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 2009  novembre 05 Giovedì calendario

SANAA, SGOZZATA DAL PADRE A DICIOTTO ANNI


La mattina di sabato 19 settembre si sono svolti davanti alla cella mortuaria dell’ospedale di Pordenone, prima del rientro in Marocco della salma, i funerali di Sanaa Dafani, la diciottenne sgozzata dal padre perché s’era fidanzata con un italiano. Cerimonia musulmana, col lavaggio del corpo a rappresentare l’ultima purificazione. Mohammed Dafani, fratello dell’assassino, prima dei funerali ha chiesto scusa «a tutti»: «Mio fratello è malato e ha perso la testa. La religione non c’entra nulla con quanto è successo». Il fidanzato di Saana, Massimo De Biasio, aveva detto che non avrebbe partecipato, ma alla fine «ha prevalso il cuore. Per questo sono qui». La madre della morta, a proposito di De Biasio: «Io con lui non parlo, ha rovinato la mia vita e la mia famiglia». [1]

Sanaa Dafani, 18 anni, bel volto, capelli neri a cadere sulle spalle, una luce intensa negli occhi, il sorriso sempre pronto, «simpatica e dolcissima», studi interrotti dopo le medie per cercarsi un lavoro, tanti amici, amava Facebook, sfoggiava volentieri un filo di trucco, i jeans e le gonne (mai troppo corte, e solo quando era lontana da casa). Fin da bambina era golosa di panini al salame e al prosciutto che divorava quando i genitori non la potevano vedere: «All’ora di ricreazione si metteva in disparte e ingoiava tutto in un sol colpo, facendoci il gesto di stare zitti, di non dire nulla ai suoi» (gli amici delle scuole medie di Azzano Decimo). [2]

Fino a qualche tempo fa Sanaa aveva vissuto a Pordenone con le sorelline di 4 e 7 anni, con la madre Fatma, tutta casa e moschea, e col padre El Katawi Dafani, 45 anni, aiuto cuoco al ristorante ”Al Lido” dove aveva cominciato undici anni fa come sguattero. Poi l’anno scorso, mentre si cercava un lavoro, aveva conosciuto Massimo De Biasio, 31 anni, socio del ristorante Monte Spia di Montereale Valcellina. I due s’erano innamorati, lui l’aveva assunta come cameriera e appena lei aveva compiuto 18 anni erano andati a vivere assieme ad Azzano Decimo, 15 mila anime in provincia di Pordenone. [2]

El Katawi Dafani, carattere chiuso, talvolta irritabile, pochi amici e tanti debiti, una passione per la grappa, in moschea non si faceva mai vedere e ciononostante non tollerava che la figlia maggiore portasse il rossetto e i capelli sciolti, che si fosse trovata un fidanzato italiano e cattolico per giunta molto più vecchio di lei e che se ne fosse andata di casa privandolo dello stipendio da cameriera che a lui faceva tanto comodo. La sua rabbia era cresciuta trasformandosi in ossessione da quando qualche conterraneo aveva cominciato a sfotterlo per quella figlia che gli era sfuggita di mano, tanto che ormai le urlava di continuo «sei la mia vergogna» e spesso le inviava dei messaggi in cui prometteva: «Se vi incontro insieme vi ammazzo tutti e due». Lei però, felice e innamorata, di quella minaccia non se ne curava più di tanto, ritenendo che per rabbonire il padre sarebbero bastate le nozze col fidanzato. [3]

Nella mattinata di martedì 15 settembre il Dafani El Katawi acquistò in un emporio un grosso coltello da cucina, nel pomeriggio disse ai datori di lavoro «stasera non vengo, ho da fare», poi s’appostò nel boschetto della frazione Grizzo di Montereale Valcellina dove la figlia e il fidanzato, per andare a lavorare, sarebbero passati a bordo della loro Audi. Quando i due verso le 19 lo videro sbucare dalle frasche accostarono sul bordo della strada e lo lasciarono avvicinare. D’un tratto l’uomo afferrò la ragazza per i capelli, lei gli sfuggì dalle grinfie e corse verso un boschetto, lui impugnando un coltello la inseguì, la gettò in terra e, dopo essersi inginocchiato, le tagliò gola, di tanto in tanto interrompendo l’operazione per tirare fendenti al fidanzato che tentava di proteggere la ragazza. Infine, la figlia agonizzante in una pozza di sangue, la testa quasi staccata dal collo, prese una bottiglia, gliela spaccò sul cranio, e se ne andò via. Il De Biasio prima chiese aiuto, poi s’inginocchiò accanto a Sanaa, si sfilò la maglietta e gliela premette sul collo, invano, per frenare l’emorragia. [4]

