Deborah Dirani, Il Sole-24 Ore 3/11/2009;, 3 novembre 2009
UNA MADRE SUICIDA DIETRO LA FUGA DA S
«Avrebbe potuto essere una donna come tante, ma l’ambiente in cui è cresciuta, la mamma malata di mente...». Sospende il racconto Mario Blefari Melazzi, lo zio di Diana,sembra cercare una ragione all’irragionevolezza della vita di sua nipote. Da Amendolara, piccolo centro in provincia di Cosenza dove vive, racconta la storia di una bimba che lui portava al mare e a visitare le fattorie. «Qua da me veniva in estate, perché mio fratello Tommaso, il papà di Diana, e la sua famiglia abitavano a Roma. Era una vita normale la loro, fino a quando mia cognata si è ammalata ». Schizofrenia, la malattia delle ombre della mente: Ornella Sidoti Blefari Melazzi, la mamma della brigatista, ne ha sofferto per anni fino a quando, nel 2001, non si è uccisa gettandosi dal balcone.
L’evidenza del disagio psichico della donna emerse poco dopo il suicidio della madre:«All’improvviso Diana si chiuse in se stessa, divenne malinconica, ansiosa, a volte aggressiva senza ragione». E stravagante. «Metteva il cappotto anche d’estate», racconta lo zio. Nessuno sa con certezza se facesse già parte delle nuove Br o se, in seguito al trauma della perdita della mamma, scelse questa fuga dalla realtà. E, probabilmente, nella realtà non ci è mai del tutto rientrata: quando il 22 dicembre del 2003 gli agenti della Digos fecero irruzione nella casa che aveva preso in affitto sul litorale romano, rimasero spiazzati dal suo comportamento. Era tarda sera quando sfondarono la porta di ingresso e la trovarono rivolta verso una finestra, quasi assente. Non si voltò e non oppose re-sistenza, né fece proclami politici. «Non rispose mai alle mie domande », ricorda il pm Paolo Giovagno-li, che la incontrò due volte.
Una brigatista "sui generis" questa quarantenne che sette anni fa seguì in bici il professor Marco Biagi dalla stazione a casa sua. Accettò di venire difesa, riconoscendo quindi la legittimità del tribunale e dello Stato italiano, e tenne un profilo basso anche durante le udienze. Nella cella dell’aula Bachelet del tribunale di Bologna aveva uno sguardo mite e un po’ perso. Tutt’altra faccia rispetto a quella di Nadia Desdemona Lioce, che in una lettera le scrisse di "perdonare" la sua mancanza di risolutezza perché malata.
Dal profondo stato di prostrazione che l’aveva portata a rifiutare per mesi qualunque contatto con l’esterno, e per certi periodi anche a rifiutare il cibo che credeva avve-lenato, Diana sembrava essere in parte uscita. Valerio Spigarelli, il legale nominato da Tommaso, il padre ottantaquattrenne della donna, l’ha vista per l’ultima volta la stessa mattina del giorno in cui si è uccisa. «Sembrava stesse meglio».Nel pomeriggio però le è arrivata la conferma dell’ergastolo da parte della Cassazione. In quella lettera, ritrovata sul tavolo della cella, c’era scritto «fine pena: mai». Diana Blefari Melazzi, 40 anni, quella sentenza non l’ha accettata, ha sfilacciato le sue lenzuola e ci si è appesa, mettendo 31 ottobre 2009 come data di estinzione della pena.