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 2009  novembre 03 Martedì calendario

LA FORZA DELLO SCIAME


Una presa di distanza da alcune parole chiave del lessico politico moderno, come massa e folla, che apre la strada alla rappresentazione dei fenomeni sociali attraverso un termine mutuato dalla zoologia e arricchito con contributi della cibernetica e della biologia
Ai cinefili non occorre rammentare la scena, i più giovani e gli avventizi della sala cinematografica hanno bisogno invece di un piccolo supporto. Una donna siede in attesa davanti a un edificio scolastico in una piccola località della costa californiana. Dietro di essa si vede una voliera. Un corvo atterra sui pali della voliera. Poi una ripresa ravvicinata: si vede l’attrice, Tippi Hedren, fumare una sigaretta, mentre sullo sfondo, anche per segnare il passaggio temporale, risuona il coro dei bambini della scuola. Poi l’attenzione torna visivamente, non più acusticamente, sullo sfondo: sulla voliera ci sono quattro corvi, ne atterra un quinto. La protagonista segue rapita con lo sguardo un singolo uccello, e quando si vede dove esso atterra lo spettatore è sincronizzato con lei: tutta la voliera è strapiena di uccelli. Poco dopo scatta l’attacco ai bambini.
La carriera cinematografica dello sciame comincia lì, ne Gli uccelli di Alfred Hitchkock (1963), già instradata da qualche anticipazione della science fiction dei primi anni della guerra fredda ma destinata a inanellare parecchie tappe, al confine filmografico tra l’apocalittico e l’horror. La carriera filosofica e sociologica è invece un po’ più antica. Lo sciamare - è quel che ha còlto il grande regista - è un puro apparire, un momento di conversione da una mera moltitudine ad un intero multiplo, una pluralità al tempo stesso compatta e sparsa, di cui non è chiaro da dove sia venuta né sono identificabili la causa scatenante, il fondamento e il fine. Un conto sono alcuni uccelli anche molto vicini nello spazio, tutt’altro conto è uno sciame: l’emersione improvvisa di un intero complesso ed enigmatico, che è anche il modo in cui gli sciami si propongono all’immaginario collettivo.

La prevedibile complessità
Fatto salvo il primato di insetti o uccelli, ad incarnare nelle fictions la quintessenza dell’ostilità, della minaccia o della catastrofe sono anche aggregazioni non chiare di particelle o di organismi unicellulari. Non è in gioco solo l’aggressività, perché già in Hitchcock il turbinio dei volatili rappresenta non solo un attacco agli uomini, ma anche un disturbo dello sguardo e della visibilità. Lo sciame è informe, non vuole saperne di diventare Gestalt, forse viola tutte le consuetudini geometriche a cui è abituato l’occhio: è una forma di vita senza vita, la cui esistenza puramente relazionale evoca interrogativi sull’organizzazione di questa stessa vita.
Stando così le cose, almeno in certe aree culturali la science ha dignità pari alla fiction e chiede di non essere più omessa, come per inerzia si è indotti a fare quando si parla di fantascienza: attorno agli esperimenti mentali sullo sciame si affollano discipline sofisticatissime come biologia, etologia, scienza computeristica, nanotecnologia, cibernetica e scienza militare. Si punta anzitutto al fenomeno emergente, inteso come un che di irriducibilmente nuovo, le cui proprietà e capacità non sono ricavabili da quelle dei singoli individui o fattori.
Questo carattere indeducibile dello sciame è anche quello che presiede alla imprevedibilità e incalcolabilità delle strutture complesse, e forse non se ne sarebbe mai parlato se esso non fosse un fenomeno privo di un causa, in un mondo in cui anche di grandi tragedie come le guerre è difficile ricostruire una filiera di cause univoche e sarebbe lecito pensare, se non fosse offensivo nei confronti delle vittime, che siano completamente gratuite, cioè immotivate. Già, la guerra: poteva farsi sfuggire un boccone così estroso e prelibato? La belligeranza simulata vede nello sciame la capacità di avvolgere il nemico come in un involucro, di attaccare da tutti i lati, di ritirarsi e di attaccare in un altro punto, e sempre con una stupefacente coordinazione. La tattica è quella del pulsing o della vibrazione, presto ribattezzata swarming. A dispetto di tutti i neologismi, però, quando si tratta di ammazzare e di sterminare si ripescano spesso modelli antichi e non si lamenta un deficit di precedenti: nella fattispecie, si risale alle opzioni strategiche di Alessandro Magno o alle tecniche belliche dei mongoli.