«Ho cercato di fare di tutto per fermare la furia di quell’uomo, ma è stato impossibile. Sembrava una belva mentre uccideva sua figlia: non dimenticherò mai i suoi occhi» (Massimo De Biasio, ricoverato in ospedale dove è stato sottoposto a un intervento chirurgico ai tendini perché, nel tentativo di difendere Sanaa, ha stretto la lama del coltello tra le mani). [5]

Il Dafani, tornato a casa, si tolse gli abiti zuppi di sangue, si fece una doccia, e si sdraiò sul divano a guardare la televisione. Quando i carabinieri andarono a prenderlo, senza dire una parola, si alzò dal divano, si tolse le ciabatte, infilò le scarpe e offrì i polsi per farsi ammanettare. [3]

Frase sussurrata da El Ketawi Dafani ai carabinieri, il giorno dell’arresto: «So di rischiare l’ergastolo». E poi: «Era una settimana che ci provavo» (non si sa se si riferisse al delitto o al tentativo di far tornare a casa la figlia). [6]

La sorellina di 7 anni seppe che il padre aveva ammazzato Sanaa guardando la tv: vide la foto della ragazza, la riconobbe e subito scoppiò in un pianto dirotto. [7]

«Non potevamo immaginare che volesse uccidere sua figlia e quasi ammazzare il fidanzato. Era una persona normale. Magari un po’ chiusa. Rispettava il Ramadan ma non andava in moschea. Qualche volta beveva, come tanti qui da noi [...] Con noi non parlava di certe cose. Della sua famiglia. Da un po’ di giorni era nervoso. Ma vai a sapere cosa c’è nella testa della gente...» (il titolare della pizzeria ”Al Lido” a proposito di El Katawi Dafani) [3]

Mohammed Ouatik, pizzicagnolo, macellaio, e imam di Pordenone: «La storia è che il padre di Sanaa, El Ketaoui Dafani, beveva, aveva debiti, era sempre in cerca di soldi, e la busta paga di Sanaa secondo lui era roba sua. E il fatto che lei fosse andata via di casa, sfuggendo al suo controllo, ecco: è questo che gli ha fatto perdere la testa. Un padre padrone, come dite voi, ma anche molto ignorante. Sanaa con lui non parlava, non c’era dialogo. La religione? Ma no, creda. E poi lui non è mai stato praticante. Mai visto in moschea, per dire». [8]

«La religione: è stata solo la religione. L’età non c’entra assolutamente niente. Lui non mi conosceva. Lui mi ha conosciuto solo l’ultimo giorno. Non aveva neanche idea di chi ero. L’aveva anche scritto sui messaggi che se ci avesse visto insieme ci avrebbe uccisi. Delle persone così integraliste devono stare a casa loro perché non possono pensare di venire in Italia con i figli, farli girare con persone italiane, mandarli a scuola o al lavoro e non pensare che magari possa nascere qualcosa con un italiano. impossibile. Se qualcuno ha una mentalità così ristretta è meglio che stia a casa sua e basta» (Massimo De Biasio). [9]

«Torna a casa, Marocco», scritta comparsa nella notte tra mercoledì 16 e giovedì 17 settembre sotto un cavalcavia di Pordenone. [8]

«Qui lo scontro non è fra popolazione e immigrati, ma tutto in casa dei secondi. Una guerra silenziosa e talmente prevedibile che i sociologi ne hanno da tempo schedato i protagonisti con due sigle. G1 e G2, generazione uno e due. […] Il padre sente che la sua autorevolezza diminuisce, pensa che cedere alla figlia sia una sconfitta. E così quando Sanaa avverte che non si limiterà a lavorare per conto suo ma andrà anche a vivere in casa di Massimo, entra in depressione. Diventa ossessivo, comincia a controllare tutto, vuol sapere dalla figlia persino ciò che mangia quando lavora al bar. Lo fa – dicono i testimoni – per il puro gusto di controllare ciò che gli è da tempo scappato di mano» [10]

Media Souad Sbai, presidente delle Donne marocchine in Italia: « Sono morte tante ragazze magrebine perché la seconda generazione di immigrati paga le conseguenze della mancata integrazione della prima, anche per una forma di integralismo oscurantista che ha preso piede in alcune frange delle comunità. In Marocco, contrariamente a quanto si può credere, le ragazze sono più libere delle loro connazionali emigrate all’estero. Là sono tantissime le ragazze che sposano stranieri. In Italia invece è proibito, ma solo all’interno di una certa comunità». [12]

