Nicola Borzi, Plus24 31/10/2009;, 31 ottobre 2009
AMARA TERRA MIA, COSTI E RENDI POCO
Mentre il mercato immobiliare è in calo, i valori dei terreni in Italia tengono. Un paradosso, con l’agricoltura nella crisi peggiore dal dopoguerra. Ma la contraddizione è solo apparente. Perché la terra è un bene rifugio. Perché le norme drogano il mercato. Soprattutto perché di terra "buona" ce n’è sempre meno: dal 1970 al 2007 la superficie agricola nazionale è calata da 17,5 a 12,7 milioni di ettari. Si è persa un’area grande due volte la Lombardia. Non tutta è stata cementificata: la gran parte era terra "difficile", di collina o montagna, ed è stata abbandonata. Oggi è un bosco non curato che causa disastri idrogeologici.
Angelo Frascarelli, docente di Economia e politica agraria a Perugia, spiega: «In Italia l’uso della terra è molto diverso da altri Paesi e si riflette sui prezzi. Pesano l’alta densità demografica, il fatto che solo il 30% della superficie agricola nazionale è in pianura, i vincoli paesaggistici e normativi, come l’obbligo di coltivare a vite solo i vigneti esistenti o di spandere liquami su superfici congrue per rispettare la Direttiva Ue sui reflui zootecnici. Se in Romania o Slovacchia i valori medi sono ancora di mille euro l’ettaro, in Danimarca si toccano i 25mila e in Olanda i 34mila. In Italia la media è di 17mila euro l’ettaro, ma dice poco. Sui litorali si va da 38mila a 72mila euro ma si superano i 500mila per le terre migliori, legate a coltivazioni di pregio». La domanda non manca, anzi cresce: «Su 100 ettari che passano di mano gli agricoltori ne comprano 58 e 17 altri imprenditori che vogliono coltivarli. Il resto va a investitori: sette ettari su 100 a privati e 18 a imprenditori. Tutti puntano ai terreni migliori. Così la forbice dei prezzi tra aree ricche e povere, tra pianure ad alta densità demografica e aree di montagna, specie al Sud, si allarga».
Eppure, l’investimento nei terreni non sempre è remunerativo. Secondo Andrea Povellato, responsabile dell’indagine sul mercato fondiario dell’Istituto nazionale di economia agraria ( Inea ),
«dopo due anni di sostanziale stabilità, nel 2007 i valori fondiari in termini reali segnavano più 0,2%. Al netto dell’inflazione, però, l’indice dei prezzi dei terreni restava comunque negativo del 7% circa rispetto al 1990. Grazie ai rialzi dei prezzi dei prodotti agricoli, anche nella prima parte del 2008 i valori erano cresciuti con scambi sostenuti. Ma da settembre 2008, con il crack
delle Borse, le compravendite di terreni si sono fermate. La domanda è calata per le difficoltà degli agricoltori, messi in ginocchio dal crollo dei valori dei raccolti e dalla stretta creditizia, mentre l’offerta non si è adeguata mantenendo alti i prezzi. L’anno scorso i valori reali non hanno tenuto il passo dell’inflazione che ha toccato il 3,3%, e quest’anno la crescita reale tornerà positiva, per pochi decimi di punto solo grazie alla frenata del carovita».
I problemi però non sono finiti. «Quest’anno il crollo dei prezzi dei raccolti azzererà la redditività dalle coltivazioni e deprime rà gli affitti dei terreni», avverte Pietro Sandali, responsabile economico della Coldiretti .
«I prezzi troppo alti della terra mettono a rischio la competitività delle imprese agricole, che in media occupano solo sei o sette ettari e non riescono ad allargarsi, e i giovani non riescono a comprare per iniziare l’attività. Così il settore è a rischio». Per la terra non è ancora bolla. Ma se la crisi agricola continuerà, il futuro sarà nero.