a Rio, i Giochi Panamericani. CAPITALE DELLA FERRARI Il mercato del lusso in Brasile cresce del 10% all’ anno circa. San Paolo è la città al mondo nella quale nel 2009 si sono venduti più esemplari di Ferrari e Rolls Royce e vanta una flotta di ben 830 jet privati. PER I POVERI C’ IL PAC La disuguaglianza sociale permane drammatica: il 10% più ricco della popolazione detiene il 75% della ricchezza nazionale. Nelle grandi metropoli, il 25% circa della popolazione vive in favelas. Il governo, per aumentare la crescita soprattutto nelle aree più disagiate, ha però creato il Pac (Progetto di accelerazione della crescita). Finora il Pac ha realizzato interventi per 338 miliardi di reais (circa 133 miliardi di euro). La cifra dovrebbe raddoppiare entro la fine del 2010. _______________________________________ LA STORIA: BUSINESS INFORMATICO ANCHE DENTRO LA BARACCOPOLI - Nelle baraccopoli il benessere resta per molti solo un sogno. Ma c’è chi, grazie a una buona idea e a tanta determinazione, è riuscito a costruirsi una vita migliore. il caso di Anderson Balbino, 26 anni, nato e cresciuto nella comunità di Antares, periferia ovest di Rio. Lì fino a qualche anno fa non esisteva neanche una macchina fotocopiatrice. «Per fare la copia di un documento o per mandare un’e-mail dovevamo prendere la bicicletta e pedalare per un’ora fino al quartiere di Santa Cruz». Anderson intuì che poteva fare business aprendo un negozietto che offrisse fotocopiatrice e computer ai favelados. «Avevo pochi soldi ma, con l’aiuto di un amico, decisi di comprare a rate un piccolo locale. Poi chiesi un finanziamento pubblico per il mio progetto e riuscii a comprare a rate cinque computer in offerta in un supermercato. I soldi, alla fine, si trovano se l’idea è buona». Nelle favelas gli Internet point (ma qui si chiamano lan house) sono oggi ricercatissimi. Per quanto poveri, i ragazzi non vogliono rinunciare al computer e a tenersi in contatto attraverso i social network. E, visto che non possono permettersi un pc in casa, vanno nelle lan house. Oggi Anderson non solo ha un negozio attrezzatissimo, ma presta servizio di consulenza e riparazione per altre sette lan house.