Iside Alzetta, mamma di Massimo De Biasio: « Sanaa chiamava Massimo sempre amore, mai per nome. Erano innamorati, bastava vederli assieme. Mio figlio aveva sentore di qualcosa, ma per non farci stare in pensiero non ci ha raccontato nulla […] Per me Sanaa era una figlia perché si è dimostrata tale. Era dolcissima. Sa, mentre le dico queste parole mio marito sta piangendo […] Si era sbilanciata un po’, facendo capire di avere dei timori. Ma certamente non pensava che potesse accadere una cosa del genere […] Mio figlio una volta ha portato le sorelline di Sanaa a Lignano, all’Acquasplash e allo zoo. Avevano trascorso una giornata bellissima e le due bambine era molto felici. La più grandicella aveva detto a Massimo ”magari fossi tu mio padre”». [7]

«Non parliamo più di integrazione. Questa gente deve stare a casa propria, in Africa […] Questo è un omicidio religioso. Queste sono persone che non si possono integrare […] A Pordenone ci sono diecimila extracomunitari. Centomila solo in Friuli. Vogliono la moschea. Hanno festeggiato quando sono cadute le Torri Gemelle. L’integrazione è impossibile» (Enzo Bortolotti, sindaco di Azzano Decimo). [3]

Fatma Dafani, mamma di Sanaa, singhiozzando disperata il giorno dopo il delitto: «Voglio mia figlia. Voglio mia figlia. Mi ha tradito. Ha ucciso la mia cara. Ha ucciso Sanaa». Sempre la mamma di Sanaa, ma ventiquattr’ore dopo: «Perdono mio marito: ha commesso un gesto orrendo, ma è mio marito, il padre di altre mie due figlie. Forse ha sbagliato Sanaa, perché non si comportava da brava musulmana. Mio marito non voleva che Sanaa uscisse la sera con i ragazzi brutti o con gli amici. Mio marito era contrario alla convivenza con quel ragazzo italiano tanto più grande di lei. Mio marito non dormiva più fino alle quattro del mattino. Non mangiava. Fumava sempre. Sempre sbatteva i pugni contro il muro. Era sempre arrabbiato e voleva vedere sua figlia a casa con noi». [7]

«La mamma di Hina e la mamma di Sanaa l’hanno detto entrambe che assolvono i loro mariti assassini, che li perdonano, che sono state le ragazze a perdere la testa, a comportarsi male. Avranno anche sbagliato le povere ragazze, perché andare a vivere con il fidanzato sarà certo una vergogna per una famiglia musulmana, un po’ come lo era, fino a 50, 40 anni fa, o anche meno, per una famiglia italiana, ma ammazzarle per questo è imperdonabile, soprattutto da parte di una madre che, per istinto, per cultura antica e immutabile dovrebbe proteggere, sostenere, difendere i figli anche contro i loro padri, se occorre. Non può essere vero che le madri comprendono chi ha sgozzato le loro ragazze come pecore, lo diranno perché glielo hanno messo in bocca, perché le hanno convinte o costrette, lo diranno per paura perché gli assassini un giorno usciranno di prigione e perché intorno ci sono cognati, fratelli e zii, uomini del clan che le sorvegliano. Ma non può essere vero che perdonano per altri motivi ancora, più prosaici ma non meno drammatici: finendo in prigione per anni e anni, questi due uomini hanno gettato sul lastrico le loro famiglie, privandole dello stipendio che le faceva vivere. E se dopo tutto fosse tragicamente vero, che davvero voi infelici madri di Hina e di Sanaa scegliete di stare con gli assassini, non dovete dirlo non solo perché è quel che vogliono sentire coloro che soffiano sul fuoco dello scontro di civiltà, ma anche perché risulta incomprensibile e insopportabile a noi tutti e perché rischia di seminare il dubbio che le distanze culturali siano troppo, troppo grandi. Storici e sociologi ci hanno sempre assicurato che saranno le donne islamiche a gettare il ponte sul fossato che ancora ci divide, noi e loro, perché prima o poi si vorranno scrollare di dosso l’antica regola crudele di cieca sottomissione agli uomini di casa, agli atavici precetti tribali, al Corano reinterpretato secondo il capriccio del più forte. Nonostante le dichiarazioni delle due infelici madri vorremmo continuare a credere che non potrà essere che così» (Isabella Bossi Fedrigotti). [13]

