Antonio Salvati, La stampa 31/10/2009, 31 ottobre 2009
”Hanno ucciso mio marito? Ditemi qual è il problema” E la figlia aveva già ricevuto sul telefonino il video-choc NAPOLI «Sì, hanno ucciso mio marito
”Hanno ucciso mio marito? Ditemi qual è il problema” E la figlia aveva già ricevuto sul telefonino il video-choc NAPOLI «Sì, hanno ucciso mio marito. Qual è il problema?». Volto scavato, capelli neri lunghi e le chiavi in mano per cercare di varcare il prima possibile il portone di casa. La moglie di Mariano Bacioterracino, l’uomo ucciso nel rione Sanità di Napoli lo scorso 11 maggio, ha rivisto il video in cui viene immortalato il volto del killer del marito e la sequenza drammatica dell’esecuzione. Eppure nella sua voce non c’è emozione, solo rassegnazione. «Uccidono tanta gente – dice al giornalista di Studio Aperto che l’ha intervistata – hanno ucciso pure mio marito. Paura? E di che? Non ho paura, non posso avere paura». Poi parla del video e spiega che la scelta della Procura è stata giusta: «Stanno lavorando bene», dice, anche se non sembra fiduciosa che quelle immagini possano sortire l’effetto sperato. «Non sono arrabbiata – spiega prima di entrare in casa - Posso solo pregare per loro. Come prego per mio marito, prego pure per loro. Io sono cattolica, vado in chiesa». E come se non bastassero le immagini del sicario che sorride dopo aver portato a termine la sua missione di morte, un altro particolare macabro si aggiunge a questa storia. La figlia della vittima, poco più che tredicenne, avrebbe ricevuto sul cellulare il video dell’omicidio del padre poco dopo il delitto. Particolare questo che la magistratura sta accertando. «Far vedere quelle immagini non è stata una decisione presa a cuor leggero. - ha spiegato Alessandro Pennasilico, procuratore aggiunto della Repubblica che con il pm Sergio Amato indaga sul caso - C’è una persona a terra ammazzata e la gente gli passa sopra, nutriamo una speranza che qualcuno aiuti la magistratura. Da un po’ di tempo a Napoli abbiamo messo da parte la speranza di un sussulto, ma confidiamo in uno scatto di questo popolo». Ma il risveglio delle coscienze non c’è stato o, almeno, non ancora, e la «scommessa» degli inquirenti al momento è persa. Sta tentando di dare una mano pure la sezione campana dei Verdi, mettendo una taglia sulla testa del killer. Duemila euro per cercare di «invogliare» i cittadini a collaborare. Una persona si è presentata da me – spiega il commissario regionale dei Verdi Francesco Borrelli – e mi ha chiesto come inoltrare una denuncia e restare anonimo. I soldi? Non era interessato alla taglia, ha solo spiegato che voleva parlare perché era stanco di quanto accadeva nella sua città». Paradossalmente però, questa difficoltà nell’identificare l’assassino dal berretto scuro potrebbe dare linfa nuova alle indagini. Perché se da cinque mesi neanche gli investigatori più smaliziati riescono a dare un nome a quel volto, questo può significare che il feroce assassino potrebbe non risiedere nel capoluogo partenopeo o, addirittura, essere uno straniero. Non è nuova agli inquirenti la pratica, in uso ai clan della camorra, di «prestarsi» assassini per evitare una facile individuazione sia da parte della potenziale vittima, sia da parte di eventuali – ma sempre molto rari – testimoni. Certo, meraviglia tanta accortezza nel preparare l’esecuzione di un uomo che, secondo gli elementi in possesso degli inquirenti, non sarebbe inserito ai vertici di un clan della camorra. Bacioterracino era considerato un rapinatore «professionista», specializzato nei colpi nelle banche con la tecnica del «buco», ossia facendo irruzione nel caveau sbucando da un cunicolo scavato partendo dalle fogne. In passato però la vittima fu coinvolta nell’inchiesta che cercava di fare luce sull’assassinio di Gennaro Moccia, indicato all’epoca come capo di un potente clan napoletano, avvenuto nel 1987. Bacioterracino fu assolto, ma come lui, tutte e sette le persone coinvolte in quell’inchiesta risultano uccise nel corso degli anni.