Evoluzioni tecnologiche
Gli sciami appartengono a pieno titolo al teatro delle operazioni belliche quando c’è da combattere un nemico più potente ma meno mobile, quando cioè sussiste una forte asimmetria tra le parti in guerra: dove però anche la guerra partigiana appartiene ad un repertorio del passato. Sotto questo profilo, la tecnologia degli sciami è il tentativo di pensare l’impensato della tecnica bellica della guerra fredda. Basta gigantismi ancora emuli del carro armato, basta macchine potenti, alti costi finanziari ed energetici, rigide strutture gerarchiche: al loro posto, armi piccole e semplici, dispersione invece di colpi concentrati, auto-organizzazione invece che struttura centrale di comando. Networks che diventano netwars e viceversa, la prospettiva non è incoraggiante.
Si passa così alla fase della micro-miniaturizzazione accelerata all’insegna della non-intelligenza artificiale. Perché? Perché la simulazione computerizzata del cervello umano dovrebbe ormai cedere il passo a quella sugli sciami intelligenti e sulla vita artificiale, che non procede più antropomorficamente, cioè simulando il pensiero umano, ma permette di accedere ad un istinto artificiale, simulabile e programmabile proprio perché, come tutti gli istinti, collaudato nel corso di miliardi di anni. Di qui l’interesse della neurologia e della neuroanatomia per gli insetti completamente privi di cervello, ma ormai a grande distanza dalla vecchissima invidia umana per le spettacolari prestazioni organizzative, sociali e cooperative delle api (peraltro sempre sospette di simpatie monarchiche, per via dell’ape regina), delle formiche (sicuramente repubblicane) o dei castori, già intercettati dal fiuto filosofico di Rousseau. Questa volta si tratta non tanto di simulare, quanto di assumere una neuroanatomia votata ad un learning by doing senza controllo, senza pre-programmazione e senza centralizzazione.
Lo scenario, diciamo la verità, è abbastanza spettrale, e lo diventa ancor di più quando, per rispondere alla domanda sull’origine dello sciame, si ricorre all’evoluzione non - darwinianamente - degli animali e degli uomini, ma delle macchine: dotate di capacità di apprendimento e di auto-riproduzione, come aveva già visto nel 1961 Norbert Wiener, uno dei co-fondatori della cibernetica. a questo punto che, se le macchine escono dai gangheri e si autonomizzano o impazziscono, scatta la serie di allarmi letterariamente inaugurata dal Frankenstein di Mary Shelley (1818).