«A sollevare delle perplessità sulla genuinità del perdono della mamma di Sanaa è anche la deputata del Pdl Souad Sbai, che tra l’altro presiede anche Acmid Donna, l’associazione delle donne marocchine in Italia. ”Perché - si chiede l’onorevole Sbai - la signora Fatna El Kataoui, madre di Sanaa, non si trova nella propria casa, ma nell’abitazione dell’imam di Pordenone? Chi è l’imam di Pordenone? Perché rilascia in prima persona dichiarazioni di perdono per il marito, suo connazionale, da parte della signora? Forse perché e tenuta in ostaggio nel tentativo di imporle il silenzio?”. L’unica cosa certa è che Sanaa sarà sepolta in Marocco. ”Avverrà a Ramat, in Marocco, seguendo scrupolosamente il precetto - ha confermato proprio l’imam Ouatiq - che prevede che il defunto sia rivolto verso la Mecca”». [14]

Monica Ghisa, vicina di casa dei Saleem, i familiari di Hina, la 20enne pakistana sgozzata dal padre nell’agosto 2006 con la complicità degli uomini del clan e poi sepolta nell’orto. All’epoca sentì i rumori dalla mansarda, dove il padre - mentre i generi la tenevano ferma - sferrò le 28 coltellate alla figlia. E vide scavare la buca – la tomba in cui la ragazza fu sotterrata con la testa rivolta alla Mecca – tra le piante di pomodoro. Ora racconta che la casa degli orrori, sequestrata il tempo delle indagini, da un paio d’anni si è ripopolata. Stessi inquilini, come nulla fosse: «Sono tornati tutti qui, la madre coi sei figli (2 maschi e 4 femmine), i due nipoti avuti dalle sorelle maggiori di Hina (i mariti in carcere, a scontare 17 anni). E poi lo zio (Tariq, prosciolto dall’accusa di omicidio e condannato a 2 anni e 8 mesi per occultamento di cadavere, libero) venuto con i 3 figli dopo essere rimasto vedovo. E da dicembre li ha raggiunti un cugino». In 90 metri quadri 14 persone. Mancano solo il capofamiglia, Saleem, condannato a 30 anni, e i giovani cognati, pure in cella, in attesa della Cassazione, prevista il 12 novembre. «Io ho provato a entrare nel loro mondo, ma è impossibile […] A Hina hanno spezzato le ali. Anche la madre lo diceva, ”lei no buona, puttana”». [15]

«Io e Sanaa volevamo sposarci e volevamo presentarci alla famiglia. Avevamo pensato di andare solo dalla madre, ma lei era ancora più dura del padre» (Massimo De Biasio) [16]

«Con l’assassinio di Sanaa Dafani [...] arriva a 37 il numero delle immigrate musulmane giustiziate nel corso di questi ultimi anni. Sempre per mano di qualche familiare guidato dall’implacabile legge del dominio dell’uomo e della sottomissione della donna. La stessa legge che si continua a predicare in molte moschee italiane, quella che insegna ai fedeli che la donna musulmana vive su un gradino inferiore della creazione e quindi non ha gli stessi diritti dell’uomo. Che è giusto e lecito malmenarla a dovere se si ribella e si allontana dai sentieri dell’Islam. E guai se intreccia una relazione con un infedele perché ”cristiani ed ebrei sono scimmie e non ci si mischia con le bestie” […]» (Daniela Santanchè). [17]

L’ultimo dono di Massimo De Biasio a Sanaa: un cuscino a forma di cuore, tutto di rose rosse, con la scritta ”Per sempre Massimo”, fatto appendere a un’albero del bosco di Grizzo, proprio nel punto dove lei è stata sgozzata. [18]

«Sanaa era una ragazza stupenda, sempre col sorriso, sempre molto tenera. Gli ultimi tre mesi che ha fatto con me, che ci vedevamo, mi ha detto che sono stati i tre mesi più belli della sua vita» (Massimo De Biasio). [18]

[1] Corriere.it 19/9; [2] Francesco Alberti Corriere della sera 17/9; [3] Fabio Poletti, La Stampa, 17/9; [4] Fabio Poletti, La Stampa, 17/9; Francesco Alberti, Corriere della Sera, 19/09/09; [5] Francesco Alberti, Corriere della Sera, 19/09/09; F. Alb. Corriere della Sera 18/9; [6]; Corriere.it 18/9; [7] Susanna Salvador, Il Messaggero 17/9; [8] Luciano Gulli, il Giornale 17/9; [9] Corriere.it 17/9; [10] Paolo Rumiz, la Repubblica 17/9; [11] Cnrmedia.it 16/09; [12] Isabella Bossi Fedrigotti, Corriere della Sera 18/9; [13] Marino Scinderle Il Giornale 19/9; [14] Beatrice Raspa, Libero 19/09/09; [15] Il Giornale.it 19/9; ). [16] Daniela Santanchè, il Giornale 17/9; [17] Alfonso Di Leva temporeale.libero.it 18/9; [18] Corriere.it 17/9.