Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 5/11/2009, 5 novembre 2009
TORNA IL BEL PAESE, LIBRO-FORMAGGIO
Una guida sui generis, il Bel Paese di Antonio Stoppani. Sui generis, perché fuori da ogni genere: dialogo, narrazione, trattato scientifico, vademecum. Un libro che ci dice che cosa doveva essere la borghesia lombarda di cui oggi si sente tanto la mancanza, se è vero che quest’opera a strati ebbe, sin dalla sua prima uscita, nel 1873, un successo che si avvicinò a quello di Pinocchio e di
Cuore . Oggi venderebbe 20 mila copie, un libro come questo? Ed entrerebbe nel circuito scolastico, come accadde nell’Ottocento? Riuscirebbe ad attrarre l’attenzione del marketing di un’industria casearia, come successe nel 1906 quando la Galbani decise di prendere a prestito il titolo del libro più popolare in circolazione per battezzare (con tanto di effigie dello Stoppani sull’etichetta) un formaggio destinato a diventare famoso?
Oggi, probabilmente, un libro come questo, per tante ragioni, non avrebbe senso o avrebbe troppo senso per ottenere il successo che ebbe oltre un secolo fa, quando fu ristampato un centinaio di volte. Intanto, viene meritoriamente ripubblicato da Aragno (pp. 535, e
30), per le cure di Luca Clerici. Il quale, nell’introduzione, ne illustra il progetto e la complessa struttura, e ne ripercorre la fortunata vita editoriale. Ma chi è il «fanfarone» Stoppani, come lo chiamò Carlo Dossi in una «nota azzurra»? Anche lui, come la sua opera, un tipo sui generis, amato da tanti e disprezzato da qualche collega. Il giovane lecchese Stoppani, di formazione filosofica, caccia insetti e farfalle, colleziona pietre, conchiglie e fossili nel tempo libero e durante le vacanze estive. «L’è matt», dicevano i vicini. Ordinato sacerdote, partecipò alle Cinque Giornate, fu precettore di famiglie nobili, custode della Biblioteca Ambrosiana, si fece conoscere da scienziati internazionali grazie alla sua collezione di minerali, cominciò a scrivere saggi di geologia per i quali ottenne elogi e fama anche all’estero, divenne libero docente di geologia a Pavia e poi al Politecnico di Milano, dove diresse il Museo di Storia Naturale. Rivendicò la convergenza tra scienza e religione cattolica, il che gli valse un processo con l ”«Osservatore Cattolico» che venne seguito dalla stampa. In quell’occasione il «Corriere» lo descrisse come «un bel vecchio, dalla zazzera grigia (…) grassetto ». Viaggiatore instancabile e qualche volta imprudente, alpinista, speleologo, conferenziere «dalla ricca e faconda parola», «arguto e benevolo insieme», il suo fascino catturava in particolare il pubblico femminile. Tenne abbondanti lezioni presso il Museo civico, il che gli fece guadagnare una notevole fama amplificata dal successo del suo capolavoro. Alla sua morte, nel 1891, i giornali riferirono di un funerale imponente con «concorso immenso di popolo, specialmente di donne».
Il Bel Paese (titolo petrarchesco) nasce da un progetto «semplicissimo », come scrisse lo stesso Stoppani: «L’autore, pigliando la veste di uno zio naturalista, percorre da un capo all’altro… il bel paese (…) descrivendone le naturali bellezze». Ogni giovedì dell’inverno 1871-1872, per 29 settimane, un «piccolo esercito» di famiglie, mamme, papà e ragazzini, oltre agli amici, si ritrova ad ascoltare i racconti dello zio, le sue escursioni, le avventure scientifiche, i viaggi per l’Italia. Si parte dalle Alpi e dall’arte di arrampicarsi, si prosegue con i ghiacciai, si passa alle albe del Centro Italia e alla fosforescenza delle acque marine, ci si sofferma sui pozzi petroliferi della Lucania e sulle reminiscenze del brigantaggio, si arriva alle tempeste e ai vulcani ribollenti del Sud. Il tono è variabile: dal sermone alla novella picaresca, dalla trattazione didattica alla favolistica per l’infanzia, dal resoconto odeporico al teatro popolare. Il tutto in forma dialogica, sul modello della conversazione da salotto.
Il risultato è una originale (e forse unica) forma di sperimentalismo popolare, sostiene Clerici. Si sentono le voci dei bambini che sollecitano, obiettano, pongono questioni allo zio, il quale con talento quasi da attore espone ed evoca con fervore, coinvolgendo e sollecitando a sua volta in una specie di ping pong dialettico. Clerici analizza i vari strati di cui è composta l’opera, lo stile orale, la capacità di colorire la prosa e di modulare la voce per avvincere l’uditorio, mescolando verità autobiografica e finzione, cui aggiunge qua e là qualche nota esplicativa e le illustrazioni con funzione didattica. Le serate, poi, si inseriscono nella loro cornice, per cui gli ascoltatori (un ideale campione sociologico di classe media in tutte le sue varietà) diventano personaggi e comunità viva, parlante e gesticolante (con madri che tirano «uno scapezzone» ai figli troppo vivaci), in un ambiente la cui materialità viene restituita con precisione. Un’opera scientifica «veramente nazionale », rivolta senza distinzione agli italiani, ma raccontata con un’aria di famiglia, quando si pensava che gli italiani fossero davvero una famiglia.