Un disordinato materialismo
Per invecchiato che sia, il materialismo storico di Marx aveva dato una risposta forte al mistero non religioso della cooperazione sociale, forse commettendo l’errore di ritenere che esso potesse smaltire fino in fondo la sua intrasparenza. Gli sciami, però, arrivano alla socialità direttamente dalla vita: in quanto relazionalità dai cui elementi singoli non si può dedurre il «gioco di squadra» dell’insieme, lo sciame raffigura la connettività irriducibile del vivente, e come movimento costante la dinamica di un’evoluzione che è puro processo e puro apparire. Nell’effetto ipnotico che ha sull’occhio umano (come nel caso di Tippi Hedren), e nell’imperscrutabilità del loro operare ad un tempo caotico e coordinato, gli sciami sono la macro-rappresentazione di ciò che costituisce la vita stessa al suo livello molecolare. Aprono le porte ad una tecnologia bellica superiore come all’emersione di un comportamento minaccioso e inatteso, in ogni caso ad un’intelligenza costitutivamente superiore a quella dell’uomo.
Già gravida di componenti biosociali, anche se immaginativamente povera e alle prime armi, era quella forma di «collettivo senza centro» attorno alla quale nacque la psicologia di massa di fine Ottocento. Prima che Gustave Le Bon consegnasse ai futuri fascisti (in realtà a tutto il conservatorismo europeo) la versione popolare della demolizione del concetto di classe ad opera di quello di massa, l’attenzione si era posata sul venir meno di modelli contrattuali di ordine: la de-individualizzazione tipica della massa mette capo ad una tabula rasa priva di punti di ancoraggio in un ordine sociale superiore.
La più piccola unità della massa non è data da individui o da decisioni individuali, ma da imitazioni consapevoli o inconsapevoli che formano catene imitative. La tecnologia di controllo, dovendo confrontarsi non con entità chiuse individuali ma con flussi imitativi, abbandona ogni illusione di riforma sociale e con essa ogni pretesa di educazione e di coltivazione migliorativa.
Contrariamente a quanto si tenda a ritenere, la figura del capo non viene sopravvalutata, ma ridimensionata: non uno che sopravviene dall’esterno, ma uno degli elementi della massa. E necessariamente, così Le Bon, uno che non ha uno sguardo acuto e che perciò non è appesantito da dubbi e da indecisione operativa: sia detto senza allusioni all’Italia di oggi, deve trattarsi di uno nervoso, eccitabile, mezzo pazzo o almeno squilibrato, in ogni caso non al di sopra della massa, ma al massimo sua figura proiettiva. Ma l’idea di fondo è che la massa sia acefala e che la sua dinamica trainante sia quella dell’auto-referenzialità, fino al capovolgimento della forza distruttiva in una tensione erotica rivolta a se stessa: la foule attire et admire la foule, come scriveva Gabriel Tarde, affascinato da una socialità senza interessi di piccolo cabotaggio, gratuitamente votata al plaisir de se rassembler pour se rassembler. Lì si sceglieva esplicitamente la strada della «suggestione» come tessuto connettivo di una collettività quasi in trance, ma quella stagione di pensiero ha ancora qualcosa da insegnare.

In cerca dell’autogoverno
La situazione è in fermento, difficile dire dove arriveremo, e la mobilitazione di tanti saperi inaccessibili ai profani è tale da intimidire chi voglia azzardare un pronostico. In qualche caso le cosiddette «menti-alveare» (hive minds) sembrano solo rivitalizzare il canovaccio della «mano invisibile», con l’aggravante di una assoluta mancanza di fede nella versione terrena della provvidenza divina. Più che l’ennesimo episodio di anti-statalismo liberale - che di questi tempi, però, non è innocuo - si legge una domanda sulla possibilità di autogoverno. L’intelligenza degli sciami ama presentarsi come politicamente incolore: a sinistra la si potrà incontrare chiedendosi non se la moltudine sia governabile, ma se sia in grado di autogovernarsi, a destra potrà contribuire ad accarezzare l’idea di una ottimizzazione delle risorse umane, al servizio di un’efficienza aziendale e produttiva non diretta dall’alto, ma orizzontale. Quand’anche tutto quadrasse, rimarrebbe inevasa una domanda: come può l’essenza umana, troppo umana dei desideri, delle intenzioni e delle azioni sintonizzarsi con il modello decisamente non umano degli sciami? E a ruota, più maliziosamente: come mai, in controtendenza rispetto a tutta questa tensione alla de-centralizzazione, continuano ad operare, o magari si ripropongono incattiviti, moduli gerarchici di gestione del potere? Vedremo come andrà a finire.