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 2009  novembre 03 Martedì calendario

”Italiani ingrati Sfidarci è un errore”- Per dire la considerazione di cui godiamo noi italiani, in questi giorni nel Canton Ticino circola questa battuta: «Sapete come si fa a capire se un signore che si aggira con fare sospetto nei pressi delle nostre banche è un agente in borghese della Guardia di Finanza? Semplice: se legge il Wall Street Journal all’incontrario, è un italiano»

”Italiani ingrati Sfidarci è un errore”- Per dire la considerazione di cui godiamo noi italiani, in questi giorni nel Canton Ticino circola questa battuta: «Sapete come si fa a capire se un signore che si aggira con fare sospetto nei pressi delle nostre banche è un agente in borghese della Guardia di Finanza? Semplice: se legge il Wall Street Journal all’incontrario, è un italiano». Un simile sarcasmo è però anche un modo per esorcizzare due sentimenti: irritazione e paura. La Svizzera è irritata con noi perché mai come in questo periodo il governo italiano sta usando le maniere forti per far rientrare i capitali. E paura perché, ovviamente, rischiano di sparire dalle banche svizzere 200 miliardi di euro, la cifra che gli stessi svizzeri stimano sia custodita nei loro forzieri. Ma, più in generale, la Svizzera teme di perdere quell’immagine di paradiso fiscale sulla quale ha costruito gran parte della sua fortuna. Proviamo a raccontare questa storia in modo semplice. La prima «botta» la Svizzera l’ha ricevuta alla fine degli Anni Novanta, quando è scoppiato lo scandalo dei fondi ebraici trattenuti dopo la fine della guerra. In pratica, soldi di ebrei deportati nei lager non erano mai stati resi agli eredi. La Svizzera si è difesa sostenendo che rintracciare gli eredi era una «mission impossible»; ma, intanto, ha dovuto fare un po’ di chiarezza sui conti delle sue banche. E così c’è stata una prima incrinatura del mito dell’inviolabile segreto bancario svizzero. Il secondo colpo è arrivato quest’estate quando gli Stati Uniti sono andati a caccia degli evasori fiscali e hanno costretto l’Ubs, la grande banca svizzera, a fornire tutta una serie di dati riservati. Il terzo colpo è stato quando l’Ocse ha inserito la Svizzera nella «lista grigia» dei paradisi fiscali: una retrocessione poi rientrata, ma intanto in molti investitori è cresciuto un dubbio: sono proprio sicuri, i miei soldi, a Lugano e dintorni? E ora arriva lo «scudo fiscale» di Tremonti. In Italia è stato accolto tra proteste e scetticismo: ma in realtà pare proprio che funzioni. «Sì, sta funzionando - dice Paolo Bernasconi, per vent’anni Procuratore generale a Lugano e ora avvocato e professore universitario a San Gallo -. Molti italiani pagano la multa del 5 per cento e fanno rientrare i capitali. Lo scudo funziona perché, a differenza che in passato, in Italia c’è una caccia alle streghe che sta terrorizzando i contribuenti, si vuol far credere che in Svizzera il segreto bancario non ci sia più». Ma ci sono anche altri motivi. che stanno venendo meno due delle principali ragioni per cui tanti soldi erano stati messi al sicuro in Svizzera. Il primo risale già ai primi anni del dopoguerra: la paura del comunismo. Il secondo agli Anni Settanta: quella dei rapimenti. Questi timori non ci sono più, e molti italiani pensano che convenga pagare il cinque per cento di sanzione anziché lasciarli presso banche svizzere, con costi superiori e con l’angoscia continua di essere stanati. Insomma i soldi stanno tornando indietro. Ma la Svizzera si dice furibonda soprattutto per i metodi utilizzati. La scorsa settimana la Guardia di Finanza ha perquisito 76 filiali italiane di banche svizzere; alla frontiera sono stati messi i cosiddetti «Fiscovelox» per fotografare gli italiani che entrano a Chiasso; in più, circola appunto quella voce, non si sa quanto vera, di agenti in borghese all’uscita degli istituti di credito. Per questo l’altro ieri il presidente della Confederazione Hans-Rudolf Merz ha sospeso i negoziati con l’Italia sulla «doppia imposizione» fiscale. Per dare un’idea del clima, ieri il Corriere del Ticino ha aperto la prima pagina con questo titolo tranchant: «Con Roma non si tratta». «Che ricordi io, non c’è mai stato un momento di simile tensione con l’Italia», ci dice Giancarlo Dillena, il direttore del Corriere del Ticino. « vero - conferma Fulvio Pelli, presidente del Partito Liberale Radicale Svizzero - ma è proprio per le modalità con cui questo scudo è stato presentato. Abbiamo percepito una disinformazione sistematica, si fa credere che il sistema bancario svizzero sia stato rivoluzionato, che non sia più sicuro». Anche Paolo Bernasconi, che pure è favorevole a una ripresa del dialogo con l’Italia, è duro sui sistemi utilizzati da Tremonti: «Neanche ai tempi delle Br l’Italia metteva guardie a fotografare chi entra in Svizzera. E questa sarebbe la Casa delle Libertà? A me sembra una Caserma delle libertà». Paura di perdere ricchezza? Sergio Romano ha detto che la Svizzera deve gran parte del suo benessere all’Italia. «Non è così - dice Giancarlo Dillena -. La Svizzera non è efficiente perché ha i soldi degli stranieri, ma il contrario: ha i soldi degli stranieri perché è efficiente. Qui tutto funziona meglio che in Italia, non a caso grandi aziende come Zegna hanno portato da noi la sede operativa». Il professor Marco Bernasconi, docente di diritto tributario a Lugano, aggiunge un particolare per spiegare l’irritazione: «Quando, nel 1979, si fece una convenzione per lo scambio di informazioni bancarie, noi pagammo un prezzo altissimo concedendo all’Italia il 40 per cento delle imposte pagate dai frontalieri che lavorano in Svizzera. All’Austria, per dire, restituiamo solo il 12 per cento. E l’Italia non ci rende nulla delle imposte pagate dagli svizzeri che lavorano nel vostro Paese. stato leso il principio di reciprocità». Comunque. Tra le banche la paura comincia a produrre effetti concreti. Senza troppa pubblicità, stanno già cominciando tra i dipendenti - i più terrorizzati - alcuni corsi di aggiornamento: si vuol fare in modo che il bancario svizzero possa offrire ai clienti italiani prodotti particolari, per invogliarli a investire. finito il tempo in cui bastava stare seduti ad aspettare la valigia piena di banconote. Come finirà? «Siamo un Paese a democrazia diretta - minaccia Fulvio Pelli - e potremmo promuovere referendum di cui l’Italia si pentirebbe. Siamo piccoli, ma litigare con noi non conviene a nessuno». Una guerra farebbe la felicità di Umberto Bossi, che un giorno disse: «Facciamoci invadere dalla Svizzera, quando arrivano ci arrendiamo subito così risolviamo tutti i nostri problemi».